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marxianomics

La Teoria del Circuito Monetario: Tutto Quello che So (o Quasi)

di Marco Veronese Passarella

Ricorre oggi l’anniversario della morte di Augusto Graziani, uno dei più eminenti economisti italiani del novecento e padre del filone teorico eterodosso noto come teoria del circuito monetario (TMC). Benché apparentemente semplice ed intuitiva, la TCM nasconde alcune insidie interpretative che nel tempo hanno dato adito a fraintendimenti e ne hanno depotenziato il messaggio originario. Le brevi note che seguono hanno lo scopo di contribuire a fare chiarezza su alcuni punti chiave della TCM. Con l’avvertenza che si tratta di considerazioni personali sparse, senza alcuna pretesa di esaustività.

 

Che cosa la TCM di Augusto Graziani mi ha insegnato

Che un’economia monetaria di produzione, o economia capitalistica, è composta necessariamente da tre macro-classi sociali: imprese (o capitalisti industriali), lavoratori salariati e banche (o capitalisti finanziari).

Che in tale sistema la moneta è un rapporto sociale triangolare in cui le passività di un soggetto terzo, la banca, vengono accettate come mezzo di regolamento degli scambi tra due contraenti (impresa vs salariati o imprese vs imprese).

Che le imprese hanno bisogno di un finanziamento iniziale per dare avvio al processo complessivo di produzione e di scambio.

Che tale finanziamento è moneta-credito creata ex nihilo dal sistema bancario, non necessitando alcuna previa accumulazione di fondi prestabili o risparmi (o, detto diversamente, è l’erogazione di prestiti che genera depositi, non viceversa).

Che nuova moneta viene creata quando la banche accreditano il conto corrente delle imprese, e distrutta quando le imprese ripagano i propri debiti con le banche.

Che il finanziamento ex ante deve necessariamente coprire i piani di produzione delle imprese (dunque sia produzione di beni di consumo che produzione di beni capitale), sebbene ciò che residua ex post sia sempre la parte di investimenti non coperta con fondi interni o nuove emissioni di titoli.

Che i fondi raccolti mediante collocazione di titoli sui mercati finanziari, essendo null’altro che una delle forme assunte dal risparmio dei salariati, seguono sempre logicamente la creazione di moneta bancaria e non possono dunque sostituirsi ad essa – rappresentando, invece, uno dei canali del finanziamento finale delle imprese.

Che, in modo analogo, il credito al consumo deve essere logicamente collocato in fase di chiusura del circuito – essendo un altro canale di finanziamento finale delle imprese – e non di apertura.

Che ogni decisione di tesoreggiamento dei salariati comporta un corrispondente indebitamento delle imprese verso il sistema bancario.

Che imprese e lavoratori possono contrattare soltanto il livello nominale del salario, essendo il suo livello reale definito ex post dal livello dei prezzi dei beni di consumo (determinato, a sua volta, da autonome decisioni delle imprese).

Che, in equilibrio di riproduzione, variazioni nel livello della domanda aggregata non hanno alcun effetto necessario su livello e composizione del prodotto nazionale, sull’occupazione e sul salario reale (distribuzione), essendo tali variabili determinate in ultima istanza dalle decisioni autonome delle imprese.

Che, dunque, ceteris paribus politiche fiscali espansive e trasferimenti valgono a modificare la distribuzione reale del reddito all’interno della classe dei salariati (p.es. dai lavoratori occupati a quelli inoccupati), mentre lasciano inalterata la distribuzione tra classi sociali.

Che se è vero che il livello dei prezzi dipende dai costi di produzione, è anche vero che l’inflazione è uno degli strumenti che consentono alle imprese di imporre i propri piani di produzione ai salariati (risparmio forzato).

Che un aumento del tasso di interesse di riferimento ha effetti inflazionistici se le imprese decidono di mantenere inalterato il proprio margine di profitto.

Che, essendo l’acquisto di forza-lavoro l’unico scambio esterno per le imprese nel loro insieme, é nell’appropriazione del prodotto del plus-lavoro (e cioè della parte della giornata lavorativa complessiva eccedente il tempo di lavoro necessario) che va rinvenuta l’origine del profitto per l’insieme delle imprese, mentre la compravendita di beni capitale è solo un gioco a somma zero.

Che spesa pubblica ed esportazioni nette agevolano la monetizzazione dei profitti realizzati dalle imprese ed il ripagamento degli interessi bancari.

 

Che cosa la TCM di Augusto Graziani NON mi ha insegnato (nel senso che non dice, né dovrebbe dire)

Che non esistono altri gruppi o sotto-classi sociali, oltre ai tre menzionati.

Che un’impresa, considerata individualmente, non può finanziare la propria attività attraverso altri canali, oltre al finanziamento bancario.

Che il sistema bancario non può svolgere anche il ruolo di intermediario dei risparmi.

Che gli investimenti non vanno finanziati dal credito bancario.

Che l’unica forma di mezzo di pagamento è la moneta bancaria (depositi) e che i mercati finanziari non ricoprono alcun ruolo.

Che il credito al consumo deve essere escluso dall’analisi.

Che la fissazione del salario nominale è sempre ininfluente per la distribuzione.

Che variazioni della domanda aggregata non possono mai avere un effetto su prodotto nazionale, occupazione e distribuzione, ovvero che sono sempre efficaci (dipendendo, invece, da decisioni prese dalle imprese in piena autonomia).

Che politiche espansive o di trasferimento monetario non hanno mai alcuna efficacia, ovvero che sono sempre efficaci (dipendendo, invece, da decisioni prese dalle imprese in piena autonomia).

Che l’inflazione è sempre un fenomeno positivo, ovvero negativo, per la classe dei salariati.

Che un aumento dei tassi di interesse ha sempre effetti inflazionistici, ovvero deflazionistici (dipendendo, invece, da decisioni prese dalle imprese in piena autonomia).

Che l’interpretazione tradizionale della teoria marxiana del plusvalore come pluslavoro va accettata così com’è, ovvero che deve essere rigettata.

Che, in assenza di spesa pubblica ed esportazioni nette, le imprese non possono mai realizzare profitti (reali) e/o pagare gli interessi dovuti alle banche.

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