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ass sylos labini

Giorgio Lunghini 1938-2018

di Joseph Halevi

La scomparsa di Giorgio Lunghini mi ha rattristato moltissimo, come è già successo pochissimo tempo fa con il decesso di Aris Accornero. Sono figure centrali del pensiero progressista italiano nel campo delle discipline sociali. Nell’ambito economico tale pensiero, sviluppatosi dopo la Liberazione, si è rivelato essere decisamente il più avanzato d’Europa e tra i più innovatori nel mondo intero. Mi riferisco a persone come Paolo Sylos Labini (1920-2005), Luigi Pasinetti (1930-) Claudio Napoleoni (1924-1988), Federico Caffè (1914-1987 anno della sua misteriosa sparizione), Augusto Graziani (1933-2014), Marcello De Cecco (1939-2016), Pierangelo Garegnani (1930-2011), Sergio Steve (2015-2006), Pasquale Saraceno (1903-1991), Siro Lombardini (1924-2013). Prese nel loro insieme queste persone hanno prodotto dei pensieri non dogmatici, rigorosi, poliedrici, articolati, differenti ma non necessariamente incompatibili tra di loro. Il conformismo dilagante dalla fine degli anni 80 del secolo scorso e la normalizzazione accelerata del pensiero economico accademico ha comportato una rapida marginalizzazione delle idee di questi grandi intellettuali man mano che raggiungevano l’età pensionabile.

Giorgio Lunghini, che con mio grande dispiacere si aggiunge all’elenco degli scomparsi, è stato un intellettuale che le suddette idee ha coltivato e contribuito ad arricchire con le proprie elaborazioni.

Non ho mai conosciuto Lunghini di persona ma ho letto e studiato la maggioranza dei suoi scritti. Aveva un modo estremamente raffinato ed elegante di pensare, di porre i problemi. Riusciva a fondere l’ottica analitica con un approccio basato sulla storia del pensiero economico e sulla sottigliezza ed intelligenza interpretativa che nasceva dalla conoscenza culturale del contesto in cui si situavano gli autori e le scuole di pensiero. Ne scaturivano dei ragionamenti molto smussati e contemporaneamente saldamente inseriti in un ampio retroterra storico-teorico. Ciò portava Lunghini – le cui radici culturali affondavano nel pensiero classico e marxiano e nell’importanza di quello keynesiano per la politica economica – a non collocarsi, giustamente, in alcuno dei campi chiesastici e settari in cui spesso si suddividono gli economisti detti eterodossi.

Incontrai i lavori di Lunghini nel 1971 allorché apparse per le edizioni de il Mulino il volume Valore, prezzi e equilibrio generale da lui curato. Lunghini effettuò una scelta molto accurata dei testi classici. Il libro rimane ancor oggi, sia in Italia che altrove, una delle migliori antologie su temi afferenti alle caratteristiche fondamentali delle teorie economiche. Mi rimase impressa l’introduzione in cui, oltre ad enunciare molto chiaramente il nesso tra le caratteristiche analitiche delle teorie e le loro radici filosofiche, Lunghini argomentava che i manuali servono solo come riferimenti sintetici ma che lo studio vero e proprio deve avvenire sui testi originali. Nei miei 40 anni di docenza universitaria (effettuati all’estero) ho fatto tesoro del metodo di Lunghini cercando di limitare al massimo l’uso della manualistica. Quel libro ebbe per me una funzione propedeutica in quanto costituì un’ottima preparazione per poi studiare un’importante raccolta di saggi di autori italiani contemporanei, anch’essa incentrata su temi fondamentali e connessi a quelli affrontati nella curatela di Lunghini. Si trattava del volume Prezzi relativi e distribuzione del reddito curato da Paolo Sylos Labini che uscì qualche anno dopo nel 1973 per i tipi della Boringhieri; nell’arco dello stesso decennio, nel 1977, Lunghini pubblicò un gran bel libro per la Feltrinelli: La crisi dell’economia politica e la teoria del valore.

Il rapporto tra politica e teoria economica è stato un elemento centrale del pensiero e degli interventi di Giorgio Lunghini. Egli organizzò in proposito il convegno “Scelte politiche e teorie economiche in Italia (1945-1978)” di cui curò gli atti e scrisse l’introduzione per la casa editrice Einaudi che li stampò nel 1981. Fu un convegno importante, anche con un certo psicodramma, che avrebbe potuto, nel corso degli anni Ottanta, aprire un nuovo filone di riflessione sul rapporto tra politica ed economia in base all’esperienza italiana con una valenza quantomeno europea. Ben diversa però avrebbe dovuto essere l’atmosfera politico-culturale che invece, già allora, si andava rapidamente degradando. Durante i quasi due decenni che intercorrono tra il 1991 e lo scoppio della crisi nel 2007 persi il contatto con le pubblicazioni di Lunghini, sostanzialmente a causa della distanza che rendeva i suoi scritti difficilmente accessibili. Dal 2008 ho avuto il modo di apprezzare i suoi contributi resi raggiungibili grazie alle mutate condizioni tecnologiche riguardo le comunicazioni. Pertanto propongo ai lettori, come atto di commiato, un suo intervento, che mi sembra sia del 2011, trasmesso e video-registrato da Rai-cultura.


http://www.economia.rai.it/articoli/giorgio-lunghini-il-sistema-capitalistico-nella-crisi/16008/default.aspx

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