
Fin qui tutto bene
di Andrea Zhok
Come diceva quel signore in caduta libera senza paracadute:
"Fin qui, tutto bene; e anzi c'è un bel venticello."
Per l'ennesima volta l'Italia appare in fondo ai rapporti europei sulle stime del PIL, intanto il debito pubblico continua ad aumentare sia in termini assoluti, sia in rapporto al PIL, superando il 137%, mentre aziende strategiche come Alitalia e Ilva sono col cappello in mano alla ricerca di un compratore privato, e sotto minaccia di devastanti riduzioni del loro perimetro occupazionale e produttivo.
Un rapido giro sui media alla ricerca di consigli su cosa fare incontra innanzitutto il commissario UE Pierre Moscovici, che dopo aver assicurato che i rapporti con l'attuale governo italiano sono tutto uno zucchero, dice che però non si sono fatti ancora abbastanza "sforzi per ridurre il debito pubblico" e che l'Italia non potrà rinviare per sempre le "necessarie riforme strutturali".
Al contempo gli 'esperti' intervistati su Sky e Euronews sono unanimi nel dire che l'unica ricetta percorribile consiste nel ridurre le tasse, e nel dare incentivi alle aziende private affinché investano.
Ora, componendo tutti questi suggerimenti, il quadro altamente consigliato da esperti e competenti per le sorti dell'economia italiana è dunque il seguente:
Meno tasse e più incentivi ai privati, mentre si riduce il debito pubblico e mentre si fanno, non meglio precisate 'riforme strutturali'.
Ma per ridurre le tasse e fornire incentivi, tenendo simultaneamente sotto controllo il debito, bisogna sottrarre denaro ad altre componenti di spesa pubblica: o meno servizi, o meno investimenti pubblici, o meno salari pubblici (o anche tutte e tre le cose insieme).
Ma tutte e tre queste opzioni intaccano in prima battuta il PIL.
Si potrebbe sperare allora che questa riduzione venga compensata da investimenti privati, che magari aumentano anche la produttività.
Solo che gli investimenti privati avvengono quando c'è aspettativa di una crescita della domanda. E nella cornice presentata non ci può essere crescita della domanda interna (che anzi deve essere in calo) mentre al contempo la domanda esterna è stagnante (bassa crescita in Europa, recessione in Germania).
A questo punto forse si riesce a dare un volto all'espressione sibillina "necessarie riforme strutturali".
Ogni rottura dei funzionamenti consolidati nella macchina pubblica ha costi iniziali, e se non vengono affrontati, essa produce di fatto un peggioramento nell'efficienza complessiva (l'illusione degli 'efficientamenti a costo zero' l'abbiamo già vissuta e scontata).
Dunque nessuna riforma migliorativa della qualità del sistema può avvenire a costo zero.
Dunque, nelle condizioni di cornice date, nessuna riforma migliorativa della produttività pubblica (ad esempio, dei trasporti, della giustizia amministrativa, del 'capitale umano', ecc.) può avvenire.
Resta allora una sola strada 'riformatrice' aperta, ovvero quella che riduce ancora il perimetro dello Stato, da un lato svendendo qualcosa di quel poco di appetibile che ancora è rimasto (Leonardo, Fincantieri) e dall'altro privatizzando un po' di servizi ancora erogati dal pubblico. Ciò riduce il fabbisogno e porta una tantum qualche introito. Dunque nel breve termine è l'unica strada percorribile, anche se essa prosegue nell'avvitamento debitorio, non alimentando il Pil a medio termine.
Come si vede, alla fine il quadro non è poi tanto difficile da interpretare e le 'riforme necessarie' hanno un volto ben definibile.
Una vera fortuna che nel frattempo stiamo affrontando con piglio decisionista la diffusione dell'Odio e il negazionismo climatico. E infatti, mentre all'estero fanno shoppping delle nostre aziende, applaudono anche convinti il nostro progressismo civico: è un vero piacere trattare con noi.
Ma anche oggi il sole è sorto su Montecitorio, dunque fin qui tutto bene, fin qui tutto bene...






































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