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Conversando con Camatte
Armando Ermini
Parlando con Stefano Borselli su come dare un seguito all'antologia Marxisti Antimoderni, ci è sembrato buona cosa andare a incontrare Jacques Camatte di persona. Jacques ha preferito che i nostri colloqui non avvenissero in forma di intervista, ma che fossero del tutto liberi, conviviali (stricto sensu), proprio per darci maggiori possibilità di recepire a modo nostro le sue parole. Ciò che dunque emergerà non sarà il Camatte-pensiero, ma ciò che di esso, dalle conversazioni e dai suoi scritti, abbiamo capito noi.
* * * *
In questa impresa non possiamo non partire dai luoghi che Jacques ha scelto di abitare. Una campagna, fra Tolosa e Bordeaux, scarsamente atrofizzata, con paesini antichi per lo piú siti in collina, coltivazioni di viti, campi, ed ancora tanti boschi. Luoghi che gli inevitabili centri commerciali che qua e là appaiono non hanno ancora sfigurato. Una campagna caratterizzata dai tipici fiumi francesi che per trovare la loro strada verso il mare si involvono in numeros1 amplissim1 meandri, i quali trasmettono a chi osservi il paesaggio dall’alto un senso di grande calma. Insieme ai fiumi, un reticolo di canali con un sistema di chiuse che li rende navigabili anche a imbarcazioni di una certa mole e, insieme, ne rallenta la marcia. Ma questo, in quei luoghi, non ha l’aria di essere un problema.
Per giungere in zona, prima di addentrarci nell’interno abbiamo lambito in autostrada luoghi famosi ed affollati lungo il Mediterraneo, le mete di vacanza della Costa Azzurra, il che ha contribuito a generare il contrasto con la tranquillità dell’interno: anche i picnic familiari — abbiamo notato sulla via del ritorno — lí si svolgono in parchi attrezzati, intorno a enormi autogrill, come se nemmeno nel tempo libero passato all’aperto ci si potesse allontanare dai colossi del consumo.
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Il burkini e il dress code neocoloniale
di Militant
Da ormai oltre un quindicennio, la questione dei diversi veli indossati da alcune donne islamiche si impone ciclicamente nel dibattito pubblico e politico. Dopo il patetico tentativo di pinkwashing con cui si giustificò l’attacco all’Afghanistan governata dai talebani («Dobbiamo liberare le donne dal burqa»), abbiamo avuto la discussione in Francia sul divieto di indossare il burqa e il niqab. Dopo l’orribile Daniela Santanché – quella che si fa chiamare col cognome dell’ex marito dopo oltre vent’anni dal divorzio e blatera sulla libertà delle altre donne – che se ne andava in giro a strappare i veli alle donne islamiche, abbiamo visto le Femen invitare in modo neocoloniale le musulmane a spogliarsi girando in topless per i quartieri islamici di Parigi (leggi 1 e 2). Ecco che adesso – in periodo di vacanze – la questione è diventata quella del cosiddetto burkini, termine nato da una contrazione impropria tra la parola burqa (abito che copre integralmente tutto il corpo – viso incluso – usato da una minoranza di donne islamiche) e la parola bikini, indumento che evidentemente – soprattutto se succinto – è ritenuto dover caratterizzare le donne occidentali. Il dibattito è stato scatenato dalla decisione di alcune città francesi di vietare l’uso del burkini in spiaggia, convalidata giuridicamente dal tribunale amministrativo e politicamente dal ministro dell’Interno francese Manuel Valls (leggi), secondo il quale addirittura il burkini non sarebbe compatibile coi valori della repubblica francese in quanto espressione di un’ideologia basata sull’asservimento della donna.
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Atlante, ovvero abbiamo tutti una costituzione da piangere
di Fant Precario
1. È notizia di qualche giorno fa che la Corte d’Appello di Tolosa, ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto privo di causa [(reale, e seria) perché senza fondamento economico)] il licenziamento di 191 dipendenti da parte di Molex, condannata al pagamento di “un’indennità” di 7 milioni di euro, che – ci avverte L’Humanitè - saranno corrisposti da un fondo pubblico, l’Assurance de garantie de salaires: (i) a parte l’ovvia, ma sempre efficace, considerazione che il capitale privatizza i profitti e socializza le perdite, (ii) a parte che non si hanno notizie sulla solidità patrimoniale e finanziaria della (già) datrice di lavoro e della possibilità di recupero della somma, (iii) quello che risalta è l’esiguità della somma rispetto al rilievo dato alla notizia; secondo i padroni si tratterebbe di condanna (oltreché ingiusta in quanto limitativa della libertà di impresa) esorbitante, i sindacati, tronfi d’ottusità, confermano la natura esemplare della condanna.
Abituati, quantomeno dai tempi di Lama a non credere ai sindacati (da sempre ai padroni) facciamo qualche conto. Ecco i numeri: 8 anni di lotta giudiziaria (il che la dice lunga sul potenziale scarsissimo del ricorso alle toghe, più o meno rosse), 191 esseri umani sul lastrico, 7.000.000 di euro di indennizzo.
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La riforma costituzionale e l’Unione Europea
di Noi Saremo Tutto - Genova
Recensione del libro di Vladimiro Giacché, La Costituzione italiana contro i trattati europei, un conflitto inevitabile, Imprimatur.
Introduzione
Che il progetto di riforma costituzionale del Governo Renzi, che andrà a referendum in autunno, non serva a ridurre i costi della politica o a colpire la fantomatica “casta” politica, è un dato che sembra oramai acquisito al dibattito politico. Anche all'interno del centrosinistra, per azione degli scontenti PD, e nel dibattito sui media di regime si mette in evidenza come il Senato di fatto non venga abolito ma si trasformi in una Camera inutile che continuerà comunque ad avere costi altissimi. Il punto principale della propaganda renziana sulle riforme sembra quindi scomparire dal dibattito politico che invece si concentra sul “combinato disposto” riforma Costituzione-Italicum paventando una possibile riforma della nuova legge elettorale come condizione necessaria per appoggiare il processo di riforma. Sullo sfondo emergono le difficoltà del governo Renzi il quale prova a fare un passo indietro scegliendo di non personalizzare il quesito del referendum. Comunque sia, la partita è decisamente aperta (i sondaggi, per quel che valgono, segnalano un'opinione pubblica spaccata a metà tra favorevoli e contrari) e l'insistenza di alcuni settori della classe dominante europeista a sostegno del sì raccontano di una riforma che comunque deve essere fatta.
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Colti in trappola. L’università postfordista e la formazione del cognitariato
Giuseppe Burgio
Una seconda lettura per l’estate: un saggio di Giuseppe Burgio pubblicato su Studi della formazione (2014). Burgio è un ricercatore di pedagogia di Palermo e in questo testo ricostruisce bene i problemi di quadro dell’istituzione universitaria (che, come Effimera, abbiamo diffusamente affrontato in questo periodo, a partire dal caso di Roberta Chiroli), stretta tra dispositivi neoliberali, profondamente connessi alla crisi, processi di esclusione differenziale, gerarchie, valutazione e debito. Il tutto nell’orizzonte del capitalismo biocognitivo, cioè all’interno di un nuovo paradigma produttivo, e nel crescere del ruolo “ri-produttivo” assunto dal cognitariato.
Cifra della nostra società è l’avvenuto passaggio dal modo di produzione fordista a quello postfordista. In questo contesto, la corrente teorica del post-operaismo vede come centrale la dimensione cognitiva del lavoro, che si manifesta ormai in ogni attività produttiva, materiale o immateriale che sia.
Dopo aver definito tale cornice teorica, queste pagine si concentreranno sulla precarietà lavorativa e sull’affaticamento esistenziale di quanti hanno affrontato un percorso di istruzione superiore all’università, proponendo la tesi che – proprio per poter essere adattati a, e inseriti nel, postfordismo – questi futuri lavoratori del cognitariato siano stati formati da un dispositivo economico ed educativo complesso, paragonabile a quello che nel capitalismo industrialista permise la formazione (cioè la costituzione sociale e il condizionamento culturale) del proletariato.
Tale dispositivo verrà analizzato in alcune delle sue curve attuative – studiandone le conseguenze da un’ottica pedagogica – in relazione alle trasformazioni del mondo del lavoro, ai mutamenti del sistema della formazione e alle riforme che da ormai 25 anni interessano quasi incessantemente l’università italiana.
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Considerazioni – abbastanza inattuali – su Adorno e su altro
di Sebastiano Isaia
La sofferenza incessante ha tanto
il diritto di esprimersi quanto il
martirizzato di urlare (T. W. Adorno).
Basterebbe allo spirito un piccolo
sforzo per liberarsi dal velo di
questa parvenza onnipotente e
pur nulla: ma questo sforzo
pare di tutti il più difficile
(M. Horkheimer, T. W. Adorno).
Attualità di Adorno: è questo il titolo che Sandro Dell’Orco ha voluto dare al suo interessante articolo scritto in occasione del «50° anniversario della pubblicazione di Dialettica negativa» (1966). Qui mi propongo di affrontare un solo aspetto, squisitamente storico-politico, dei problemi messi sul tappeto dall’autore, cioè a dire il rapporto tra Adorno (e la «teoria critica» in generale) e il cosiddetto «socialismo reale» (e la sinistra, più o meno “radicale”, in generale). Come il lettore può facilmente constatare, si tratta di temi che si sposano bene con il clima agostano, diciamo… Sul merito propriamente filosofico della Dialettica negativa mi piacerebbe scrivere qualcosa quanto prima. Si vedrà!
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Non lo sanno ma lo fanno
Il modo di produzione capitalista è un fine in sé irrazionale
di Robert Kurz
Da "Lire Marx. Les textes les plus importants de Karl Marx pour le XXIe siècle. Choisis et commentés par Robert Kurz", La balustrade, 2002, (p.45-51). Questo estratto, che presenta soprattutto gli errori del "marxismo tradizionale" il quale ha sempre portato avanti la sua critica dal punto di vista di un'ontologia del lavoro, è l'introduzione fatta da Kurz ad un insieme di frammenti, scelti da diversi testi di Marx, cui rinvia. Nel testo che segue, con "Marx essoterico" e "Marx esoterico" (una sorta di Marx-Giano), Kurz intende distinguere due interpretazioni differenti dell'opera marxiana, di cui una è quella tradizionalmente ammessa (essoterica), che si basa principalmente su un punto di vista che si svolge a partire dal lavoro (che non viene assunto nella sua specificità e viene invece visto come naturale e sovra-storico) ed il cui oggetto di studio è soprattutto la lotta di classe. Quest'interpretazione tradizionale si focalizza sul modo di distribuzione. L'altra è assai meno conosciuta (esoterica), ma con questo non si vuol difendere l'idea per cui ci sarebbe stato un "vero Marx", il cui pensiero sarebbe stato tradito, e che deve quindi essere ripristinato. Si tratta piuttosto di affermare che in alcuni testi (soprattutto quelli che non erano destinati ad essere pubblicati - Grundrisse - o quelli lo sono stati molto più tardi, dopo la formazione dei marxismi), ci sono degli elementi che permettono di "andare con Marx oltre Marx" e quindi di liberare qualcosa di diverso dal Marx conosciuto: un "Marx esoterico".
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Il rebus delle banche
Vincenzo Comito
Una conseguenza poco piacevole del referendum britannico è stata quella di un nuovo attacco dei mercati finanziari ai titoli bancari italiani. Come uscirne? I problemi del sistema bancario italiano riguardano la debole dinamica del nostro sistema economico, oltre al tema dei crediti in sofferenza e dell’inadeguata capacità di gestione degli istituti
Una conseguenza poco piacevole del referendum britannico è stata, come è noto, quella di un nuovo attacco dei mercati finanziari ai titoli bancari italiani, da parte in particolare di investitori molto nervosi; essi sembrano ora avere in mente una sola idea, quella di fuggire dal nostro paese, magari guadagnandoci qualcosa. Molti pensano in effetti che la prossima crisi possa riguardare proprio l’Italia.
Le perdite di valore dei titoli sono state pesanti, anche se poi, basandosi sulla speranza che si materializzi presto un intervento pubblico, esse si sono un po’ ridotte.
Alla fine dello scorso anno, Piazza Affari guadagnava circa il 13%, risultando, tra l’altro, campione d’Europa e le banche in particolare, non si sa per quale miracolo di cecità dei mercati, il 21%. Ora, nei primi sei mesi del 2016, il FTSE Mib ha ceduto più del 19%; per quanto riguarda il settore bancario, in particolare MPS ha lasciato sul terreno il 78%, lo stesso valore del Banco Popolare, Unicredit il 62%, mentre Intesa San Paolo, pure un istituto in buona forma, ha perso il 45% (Tosseri, 2016).
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Reddito minimo e occupazione
di Jacopo Foggi
Rapide riflessioni sull'idea di programma di lavoro garantito o di "occupazione di ultima istanza"
Negli ultimi mesi si sta diffondendo in misura ancora maggiore rispetto a quanto avvenuto già nel corso degli ultimi anni, il dibattito sulle varie proposte politiche di reddito di sostegno e prevenzione della povertà. Dal reddito garantito, reddito di cittadinanza, reddito minimo, reddito di partecipazione e così via.
Occorre però dire subito che, come mostra da ultimo la recente fondamentale guida scritta da Elena Granaglia e Magda Bolzoni per Ediesse (Il reddito di base), su buona parte di queste definizioni vi è, nel dibattito giornalistico, una grandissima confusione, provocata forse in buona parte a cominciare da sostenitori del cosiddetto “reddito di cittadinanza” del Movimento 5 Stelle, che hanno utilizzato questo termine per proporre semplicemente un sostegno al reddito in funzione dell’occupazione, cosa che niente ha a che fare con la definizione specifica del reddito di cittadinanza. A questa accusa di confusione occorre aggiungere che al di là di questa, colpisce anche in particolar modo la totale assenza nel dibattito di quello che invece tra le proposte politico-economiche più interessanti di politica economica per l’occupazione, proposto da una vasta rete di economisti post-keynesiani, in particolare statunitensi ma non solo, che si riconoscono in particolare nel filone del “neo-cartalismo” moderno (una teoria della moneta che evidenzia il ruolo cruciale dello stato nella determinazione dell’accettabilità e del valore della moneta). Si tratta dell’idea dei Piani di Lavoro Garantito e di Occupazione di Ultima Istanza (Employer of Last Resort Program/Job Guarantee – ELRS/JG).
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Bloody Sunday Forever
di Fulvio Grimaldi
Tranquilli. E' lungo quanto un instant book. Ma c'è tutto Ferragosto e io per un po' non apparirò. Buon Ferragosto
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (Eugenio Montale, “Ossi di seppia”)
Ci sono i romanzi di formazione e ci sono le esperienze di formazione. La mia è racchiusa nelle 16 ore che vanno dalle 14 del 30 gennaio 1972 alle 06 del 31 gennaio.Tra quando partì la marcia dei diritti civili a Derry a quando, dopo il massacro, poi iconizzato come Domenica di Sangue, sfuggendo aille ricerche dell’esercito britannico, raggiunsi Dublino e consegnai ai giornali e alla radio della Repubblica irlandese le pellicole e i nastri di quanto avevo fotografato e registrato. Avevo vissuto la tragedia palestinese, la Guerra dei Sei giorni, la brutalità della guerra tra Stati giocata sul raggiro e il sacrificio dei sudditi, il feroce razzismo contro una popolazione cui usurpare la terra e da togliere di mezzo. Avevo già avuto prove di come si sopprimono voci sconvenienti per il potere del momento: la censura israeliana controllava i miei reportage da trasmettere a Paese Sera e sbianchettava qua e là. E’ vero che, alla fine, mi buttò fuori, quando è troppo è troppo, ma fu più che altro per un alterco con un capitano dell’esercito che abusava dei caduti e prigionieri arabi.
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Heidegger e la bomba atomica: ovvero la scienza deve pensare
di Gianni Vattimo e Massimo Zucchetti
Per un seminario su “Se la scienza non pensa”, Politecnico di Torino, 2016
Introduzione
La frase di Heidegger «La scienza non pensa»i risale all’inizio degli anni 50 dello scorso secolo. Questa frase si è prestata, da quando la scrisse il filosofo, a molte superficiali interpretazioni -alcune delle quali in senso riduttivo -quasi ad affermare che il pensiero umano, nella sua accezione più alta, fosse terreno estraneo alla scienza materiale. In realtà, Heidegger – nella trattazione che questa frase contiene -non ha affatto intenzioni denigratorie nei confronti della scienza. Se mai, si tratta – come vedremo -di una delimitazione: una definizione dell’ambito entro il quale, secondo il filosofo, ama muoversi la scienza, descrivendo quei confini naturali che è poi la scienza stessa a darsi. Heidegger, anzi, riflette se questi comodi confini siano giustificati, e sulle ragioni per le quali la scienza, invece, dovrebbe pensare, o perlomeno essere aiutata a farlo.
Sotteso a questa affermazione vi è in realtà il dibattuto concetto di neutralità della scienza. Scienza che secondo alcuni – come ad esempio lo scienziato atomico Werner Heisenberg [D. C. CASSIDY, Un’estrema solitudine. La vita e l’opera di Werner Heisenberg, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, p. 126] dovrebbe occuparsi della ricerca, dell’avanzare della conoscenza tecnica del genere umano, del “progresso”, applicando il metodo scientifico, che tanti successi e miglioramenti materiali ha apparentemente portato all’umanità negli ultimi secoli.
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Desiderio di filosofia
Metafisica della felicità reale
Alain Badiou
Come molti lettori sanno, Rimbaud utilizza una strana espressione, «le rivolte logiche», che fu anche titolo di una bella rivista fondata da Jacques Rancière e altri amici. La filosofia è qualcosa dello stesso ordine: una rivolta logica. È la combinazione tra un desiderio di rivoluzione – la felicità reale impone che ci si sollevi contro il mondo per com’è e la dittatura delle opinioni prefissate – e un’esigenza di razionalità – la pulsione in rivolta da sola non basta a raggiungere gli obiettivi che si prefigge.
Il desiderio di filosofia è appunto, in un modo estremamente generale, il desiderio di una rivoluzione nel pensiero e nella vita, tanto collettiva che personale, e ciò in vista di una felicità reale distinta dalla parvenza di felicità qual è la soddisfazione. La vera filosofia non è un esercizio astratto. Da sempre, fin da Platone, essa si erige contro l’ingiustizia del mondo. Contro lo Stato miserabile del mondo e della vita umana. Ma lo fa in un movimento che sempre protegge i diritti dell’argomentazione e che in ultima istanza propone una nuova logica all’interno dello stesso movimento con il quale essa libera il reale della felicità dal suo sembiante.
Mallarmé, dal canto suo, ci propone questo aforisma: «Ogni pensiero emette un lancio di dadi».
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Roma. Botta e risposta
Roberto Giachetti vs. Paolo Berdini
Dopo 23 anni il PD romano (e per esso Roberto Giachetti) riscopre la pianificazione urbanistica. L'erede di quell'epoca nefasta attacca il nuovo assessore (Paolo Berdini), il quale replica da par suo. Il manifesto, 6 agosto 2006
* * *
Sul tema del piano urbanistico nessuna concreta indicazione
di Roberto Giachetti
Le linee programmatiche sono il documento che mostra alla città quali sono le scelte e gli interventi che dovranno essere messi in atto e qual è la visione che li guida. Il testo presentato dalla sindaca Raggi è in realtà un testo vuoto, perché manca proprio di quelle “azioni e progetti” che, sul piano della concretezza, devono dare indirizzo e corpo alle delibere della Giunta.
L’unica cosa che, invece, permea tutto il documento è l’apertura di “Tavoli” per qualsiasi cosa. Non c’è mai, però, un impegno preciso o una scadenza. In un momento storico in cui le città europee sono ferite da fatti gravissimi, non affronta nessuno dei “grandi temi” come, ad esempio, le migrazioni di milioni di persone, i cambiamenti climatici, la sicurezza, la tecnologia, il disagio nelle periferie, la mancanza di lavoro.
Prendiamo, per esempio, l’urbanistica che è, secondo me, la politica principe per dare attuazione alla visione che si ha della città, perché ha il compito di tramutare in trasformazioni urbane le idee che guidano il governo della città. Di tutto questo non c’è nulla nelle linee programmatiche, se non molta retorica e conclusioni generiche.
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Prof. Stiglitz, it's too late for wishful thinking
di Quarantotto
1. Dunque: il libro di Siglitz è pubblicato e ne circolano anche svariate recensioni: e tutte si possono definire "adesive", nel senso che ne condividono quantomeno l'analisi problematica, che ripercorre la serie di errori e di assurdità teorico-economiche che hanno caratterizzato l'applicazione e gli effetti disastrosi, a dir poco, della moneta unica. Ma, del libro, evidenziano pure le contraddizioni.
Voci dall'estero ci ha riportato un "doppio" commento di Sapir sempre al libro di Stiglitz e al quasi contemporaneo volume di Mervyn King, sempre sull'argomento della crisi della moneta unica.
Al di là dei rispettivi presupposti di teoria economica, entrambi gli autori prevedono una imminente grave crisi politica oltre che economica come futuro sviluppo inevitabile di un elemento "culturale" che qui abbiamo molte volte analizzato: le elites €uropee, in perfetta ed inevitabile continuità con l'intero paradigma pianificato da oltre 60 anni, concepiscono qualsiasi soluzione solo come un'intensificazione degli stessi meccanismi e delle stesse aspettative che hanno caratterizzato la loro azione immutabile.
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Il deserto dei tartari
La fortezza
Pietro Barbetta
Abbiamo affidato ai nostri autori la lettura di un classico che non conoscevano, da leggere come se fosse fresco di stampa
Il deserto dei tartari è un romanzo di Dino Buzzati pubblicato nel 1940. Racconta la vita di Giovanni Drogo, ufficiale dell'esercito di un paese che, così com'è descritto nel romanzo, somiglia all'Italia della prima metà del Novecento; tuttavia confina con un grande deserto. In fondo a questo deserto si suppone vivano i Tartari. Un deserto onirico, dove i confini rimangono incerti e si dilatano all'infinito.
Lo sfondo integratore del romanzo è la fortezza Bastiani. A differenza dell'agrimensore del Castello, il tenente Drogo raggiunge la fortezza, ci entra, viene arruolato e accolto. Il problema è come uscirne. Buzzati attenua di un grado lo stile di Kafka, Drogo entra nella fortezza, prende servizio e può anche andarsene. Nessuno, in linea di fatto, glielo impedisce. Rispetto al Signor K., Giovanni Drogo è libero; giunge alla Fortezza ha un colloquio immediato con il comandante e chiede il trasferimento, l'impressione di quei luoghi non è buona, vuole partire appena possibile. Ci resterà per la vita, esercitando la libera scelta.
La Fortezza, come la vita, ha un fascino irresistibile. Lo emana mano a mano che il tempo passa. Si tratta della presenza dell'altro: i Tartari. Realtà tenebrosa e sotterranea. Il Tartaro è il luogo della catatonia. Si può pensare al Deserto dei tartari come a un delirio catatonico, che ripete sempre l'identico.
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Quella fretta americana di bombardare Sirte…
di Federico Dezzani
Ad inizio agosto il presidente Barack Obama ha lanciato una nuova campagna di bombardamenti aerei sulla Libia: 30 giorni di durata e le roccaforti dell’ISIS a Sirte come obbiettivo. Colpire il Califfato, quando l’amministrazione statunitense ne ha coperto per mesi il radicamento nell’ex-colonia italiana, è sintomo che qualche novità è sopravvenuta: si tratta della prima visita a Mosca del generale Khalifa Haftar, capo delle forze armate del governo di Tobruk. Con il sostegno russo, egiziano e delle tribù fedeli al defunto Colonnello Gheddafi, sono alte le probabilità che Haftar riesca a riconquistare l’intero Paese, deponendo l’esecutivo americano-islamista di Faiez Al-Serraj: Sirte è un nodo strategico per bloccarne l’avanzata. Concedendo le basi siciliane agli USA, il governo Renzi si incammina a cuor leggere verso l’ennesimo disastro mediterraneo.
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Bombarda ché arrivano i russi!
Mancano solo pochi mesi all’addio di Barack Hussein Obama alla Casa Bianca, pochi mesi prima che il presidente che ha gettato nel caos il Medio Oriente e l’Europa (coadiuvato dal suo Segretario di Stato, Hillary Clinton) termini il mandato, prima di essere velocemente risucchiato dal cesso della storia.
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Sempre contro il lavoro
Elogio dei libertari olandesi del gruppo "De Moker"
di Clément Homs
Se risulta evidente che per troppo tempo si è proiettato sulla lotta di classe una rivoluzione radicale che dall'inizio del 19° secolo aveva cominciato a girare solo nella testa di qualche teorico della sinistra hegeliana (e in Marx nell'Introduzione al Contributo alla critica della filosofia del diritto di Hegel), oggi le "manie metafisiche" circa la lotta di classe, come dice Norbert Trenkle [*1], vengono resuscitate dalla loro tomba sotto forma di farsa. A grandi colpi di defibrillatore teorico, alcuni fanno ancora del nuovo proletariato (quello "incondizionatamente" vero e puro, come testimonierebbero i fantasmi attuali che vedono muoversi intorno al proletariato cinese, indiano, ecc.) una classe sociale suscettibile di rispondere alle esigenze dello schema dialettica, e di perdersi in un'alienazione radicale pur di realizzare una liberazione radicale (per altri ancora, si tratta del "Bloom" che, in questo schema, rimpiazzerà il proletariato...).
La morte della metafisica della lotta di classe
È possibile sentir dire, uscite dalle labbra di un individuo che legge concentrato sul suo e-reader, le parole secondo le quali la critica della dissociazione-valore avrebbe abbandonato la lettura "classista".
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Referenzum, se dico No…
di Militant
La strategia del sommergibile, l’hanno chiamata proprio così gli spin doctor di Renzi, neanche ci trovassimo in piena “Battaglia dell’Atlantico” durante la Prima Guerra Mondiale. Parliamo del tentativo di salvare in extremis le sorti del referendum autunnale, fortemente caldeggiato dall’Unione Europea, limitando al massimo l’esposizione mediatica del Premier rispetto alla riforma costituzionale. A ben vedere si tratta di una vera e propria inversione ad U da parte di quel Matteo Renzi che fino a poche settimane fa aveva fortemente personalizzato la consultazione referendaria, tanto da farne dipendere il proprio futuro politico (se perdo lascio!), e che adesso, intervistato dalla CNBC, è obbligato a volare più basso: sono sicuro che vincerò il referendum, ma non perché questa sarebbe la mia vittoria, non è il referendum di Renzi ma si decide del futuro dell’Italia. Allora, cos’è successo nel frattempo? Cosa ha spinto a più miti consigli il rottamatore toscano, notoriamente malato di protagonismo? Semplice, sulle scelte di Renzi e del suo entourage ha pesato la batosta presa dal PD alle amministrative, e non bisogna(va) essere dei fini analisti politici per comprenderlo, ma ancor di più hanno pesato le cause sociali e politiche che hanno determinato quel risultato e che sono state rese particolarmente evidenti soprattutto dall’andamento dei ballottaggi.
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La sinistra assente di Domenico Losurdo
di Maurizio Brignoli
Il lavoro di Losurdo parte dalla constatazione che, di fronte a una crisi economica e politica, caratterizzata dallo svuotamento della democrazia e dall’affermazione di una “plutocrazia” sempre più dominante, in Occidente c’è una sinistra assolutamente incapace di produrre un’analisi di questa duplice crisi e di articolare un progetto di lotta e di trasformazione politica della realtà esistente.
Si riscontrano due processi fra di loro intrecciati: la “grande divergenza” fra l’Occidente e il resto del mondo (in particolare la Cina) tende a ridursi, mentre nei paesi capitalisticamente più avanzati si afferma la “grande divergenza” fra un’élite opulenta e il resto della popolazione. Di fronte a questa situazione l’Occidente capitalistico procede smantellando lo stato sociale e tenta contemporaneamente di ristabilire la propria supremazia internazionale attraverso il ricorso a guerre neocoloniali. L’ideologia dominante punta a giustificare lo smantellamento dello stato sociale come necessaria conseguenza della crisi economica, in realtà, mostra Losurdo, ciò che avviene ai nostri giorni è il frutto di «una lotta di classe che abbraccia oltre due secoli di storia» (p. 22). Ad esempio, alla fine della seconda guerra mondiale, Hayek sottolineava come il welfare state inglese costituisse una minaccia per le caratteristiche fondamentali della civiltà occidentale, mentre negli anni ‘70 definiva i “diritti sociali ed economici”, sanciti dall’Onu, frutto dell’influenza rovinosa della rivoluzione bolscevica. L’attacco a questi diritti non si origina quindi in riferimento alla crisi economica.
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Etica e/del genocidio: i crimini nazisti e la responsabilità morale
di Armando Lancellotti
Alberto Burgio, Marina Lalatta Costerbosa, Orgoglio e genocidio. L’etica dello sterminio nella Germania nazista, DeriveApprodi, Roma, 2016, pp.350, € 20,00
«Non si fa mai il male tanto a fondo e con tanta lietezza come quando lo si fa in coscienza» (Pascal, Pensieri, ed. Brunschvicg, n. 895).
Questa folgorante intuizione pascaliana che Alberto Burgio e Marina Lalatta Costerbosa citano a pagina 199 del libro che qui presentiamo esprime in estrema sintesi la tesi di fondo dell’interessantissimo saggio recentemente scritto dai due docenti – di Storia della filosofia il primo, di Filosofia del diritto la seconda – dell’Università di Bologna: coloro che nella Germania nazista e nell’Europa da questa occupata perpetrarono il genocidio, o se ne resero complici collaborando in differenti modi, ovvero lo tollerarono assistendo indifferenti ad esso – pertanto si inoltrarono «tanto a fondo» nella pratica del male – lo fecero «in coscienza», cioè sapendo ciò che facevano e scegliendo consapevolmente di agire in quel modo. Ora, la prassi conseguente ad una scelta libera e consapevole pertiene all’ambito dell’etica e il caso di una prassi malvagia e criminale comporta di necessità la questione delle responsabilità morali (oltre a quelle penali, politiche o storiche) degli attori di tale crimine.
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A proposito del giovane Marx
di Carlo Scognamiglio
La casa editrice Orthotes ha ripubblicato Il giovane Marx (un agile opuscolo che Gyorgy Lukács diede alle stampe nel 1954), in un’elegante edizione curata da Piergiorgio Bianchi, che ripropone, con pochi accorgimenti, la bella traduzione di Angelo Bolaffi, del 1978.
Lukács non è solo un filosofo importante, ma è stato anche un grande scrittore, e la sua pagina è sempre stilisticamente apprezzabile, nonché pregna di intense riflessioni. Questo libro, come altre sue opere, si lascia leggere con avidità da quei lettori che apprezzano il raro connubio tra una prosa chiara e lineare, e la complessità della riflessione teorica.
Procedendo con ordine, l’autore segmenta il processo formativo di Marx secondo le fasi distinte della sua produzione giornalistica e filosofica. Secondo Lukács, la dissertazione dedicata alla Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro, con la quale Marx completò il suo percorso di studi universitari nel 1841, costituisce una notevole testimonianza della capacità del giovane studioso di distinguersi nel quadro concettuale della sinistra hegeliana, per la sua volontà di cercare un superamento del padre della dialettica che non fosse estrinsecamente polemico. Vengono messi a fuoco già in questa fase aurorale del pensiero marxiano alcuni elementi importanti della sua successiva maturazione teoretica, primo fra tutti l’embrionale tracciato di un materialismo non naturalistico, inteso quale veicolo di emancipazione anti-assolutistica.
Grande attenzione è dedicata da Lukács all’attività giornalistica di Marx, con particolare riferimento all’esperienza vissuta nella collaborazione e poi redazione della Gazzetta renana.
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Riflessioni e osservazioni sulla stagione che viviamo
Bruno Montanari
Parlerò “fuori dai denti” e anche con espressioni “fuori dai denti”.
La situazione internazionale sta avendo una accelerazione estremamente pericolosa.
1. La questione turca
In questa si tocca con mano la pochezza del ceto governante europeo, che ora si straccia le vesti per la “vendetta” di Erdogan e lo minaccia di chiudere definitivamente le sue aspirazioni europeistiche. Non ha capito forse che “quello”, di queste minacce, “se ne sta fottendo”? Per anni i governanti europei hanno civettato con lui, fino a dargli in mano l’arma di ricatto del fenomeno migratorio, con quella stessa miopia che i medesimi governi ebbero negli anni ‘30 con Hitler. E Erdogan ha aspirazioni “imperiali” da sultano ottomano. La sua possibile intesa con Putin, altro aspirante “imperatore” (ex sovietico), chiuderà l’Europa in una morsa tra Mediterraneo a Sud-Est e Russia a Nord-Est. Se questa è una prospettiva estremamente possibile, Erdogan diventa una spina nel fianco della NATO e può ricattare chi vuole e sicuramente rimanere insensibile ai “richiami” dell’Europa.
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Se la legge del nostro tempo è la violenza
di Paolo Bartolini
Pensare la violenza come sintomo di uno scasso psicosociale, politico e ambientale, messo in atto dal cosiddetto capitalismo assoluto
Gli aerei pronti a decollare per portare dal cielo la maledizione di un'altra guerra dagli effetti incontrollabili, l'esplosione di atti violenti, inconsulti, gettati nel calderone mediatico del terrore, il terrorismo feroce dell'ISIS e quello sterilizzato dei grandi interessi della finanza e dell'industria bellica... potremmo continuare a lungo ma bastano questi pochi cenni - a cui si aggiunge la tragedia di un crescendo impressionante di sevizie sulle donne - per dirci che la legge del nostro tempo è quella della Violenza. L'impazzimento collettivo denuncia, sulla soglia tra psiche e storia, individuo e collettività, il passaggio caotico che sta attraversando la società-mondo neoliberale, ormai giunta a una transizione di fase che mette in questione tutti gli equilibri precedenti e allude a una nuova era complessa ancora da cartografare. Registriamo dunque un'intima parentela tra violenza e caos, effetti sistemici e correlati di un'epoca che non vuole tramontare.
L'epoca della dismisura, l'epoca del denaro che si accumula e dell'Uno omologante dell'apparato tecno-capitalista.
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Terroristi e Pokemon, stessi mandanti e stessi corifei ("il manifesto" & Co.)
di Fulvio Grimaldi
Virtuali per non morire….liberi.
Le creature virtuali sono perfette, non inciampano, non prendono cantonate, non si distraggono. Quelle in carne e ossa no, toppano, spesso alla grande. Si salvano solo perché c’è un coro assordante che ne copre le manchevolezze. Coloro che mandano la gente a caccia di Pokemon, in parallelo evidente, per quanto inconsapevole, ma certo gratificante, con i cacciatori di teste dell’Isis, maneggiano materia cerebrale già collaudata da anni di ciberpratiche sui cellulari e sui videogiochi. Il rapporto tra l’essere virtuale sullo schermo e l’essere apparentemente ancora reale che manovra l’apparecchio, è disciplinato da regole e meccanismi che non prevedono sbavature, errori, uscite dallo schemi. Salvo che, come va capitando, il demente incaponito su un Pokemon all’incrocio tra Corso e Via Garibaldi non si faccia radere al suolo dal tram.
Non così quando cacciati e cacciatori appartengono tutti ancora alla specie degli uomini. Che a cacciare siano i cosiddetti terroristi jihadisti (e basta il clic di Rita Katz per rivendicare all’esercito del califfo chi ha picchiato la suocera, o incendiato il bosco, in tal modo includendo nelle di luii armate l’universo mondo di matti e delinquenti), o i cacciatori di terroristi cosiddetti jihadisti, il rischio di accidenti, imprevisti, dimenticanze, trascuratezze, è onnipresente e immancabilmente si verifica.
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Monte dei Paschi di Siena: salvata da J. P. Morgan?
di Leonardo Mazzei
Dunque il Monte dei Paschi di Siena è "salvo"? E, se sì, può essere questa la svolta decisiva della crisi bancaria italiana? Se la risposta alla prima domanda è assolutamente prematura, quella alla seconda è un rotondissimo no. Ma c'è un'altra domanda. Nel caso il salvataggio si concretizzi, quale sarà il nome del proprietario della nuova good bank? Non sarà, per caso, quello di JP Morgan?
La paura fa novanta, e gli oligarchi della finanza si son dati da fare ad architettare una via d'uscita da una situazione che rischiava di avere pesanti ripercussioni su tutto il settore bancario. Idem i decisori politici, semplicemente atterriti all'idea di dover applicare ilbail in- che pure hanno approvato in sede europea - alla quarta banca italiana.
Insomma, Mps è stata considerata da tutti costoro Too big to fail, anche se nel caso non di fallimento si sarebbe trattato, bensì (come si dice nell'insuperabile eurocratese) di una "risoluzione". Il problema è che il conto di queste "risoluzioni" (vedi il caso delle quattro banche "risolte" l'autunno scorso) spetta oggi a chi possiede obbligazioni, in primo luogo quelle subordinate.
Il governo si è dunque preoccupato dei risparmiatori che sarebbero stati colpiti?
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