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Joker, il giustiziere “populista”

di Carlo Formenti

Il Joker di Todd Phillips, magistralmente interpretato da Joaquin Phoenix, è uno dei film più politici che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni. La vicenda del comico fallito che, già vittima di infiniti soprusi da parte di una metropoli spietata (la Gotham City ritagliata su New York), si trasforma in giustiziere dei propri persecutori, assurgendo a simbolo di una rivolta “populista” (“uccidiamo i ricchi”, esortano i cartelli inalberati dalla folla inferocita che, nelle scene finali, devasta la città indossando la maschera del joker), è di grande attualità in giorni che vedono esplodere i centri storici di Barcellona, Quito e Santiago del Cile, percorsi da folle infuriate, emule delle imprese dei gilet gialli.

Joker non è un leader: è, come si è detto, un simbolo, una maschera di cui la gente si appropria perché si rispecchia nel risentimento che lo induce a uccidere quelli che lo hanno trattato come un rifiuto umano (come il conduttore televisivo, interpretato da de Niro, che lo chiama in tv solo per farne lo zimbello di una puntata del suo show). È il simbolo dell’odio di classe nell’era in cui le classi hanno perso rappresentanza politica e consapevolezza collettiva della propria identità, è “populismo del popolo”, come qualcuno ha definito i gilet gialli che convergono dalle periferie della Francia per assediare l’odiata Parigi/Gotham, una metropoli gentrificata che ha vomitato fuori si sé le classi popolari.

È l’odio che ispira lo slogan “antipolitico” que se vayan todos della rivolta argentina del 2001, che quasi vent’anni fa inaugurava la svolta a sinistra del subcontinente latinoamericano. Da quella e altre rivolte sono nate i governi populisti di sinistra in Argentina e Brasile e le rivoluzioni bolivariane in Venezuela, Bolivia ed Ecuador, un’ondata che negli ultimi anni è parsa rifluire, con il ritorno al potere di governi neoliberisti quasi ovunque (meno che in Bolivia e Venezuela). Ma è bastato che la gente sperimentasse gli effetti di quella controsvolta sulle proprie condizioni di vita per far riesplodere la rabbia che ora torna a incendiare le strade.

È chiaro che, per riaccendere la speranza di un futuro alternativo, non bastano figure-simbolo come Joker (anche se ogni rivolta non può farne a meno): occorre che esistano forze politiche organizzate e programmi di governo capaci di canalizzare e dare sbocco alla rabbia popolare, e occorrono leader come Evo Morales, Raphael Correa, Hugo Chavez, Bernie Sanders, Jeremy Corbyn e altri (ho volutamente citato figure assai diverse che rispecchiano le differenze altrettanto radicali fra i rispettivi Paesi, ma hanno in comune l’obiettivo di spezzare l’egemonia liberista). Chi ha ragione di temere che questo succeda, cioè le élite economiche, politiche, mediatiche e accademiche, non cessa di lanciare appelli contro la minaccia populista, senza distinguere fra populismi di sinistra e di destra (non a caso, il Parlamento europeo ha appena votato un’infame risoluzione che equipara nazismo e comunismo), ma neanche rinuncia a demonizzare i joker di turno, i singoli protagonisti, disorganizzati e politicamente “incolti”, della rivolta.

Ad assumersi tale ruolo è, fra gli altri, lo scrittore Alessandro D’Avenia in un articolo sul Corriere del 21 ottobre, dal titolo “La risata di Joker”, nel quale scrive: “Assassinando chi gli ha fatto del male, Joker libera la violenza della massa in attesa gregaria del suo eroe per sentirsi giustificata a sfogare insoddisfazione, rabbia e violenza”. E più avanti aggiunge: “la sempre ardua ribellione al male sta nel non diventarne parte e non identificarsi con esso… il male si vince senza il male, si disinnesca solo col bene”. Come da manuale: dal disprezzo dell’intellettuale per le folle “gregarie” (speculare a quello dei politici: ricordate la battuta di Hollande sugli sdentati?), che sanno solo “sfogare” i propri peggiori istinti, all’appello “cristiano” (o meglio da sagrestia) a rispondere al male con il bene. La morale è che non c’è differenza qualitativa fra il male perpetrato dai potenti e quello delle loro vittime che, condotte ai limiti della sopportazione, li ricambiano di pari moneta.

Chiarito che il Cristo non c’entra, visto che, pur invitando a porgere l’altra guancia, non ha mai tenuto una posizione equidistante fra chi sta sopra e chi sta sotto; il vero obiettivo è condannare non solo ogni forma di rivolta collettiva, ma anche le rivolte individuali “esemplari”, che possano istigare la rivolta collettiva (a meno che, ça va sans dire, non si tratti delle rivolte contro Maduro, Putin e il governo cinese in nome della “democrazia” di Gotham City).

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