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L’Europa va alla guerra
di coniarerivolta
Il conflitto tra Russia e Ucraina pare impantanato in una sostanziale situazione di stallo che allontana sempre più l’ipotesi di una risoluzione militare degli eventi. I mesi passano, uno dopo l’altro e uno identico all’altro, con un portato di morte e distruzione che monta a dismisura. Nulla di tutto questo, però, pare scalfire la determinazione con cui le principali potenze occidentali perseverano nell’applicare all’Ucraina il principio del ‘vai avanti tu, che a me viene da ridere’, continuando a soffiare sulle braci di una guerra per procura.
Nonostante il martellamento incessante e a reti unificate della propaganda bellicista, però, l’opinione pubblica nei Paesi occidentali coinvolti a vario titolo nel conflitto mostra segni crescenti di fatica e insofferenza nei confronti di un mostro che sembra sfuggito di mano. C’è bisogno quindi di ravvivare il copione e provare, tramite la diffusione ad hoc di panico e irrazionalità, a rinfocolare la bellicosità della popolazione europea.
Il ruolo dell’agitatore è affidato, questa volta, a uno dei volti più scialbi e insignificanti della tecnocrazia europea, quel Charles Michel il cui mandato come Presidente del Consiglio Europeo è in scadenza e che quindi può essere mandato in avanscoperta e bruciato all’occorrenza.
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Ue-Russia, contro legge e logica
di Fabrizio Casari
Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica, illegittimità giuridica e incapacità politica facile da descrivere.
Il Consiglio d’Europa, riunito la settimana scorsa a Bruxelles per affrontare la questione degli ulteriori aiuti all’Ucraina - ovvero al prolungamento del suo martirio, che eviti la ritirata vergognosa sul piano politico già in atto sul terreno - si era trovata sul tavolo una idea nata nei corridoi della Casa Bianca, quindi furba dal punto di vista propagandistico ma bislacca da quello giuridico: mettere in vendita i beni russi e i depositi bancari sequestrati.
Come sempre accade nelle proposte statunitensi fatte alla UE, l’idea danneggia l’Europa ma favorisce, o comunque non penalizza, gli USA. Non a caso, è nella UE che sono stati sequestrati i due terzi dei capitali russi (200 miliardi di Euro) mentre tra USA, GB e Canada il totale dei sequestri non supera i 5 miliardi. Le conseguenze negative di una siffatta operazione, dunque, ricadrebbero tutte su Bruxelles. Vediamo quali.
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L'itinerario teorico-politico di Mario Tronti
Andrea Cerutti intervista Massimo Cacciari
“Caro Mario, le stelle di quel pensiero critico che ti ha sempre ispirato, non brillano più in questa povera Italia annichilita da un pensiero unico che ha fatto strame di ogni criticità. Siamo stati sconfitti, ma non per questo ti sei, ci siamo arresi o peggio ancora passati al nemico”. Così Massimo Cacciari aveva salutato l’amico di decenni. In questa intervista si è cercato di ricostruire per cenni un lungo e articolato itinerario teorico-politico che è anche la storia di un’“amicizia stellare”, a distanza ma prossimi, senza perdersi mai.
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Quando vi siete conosciuti con Tronti?
Ci conoscemmo all’incirca con l’inizio dell’avventura di classe operaia. Il primo del gruppo che io conobbi fu Toni Negri, stava a Venezia ed era oltretutto fidanzato con la sorella del mio migliore amico. E attraverso Toni ho poi conosciuto Mario, Asor, Coldagelli e, insomma, tutti quanti.
Mario era iscritto al PCI, si era formato in quel contesto di sezione di partito.
Ma questo non appariva. Toni Negri si era già separato dal partito socialista in cui aveva militato a Padova. E anche negli altri, quando li conobbi, compreso Tronti, non si avvertiva affatto questa origine. L’elemento critico nei confronti della sinistra tradizionale, del partito comunista, era radicale, fortissimo. La mia simpatia per questi personaggi derivava anche da questo.
Operai e capitale, l’opera di Tronti, si poneva in forte contrapposizione con tutta la tradizione gramsciano-togliattiana del PCI.
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Anni ’70. Sconfitti sì, pentiti no
di Ennio Abate
Ho letto negli ultimi giorni varie reazioni alla presa di posizione della filosofa Donatella Di Cesare in occasione della morte di Barbara Balzerani.I E mi sono chiesto perché noi ex della nuova sinistra torniamo sull’argomento del lottarmatismo degli anni ’70, anche quando siamo fuori gioco rispetto all’attuale svolgimento della lotta politica.
E mi chiedo anche perché i commenti su quelle vicende non riescono ad andare, ancora oggi, oltre la demonizzazione dei brigatisti e l’assoluzione dei governanti d’allora. Mi ha colpito anche che quanti hanno difeso almeno il diritto d’opinione della Di Cesare diano per scontato il giudizio negativo sul lottarmatismo (o terrorismo) ma tacciano su come lo Stato lo abbia vinto e abbia vinto anche le formazioni politiche della nuova sinistra (Avanguardia Operaia, Lotta Continua, Pdup, MLS) che il lottarmartismo criticarono. E, cioè, non accennino più ai danni subiti dalla democrazia italiana proprio da quella vittoria dello Stato.ii Ancora nel 2024, dunque, il dibattito non può uscire dall’oscillazione: compagni criminali o compagni che sbagliarono. (E a sbagliare oggi sarebbe la Donatella Di Cesare).
Non è in questione la competenza di chi ha preso posizione sulla vicenda, di letture fatte o non fatte, di conoscenza della letteratura sul fenomeno. Ce n’è stata tanta. E l’abbiamo tutti più o meno macinata. Il blocco più che cognitivo mi pare emotivo.
Siamo tuttora bloccati di fronte a un tabù. Troppo influenzati o sottomessi alla interpretazione autoritaria dei vincitori.
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Il popolo russo, Putin, la democrazia
di Piero Bevilacqua
Pensare con idee ricevute
E’ davvero stupefacente leggere o ascoltare intellettuali e studiosi democratici e di sinistra, talora di sinistra avanzata o radicale (cioè di sinistra, ma il termine è stato infamato dal cosiddetto centro-sinistra) che ancora oggi, dopo due anni di guerra in Ucraina, dopo tutte le rivelazioni di fonti americane, le ricostruzioni storiche dei precedenti che hanno preparato quel conflitto, continuano a ripetere lo slogan << la brutale invasione russa>>, <<l’occupazione violenta della Crimea>>, ecc. Gli stessi stereotipi e retoriche si ripetono per il massacro in corso nella martoriata Gaza. I combattenti di Hamas sono terroristi perché hanno ucciso civili israeliani con il pogrom del 7 ottobre (cosa, ahimé, terribilmente vera e ovviamente da condannare, ma non bisognerebbe mai dimenticare la storia che la precede e predispone) mentre i soldati di Israele che di civili palestinesi, e soprattutto di bambini, ne hanno ucciso e ne vanno ammazzando un numero spaventosamente superiore, restano soldati.Intendiamoci, la guerra è sempre un errore, è l’ingresso al più grande degli orrori. Quindi condanniamo quella scelta di Putin. Ma chi non riconosce che la Russia è stata trascinata in quel massacro è persona non informata dei fatti.
Svolgo le considerazioni che seguono non solo per il dispiacere che provo a sentire anche tanti amici e studiosi di valore ripetere queste espressioni che sono il calco della vulgata occidentale, ma perché ovviamente tale subalternità interpretativa all’informazione corrente indebolisce gravemente l’opposizione politica all’atlantismo, che ci chiama alla guerra, all’involuzione antidemocraitca dell’UE, frena l’azione a favore delle trattative e della pace.
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L’attentato di Mosca e la guerra senza limiti
di Maurizio Vezzosi*
Il tentativo di ricondurre l’attentato di Mosca a una macchinazione del Cremlino, oltre che di buon gusto appare privo di fondamento logico, mancando di spiegare in modo credibile per quale ragione e con quale obiettivo il governo russo avrebbe dovuto organizzare un attentato di certe proporzioni colpendo la propria popolazione.
Piaccia o non piaccia il consenso di Vladimir Putin è ai massimi storici, indipendentemente dal trascurabile e recente evento elettorale. Il quadro politico e militare non rende necessario alla dirigenza russa alcun nuovo “casus belli”: in qualunque momento Mosca può intensificare gli attacchi sul fronte ucraino o avviare nuove manovre attive.
L’attentato di venerdì scorso si spiega con il proposito di spaventare la società russa, intimorirla, dividerla e disorientarla con la classica logica del terrorismo: colpire indiscriminatamente affinché ogni individuo si percepisca in pericolo insieme ai propri cari e affinché la società finisca addossare la responsabilità degli eventi alla dirigenza del paese.
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Gli ucraini forzati a combattere da agenzie private pagate con soldi occidentali
di comidad
Anche il più orribile dei crimini, come il genocidio a Gaza, può essere un espediente per distrarre da qualcos’altro, magari da qualche orribile segreto. Peccato che sia la stessa propaganda israeliana ad aver lasciato tracce di quel segreto.
Dieci anni fa uno dei principali organi della lobby israeliana, la Anti-Defamation League, pubblicava un lungo articolo in cui ci si intratteneva con la descrizione della minaccia costituita dai tunnel di Hamas al confine tra Gaza e Israele. L’IDF (Israeli “Defense” Force; Israele si difende sempre, specialmente quando ammazza i bambini) aveva scoperto che uno di quei tunnel sbucava addirittura nel vano mensa di un kibbutz. L’articolo si concludeva con un’amara riflessione sulla cattiveria di Hamas che, invece di pensare ai bambini di Gaza, spendeva i suoi soldi per scavare tunnel con cui minacciare Israele (e pensare che questo slogan Corrado Augias ce l’ha propinato di recente come una propria ponzata). Il punto è però che la narrazione dell’Anti-Defamation League di dieci anni fa smantella la narrazione attuale sui fatti del 7 ottobre come un “pogrom”.
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Educazione e violenza: parliamone (con Foucault e Michelstaedter)
di Jacopo Barusso
Visione comune
Nella visione comune educazione e violenza rappresentano i poli opposti di una questione le cui origini sono archetipiche. Il rapporto da esse intessuto può infatti essere ricondotto a quello tra civiltà e barbarie. L’educazione – si dice – è strumento della civiltà, educhiamo e siamo educati per essere civili. Già l’etimo lascia, apparentemente, pochi spazi ermeneutici, data l’origine dal latino educere, ex-ducere: condurre, tirare verso l’esterno, insomma strappare dall’ignoranza per condurre entro i sicuri confini della civiltà. La violenza sarebbe allora tipica dei barbari o, alla peggio, di frange “anarcoidi” o non del tutto allineate, che abitano la società ma ne rifiutano alcuni princìpi. Insomma l’educazione ci porterebbe via da uno stato “di natura” barbaro, se non animalesco perlomeno minoritario, soppiantato dalla cultura. Sembra dunque stagliarsi la celebre opposizione tra società e natura, dove alla seconda non è però concesso alcun idealismo romantico di sorta.
La violenza dell’educazione
Eppure, se disposti a rimettere in gioco le convinzioni comuni in merito a educazione e violenza, il rapporto può essere totalmente stravolto, mostrando una relazione del tutto peculiare:
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La sinistra nel pantano dell’elettoralismo
di Marco Morra[1]
La crisi di Unione Popolare
Sono passati diciotto mesi da quando Unione Popolare (UP) fu lanciata dai partiti Democrazia e Autonomia (DeMa), Rifondazione comunista (PRC), Potere al popolo (PAP) e da Manifesta, la componente alla Camera delle ex deputate del M5S, Silvia Benedetti, Yana Chiara Ehm, Doriana Sarli, Simona Suriano. La coalizione, nata in occasione delle elezioni politiche del 2022, pretendeva di essere qualcosa di più dell’ennesimo cartello della sinistra radicale destinato a non sopravvivere all’ennesima sconfitta elettorale. Un progetto strategico capace di indicare, a partire da obiettivi politici e rivendicativi unificanti, una prospettiva di ricomposizione delle forze alla sinistra del PD.
È bastato poco, tuttavia, perché questa prospettiva mostrasse le prime crepe profonde. La proposta di una lista elettorale più attrattiva avanzata da Michele Santoro e Raniero Della Valle lo scorso settembre e diventata realtà il 14 febbraio. Una lista, o meglio, un movimento “per portare al centro della campagna elettorale per le europee la parola pace”, secondo le dichiarazioni di Santoro. «Pace, terra, dignità», poche, semplici parole d’ordine per unificare il campo pacifista e riavvicinare gli elettori delusi dalla politica, intorno a un tema, la guerra, considerato la radice di tutti i mali, dalle migrazioni alla crisi climatica alla mancanza di politiche sociali.
Il progetto ha sin da subito rapito l’attenzione di alcuni dei principali leader di Unione Popolare. Il suo portavoce, Luigi De Magistris, si è espresso a favore di una lista unitaria che potesse “superare la soglia di sbarramento”, impegnandosi nella ricerca di una mediazione soddisfacente per tutte le componenti di UP. Maurizio Acerbo, invece, segretario del PRC, ha operato una netta forzatura rispetto alle valutazioni ancora in corso nella coalizione, schierandosi a favore della più ampia convergenza tra le forze che hanno assunto “posizioni coerentemente contro la guerra”.
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Dal mondo unipolare verso un mondo multipolare
di Enrico Vigna*
Da alcuni anni il mondo è mutato e si stanno trasformando gli equilibri e le architetture geopolitiche, economiche e strategiche mondiali. Una mutazione veloce, quasi debordante, che procede tuttora a un ritmo incalzante. I vecchi equilibri/relazioni/alleanze fra le potenze mondiali e i rispettivi campi di influenza, vengono bruscamente rimessi in discussione sul piano militare, politico, economico, culturale e persino spirituale. Piaccia o meno, la storia ci presenta questa situazione. Come evolverà o si svilupperà o regredirà saranno, come sempre, la storia e i fatti a sancirlo. Ma negare ciò che sta avvenendo o sottovalutarlo equivale, oggettivamente, a vivere fuori dalla realtà o in dimensioni autoreferenziali dottrinarie; nel contempo, si tratta di non idealizzare o rendere idilliaco un processo che è storico e materiale, quindi suscettibile ed esposto, nei suoi passaggi, a continue modifiche, limiti, contraddizioni o reversibilità oggettive.
Dalla seconda metà del XX secolo fino al 1989, il mondo ha vissuto un’era bipolare, con due campi: da una parte l’Urss, i Paesi socialisti, ma in questo campo rappresentato dall’Urss, va ricordato, vi erano collocati, spesso in modo non formalizzato od organico, i tre quarti dell’umanità (movimento non allineati, i Paesi liberatisi dal colonialismo, i movimenti o fronti antimperialisti in lotta, o Paesi come la Francia che, in difesa della propria indipendenza, non aderiva alla Nato. Dall’altra parte, il blocco Usa/Nato con i Paesi subalterni atlantisti.
Questa fase storica si concluse con la distruzione e dissolvimento dell’Urss e del suo campo, a inizio anni ‘90, ed è stata, di fatto, un’era unipolare, esauritasi da poco.
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J.-P. Sartre e la tragedia di Oreste nel Novecento
di Fernanda Mazzoli
Una prima proposta di approfondimento rivolta a quanti – muovendo dalla lettura di «Les mouches» – siano interessati a sviluppare un dialogo per aprire un varco nell’odierna soffocante cappa culturale-politica che asfissia intelligenze e coscienze
Da Argo a Parigi la strada è lunga, gli inciampi numerosi e le deviazioni di percorso ancora di più. Gli dèi dell’Olimpo scompaiono, le vendette scolorano, madri e sorelle invecchiano, perdendo cupa grandezza e trepida pietà. Eppure, Oreste continua il suo viaggio, sospinto dalle Erinni e da troppi interrogativi irrisolti, e una sera del giugno 1943 calca le scene di un teatro parigino, vestendo i panni del protagonista nel dramma di Sartre Les mouches. Fuori, un altro dramma tiene avvinta la città: l’occupazione nazista.
Duemila anni e più di cammino lungo le vie della cultura occidentale lo hanno non poco segnato: ha perso qualche radice e non poche convinzioni e più che cercare gli assassini del padre sta cercando se stesso, ma per potere dire sono deve prima di tutto fare e dunque è alla ricerca di un’azione e dal momento che tutt’intorno e anche dentro il teatro ci sono i Tedeschi, allora non può che uccidere Egisto, usurpatore del trono di Agamennone.
È così che, nel quadro narrativo offerto dal mito, nell’opera sartriana filosofia e politica si mescolano e si compenetrano, lasciando aperte tante questioni che ancora oggi, anzi oggi più che mai, ci incalzano. La stessa impasse su cui si conclude il testo offre un fertile terreno alla ricerca.
La breve presentazione che segue non pretende di essere uno studio critico, e tanto meno esaustivo, della pièce del filosofo e scrittore francese, quanto, piuttosto, di stimolare l’approfondimento di alcuni temi che, a partire da Les mouches, investano diverse sensibilità culturali e campi del sapere.
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Parola a Sahra Wagenknecht: un’intervista
di Redazione
Vi proponiamo il contenuto di un’intervista uscita oggi sul Corriere della Sera a firma di Mara Gergolet.
* * * *
Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca.
Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del polacco Gazeta Wyborcza e del francese La Croix, alle 18. Sulla porta è ancora appesa la targa del suo precedente partito, la Linke. Tailleur rosso, orecchini d’argento che si muovono come piccoli pendoli quando non è d’accordo, accentuando il dissenso, il ginocchio scoperto come davanti alle telecamere. Si conferma quel che sembra in tv: a metà tra una ieratica figura anni Cinquanta e un’attrice austera, dal fascino naturale, dotata di compostezza, controllo e dialettica superiori: non a caso nei dibattiti tv spesso domina su tutti.
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Europa 1914 – 2024. Di nuovo i sonnambuli?
di AntonGiulio De' Robertis
Alla vigilia della Prima guerra mondiale il sentimento dominante in Europa, il “topos”, era quello della improbabilità della guerra. Un sentiment che le spregiudicate prese di posizione di molti governanti europei tendono a riproporre
In queste settimane si è tornati a parlare di un libro del 2013 di Christopher Clark sulla genesi della prima guerra mondiale, “I Sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla Grande Guerra”, nel quale i leader che portarono i loro paesi in guerra vengono definiti sonnambuli. Cioè attori che incedevano irresistibilmente verso una meta di cui non erano pienamente consapevoli.
Lo studio analizza la dinamica che portò allo scatenamento della Grande Guerra da parte di paesi le cui società, fino ai più alti vertici, rimasero legate fino all’ultimo al topos della “improbabilità della degenerazione” in un conflitto generale della pur grave crisi Austro-Serba.
Oggi la guerra russo-ucraina rischia di provocare una dinamica analoga perché per tutta la seconda metà del 900 e i primi decenni di questo secolo ha dominato la convinzione diffusa, cioè il topos, della impossibilità di un conflitto fra potenze dotate di armi nucleari per l’enormità delle distruzioni che essa comporterebbe e alle quali non sfuggirebbe neanche l’ipotetico vincitore.
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Belgrado 25 anni dopo: Gaza, attentato di Mosca, pacifinti, Assange, stato di polizia
di Fulvio Grimaldi
Paolo Arigotti intervista Fulvio Grimaldi per “Spunti di riflessione”
Il ringhio del bassotto: Belgrado, 25 anni dopo (con Fulvio Grimaldi)
https://www.youtube.com/watch?v=KkCLVOAsvJk
A Belgrado, quando l’Europa ha mutilato se stessa per la voglia USA di sfondare la porta jugoslava, e poi serba, verso l’Eurasia.
All’ONU un voto che sembra per una tregua Gaza, ma è per salvare la pelle al mostro bellicista nelle elezioni che devono sancire la guerra degli isolani anglosassoni ai continenti-mondo.
A Londra, magistrati di una corte che definiscono alta (High Court), ma che si sa popolata da cortigiani al servizio del sovrano, hanno ripetuto il rito col quale se l’erano cavata tempo fa: richiesta agli USA di fornire garanzie su alcuni punti sollevati dalla difesa di Julian Assange con riferimento al trattamento praticato dagli USA sui propri carcerati (vedi Guantanamo, Abu Ghraib, Alcatraz….). Assicurazioni già richieste e a suo tempo ottenute.
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Terza Guerra Mondiale? Attenzione al fattore “disperazione”
di Giulia Bertotto
“Terza guerra mondiale?” è la domanda che ci stiamo facendo da diverse settimane e “Il fattore Malvinas” è la risposta, -anzi l’incognita- che si sono dati Daniele Burgio, Massimo Leoni, Roberto Sidoli (“Terza guerra mondiale? Il fattore Malvinas”, L’AD Edizioni 2024) in un’ordinata e dettagliatissima analisi sulla convivenza con la consapevolezza atomica dal 1945 a oggi; un libro francamente irrinunciabile se non si vuole rischiare di saltare in aria senza almeno aver compreso come siamo arrivati a questo punto.
I fatti raccontati si sono succeduti mentre i due grandi blocchi atlantico e russo detenevano questa forza devastante, innanzitutto l’espansione della NATO verso Est dopo la Caduta del Muro, le promesse fatte a Gorbaciov mai mantenute e anzi le provocazioni imperialiste con le sue esercitazioni alle periferie di Mosca e le continue adesioni al Patto Atlantico.
1945-2024. Gli USA al governo del mondo: dai microbi allo spazio (anche virtuale)
Dal 1945 a oggi l’America ha sempre guardato fisso l’obiettivo di conservare il proprio dominio finanziario, la supremazia militare, l’egemonia ideologica sul mondo intero, impedendo la crescita di potenziali economie rivali e competitori bellici.
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Il bello e il brutto del brutto
di Sebastiano D'Urso
Nel complesso panorama contemporaneo di visioni e previsioni distopiche non poteva non irrompere il brutto. È stato ed è sempre lì in agguato, pronto a imporsi a tutti noi. Tuttavia, non si tratta del solito brutto a cui fanno riferimento gli esteti e le estetiche di ogni epoca e luogo. Non è l’amorfo che banalizza l’immagine della realtà che ci circonda. Non è l’anarchico che si contrappone o se ne frega dello stile, o del sedicente tale, della propria epoca. Neanche l’arabesco, esotismo importato spesso per soddisfare gusti momentaneamente stravaganti. Non è l’arbitrario di chi si crede più importante degli altri tanto da far quel che vuole. Non è l’asimmetrico che irrompendo nella realtà la contraddice e la rappresenta allo stesso tempo. Non è l’assenza di carattere che, quando è molto diffusa diventa, al contrario, caratterizzante. Non è neanche il banale contrario di quella originalità tanto ricercata e poi ostentata da risultare forzata. Non è il buffo che trova il giusto riscatto nell’ilarità che provoca. Né il camp che fa dell’esagerazione la cifra della sua affermazione. Nemmeno il caricaturale che deformando la realtà concorre a costruirne le fattezze.
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Cibernetica o barbarie!
di Stefano Borroni Barale*
Dal n. 6/2024 di “Collegamenti per l’organizzazione diretta di classe” pubblichiamo questo articolo di Stefano Borroni Barale con importanti proposte di lotta per il mondo della scuola
Rifiutare la formazione obbligatoria è un poderoso primo passo. Siamo pronti per il successivo?
“Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.” – Filippo Tommaso Marinetti, “Manifesto del Futurismo”, 1909
La transizione digitale (1) a marce forzate, iniziata con lo stanziamento l’anno scorso di 2,1 Miliardi di euro per l’acquisto di laboratori e aule “digitali” entra ora nel vivo, con un programma di formazione dei docenti mastodontico. È la fase che l’ex Ministro Bianchi aveva definito “riaddestramento” del corpo docente (2). Per fortuna questo passaggio sembra risvegliare almeno una minoranza di docenti dal loro torpore: giungono echi di ribellione da alcuni collegi docenti (quello del Liceo Socrate, così come dell’IIS Di Vittorio Lattanzio, a Roma), che fortunatamente hanno rigettato il programma di formazione al digitale previsto dal D.M. 66.
L’impressione, però, è che manchi ancora una visione d’insieme, anche tra queste minoranze critiche. Certo, abbiamo compreso che i piani di formazione ministeriali (Piano Nazionale Scuola Digitale – PNSD e Piano Scuola 4.0, per citare solo gli ultimi) hanno dell’innovazione tecnologica un’idea talmente antidiluviana che vi si possono scorgere elementi di una retorica “neo-coloniale”, quella che poneva al centro l’uomo bianco, maschio e cristiano pronto a salpare per conquistare e sottomettere la natura selvaggia e incolta grazie alla forza della tecnologia, portando –grazie a questa– la civiltà “in salsa digitale”.
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Il riarmo europeo tra contrasti fra paesi e crescita dell imprese belliche
di Domenico Moro
Sembra passato molto tempo da quando la transizione ecologica era al centro del dibattito della Ue, oggi le preoccupazioni green hanno lasciato il passo alla spinta a potenziare la difesa europea. Nel recente Consiglio europeo – il consesso che riunisce i capi di governo europei – l’attenzione è andata tutta alla questione militare e alla guerra.
Tuttavia, le spaccature sono evidenti tra i 27 Paesi che compongono la Ue, e che faticano a trovare una posizione unitaria specialmente sul finanziamento del riarmo ritenuto necessario per affrontare la Russia di Putin. Tale difficoltà è dovuta alla disomogeneità degli interessi nazionali, sui quali pesa la posizione geografica, più o meno vicina all’epicentro della crisi bellica, cioè all’Ucraina, ma anche l’orientamento politico generale. Ad esempio mentre Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo, afferma che “non bisogna spaventare troppo i cittadini con discorsi di guerra”, l’omologa estone, Kaja Kallas, sostiene che “occorre prepararsi anche a una guerra sul terreno”, riecheggiando le recenti dichiarazioni del presidente francese, Macron, secondo il quale non è da escludere l’invio di truppe di terra in Ucraina.
La spaccatura non è solo sulla percezione della imminenza della guerra. Anche se quasi tutti i Paesi sono più o meno d’accordo sul potenziamento dei loro apparati bellici, sono però spaccati in due sulle modalità di finanziamento del riarmo. La spaccatura esiste anche tra la Commissione europea, guidata da Ursula von der Leyen, che propone di istituire un centro di spesa comune per acquisire munizioni e armi da inviare all’Ucraina, e Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, che lo ritiene inutile.
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L’anarco-comunismo di Pietro Kropotkin
di Salvatore Bravo
Pietro Kropotkin1 con la sua storia e biografia di anarchico-comunista testimonia che la classe sociale di appartenenza non è un destino; non è la gabbia ideologica alla quale il soggetto umano deve necessariamente adattarsi e plasmarsi. L’essere umano è libero, può scorgere le contraddizioni che scuotono e muovono la totalità dell’assetto sociale per immaginare e ipotizzare, a partire dalle condizioni contingenti, un sistema sociale altro, in cui il soggetto umano non è un mezzo ma il fine. L’umanesimo è in tale centralità dell’essere umano, che con la prassi risolve le condizioni reificanti che umiliano la natura umana. In una realtà sociale segnata unicamente dal profitto, tale è il capitalismo, ogni soggetto umano rischia di diventare “il corpo doloroso” che vive e pone relazioni di violenza non riconosciute. L’anarchico e comunista russo Pietro Kropotkin al di là delle leggi che determinano la storia secondo la visione marxista, in primis, valuta eticamente e quindi politicamente il sistema capitalistico, per poter progettare il suo superamento con il metodo scientifico e marxista. Senza lo scandalo etico non c’è politica e non c'è pensiero, ma solo tatticismo e adattamento omologante.
Di nobili origine decise di abbandonare la propria condizione privilegiata nella Russia ottocentesca per progettare e pensare l’esodo dal capitalismo. Il dominio con le sue strutture gerarchiche nega la natura libertaria dell’essere umano. Il capitalismo con la sua struttura proprietaria improntata all’accumulo infinito di profitto è la “compiuta peccaminosità realizzata”.
Il capitalismo ha incorporato la tecnica grazie alla quale produce una quantità di merci che il mercato non riesce a smaltire e pur di tenere alti i prezzi delle merci distrugge ciò che potenzialmente potrebbe soddisfare i bisogni del popolo.
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Le 3 ipotesi sulla matrice della strage di Mosca
di Pino Arlacchi
Le reazioni alla strage di Mosca sono, com’è ovvio, le più diverse e sono determinate dall’andamento di una guerra in corso. Siccome ci sono pochi dubbi sul fatto che l’attentato sia stata opera di killer addestrati, armati e protetti da un’entità superiore, le ipotesi sui mandanti si restringono a tre:
La matrice islamica autonoma
Il piccolo gioco. L’ISIS nella sua versione afghano-pakistana avrebbe agito in piena indipendenza da altre possibili fonti per colpire un suo nemico storico, la Russia, nel momento in cui esso è impegnato in una guerra quasi-civile contro un paese affine sostenuto dall’ intero Occidente.
Questa ipotesi è al momento la più diffusa, perché sostenuta dai pochi dati di fatto finora a disposizione, ma non reggerà a lungo. Chi conosce un po' l’ISIS-K sa che si tratta di ciò che resta di un esercito sconfitto in Siria da 5-6 anni, le cui risorse gli consentono di condurre attacchi in loco, contro i Talebani dell’Afghanistan, che stanno finendo di distruggerlo. È assai improbabile che i suoi combattenti siano stati in grado di intervenire così lontano senza un supporto esterno.
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“Kiev, Usa e britannici dietro l’attentato di Mosca a opera dell’Isis”
a cura di Dante Barontini
Come prevedibile, con il passare dei giorni si irrigidisce la contrapposizione tra i vertici russi e il corrispettivo euro-atlantico sull’attribuzione della responsabilità dell’attentato al Crocus City Hall di Mosca.
Ieri, in un’intervista, il capo del Servizio di sicurezza federale russo (FSB, l’ex Kgb) Alexander Bortnikov ha ammesso che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Ucraina sono responsabili dell’attacco al municipio di Crocus.
“Crediamo che questo sia vero. In ogni caso, stiamo parlando delle informazioni fattuali di cui disponiamo. Questa è un’informazione generale, ma [questi paesi, ndr] hanno una lunga storia di questo tipo“, ha detto dopo aver partecipato a una riunione allargata del consiglio dell’ufficio del procuratore generale.
Bortnikov ritiene che l’Ucraina abbia cercato di dimostrare anche ai suoi alleati-protettori, visibilmente sfiduciati nelle sue possibilità di “vittoria”, di essere abbastanza capace.
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"Bersagli legittimi". La Russia passa ufficialmente a una nuova fase del conflitto
di Marinella Mondaini
Adesso si fa sul serio, la Russia sta passando a una nuova fase.
A Mosca le indagini proseguono e poco fa le dichiarazioni del presidente Putin, del capo del Consiglio di Sicurezza russo Nikolaj Patrušev, del direttore dell’FSB, Nikolaj Bortnikov e del Procuratore Generale della Russia Igor Krasnov, hanno confermato la versione ufficiale della mostruosa strage al Crocus City Hall. Il numero dei morti è spaventoso: 139 persone, 82 feriti, 40 persone sono morte per arma da fuoco, le rimanenti sono morte per il fuoco appiccato dai terroristi o per il soffocamento da monossido di carbonio. Due persone sono rimaste vittime di ferite da taglio uno dei terroristi brandiva un coltello proprio come se seguisse le istruzioni dell’ex comandante dello Stato Maggiore congiunto dell’Esercito degli Stati Uniti il generale a quattro stelle Mark Milley, il quale, ricordo, il 5 dicembre scorso ha affermato che “gli ucraini dovrebbero lavorare nelle retrovie russe per garantire che ogni russo non dorma sonni tranquilli, sapendo che gli verrà tagliata la gola”.
Il capo dell’FSB Bortnikov ha confermato anche “dietro questo atto terroristico c’è l’Ucraina” e ha dichiarato che “tutti i coloro che commettono crimini contro la Russia e i cittadini russi, diventano bersagli legittimi”.
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La tua auto ti controlla
di David Moscrop
Il cosiddetto «Internet delle cose» è pieno di spie automatizzate. La raccolta dati, ora integrata nella progettazione delle nuove macchine, è più pervasiva che mai e sta dando vita a un nuovo mondo fatto di sorveglianza e collusione aziendale
Nel caso pensiate che la rete di sorveglianza capitalista impostaci da aziende canaglia e governi complici non fosse abbastanza distopica, la notizie è che vostra auto potrebbe ora spiarvi e vendere i dati che ha raccolto alle compagnie assicurative tramite LexisNexis.
La settimana scorsa, il New York Times e altri hanno scritto che alcuni veicoli della General Motors (Gm) stavano raccogliendo dati sui conducenti – in alcuni casi all’insaputa del proprietario – che le compagnie di assicurazione potevano, e lo hanno fatto, utilizzare per adeguare (cioè aumentare) i premi assicurativi. Il programma Smart Driver di Gm non è l’unico nel suo genere. Altre case automobilistiche offrono servizi simili, il che può sembrare innocuo (Wi-Fi in auto, fantastico!), ma in realtà è insidioso, dal momento che finisci per «acconsentire» a essere spiato per il profitto della casa automobilistica.
La distopia del capitale
Nel 2023, la Mozilla Foundation ha pubblicato una ricerca in cui affermava che le auto erano un «incubo su ruote per la privacy» e «la peggiore tipologia di prodotti per la privacy».
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Il futuro ha avuto inizio esattamente 25 anni fa
di Vincenzo Costa
Il futuro inizio' 25 anni fa, il 24 marzo 1999.
Senza mandato dell'ONU, facendosi beffe delle riserve russe, lasciando attonito l'intero mondo, la NATO bombardo' per mesi la Serbia, facendo un numero altissimo di vittime civili: sotto le bombe umanitarie della NATO perirono 2.500 civili, 89 bambini, ci fu un numero enorme di feriti, un inferno di distruzione.
Fu un gesto unilaterale, privo di legittimità, guidato nel nostro paese dalla "sinistra".
L'opinione pubblica occidentale fu drogata, come al solito, i servizi segreti inglesi, che sempre ci offrono un bel menu di notizie inventate, fecero come sempre il loro sporco lavoro. I soliti cretini del "diritto umanitario" trovarono argomenti, i marxisti per Pelosi e per la Nuland schierati come sempre, a dimostrazione che si può essere marxisti e cretini.
Ma il resto del mondo guardo', capi che lo stesso trattamento riservato alla Serbia sarebbe stato riservato man a mano a tutti gli altri.
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Chi vuole la guerra
di Carlo Lucchesi
Il completo asservimento alla causa degli USA della quasi totalità dei media del nostro paese e, per quanto si può conoscere, dell’intero Occidente, pone questioni delle quali chi non intende soggiacere insieme a loro dovrebbe discutere a fondo e tentare di risolverle. Parto da quella apparentemente meno importante, vale a dire le forme della manipolazione informativa. Queste si sono fatte sempre più sporche. Nella carta stampata, sapendo che il lettore scorre rapidamente i titoli e seleziona così i pochissimi pezzi da leggere, è proprio al titolo che è affidato il compito di veicolare il messaggio truffaldino tanto che il testo sottostante può anche dire cose diverse o non parlare affatto di quello che il titolo aveva annunciato. I “secondo voci raccolte…” (di chi? e chi le ha raccolte?), oppure “come racconta…” (e si cita un presunto testimone sconosciuto al mondo), o ancora le interviste a persone che hanno palesemente in odio la Russia e non vedono l’ora di attribuirle tutti i mali del mondo, presenti e futuri, le inchieste come collage di pezzi di agenzia ritagliati a misura per rendere credibile il palesemente falso, la classificazione di “buono” per chi sta con l’Occidente, qualunque misfatto compia, e di “cattivo” per chi non sta con l’Occidente, ed è cattivo sempre e comunque e nutre le peggiori intenzioni immaginabili anche se non ha mai profferito parola che possa renderle minimamente verosimili: tutto questo è stato ed è il pane quotidiano del nostro giornalismo accanto alla sistematica denigrazione di chiunque abbia l’ardire di provare a ragionare su ciò che sta accadendo. Ovviamente, una volta che i fatti dimostrino via via la falsità della narrazione (dalla malattia di Putin allo sfascio della Russia fino alla trionfale controffensiva ucraina passando attraverso decine di anticipazioni fasulle), non seguono né smentite, né correzioni di rotta. Anzi, per ogni bolla che scoppia se ne soffia un’altra magari più grande.
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