Un voto che delegittima l’Unione europea
di Ascanio Bernardeschi
Il voto e soprattutto il non voto del 9 giugno hanno delegittimato le istituzioni europee. Il rafforzamento delle destre, prodotto dalle inadeguate risposte alla crisi, non produrrà cambiamenti importanti nelle politiche imperialiste e liberiste dell’Ue. Ci battiamo per una maggiore presenza e unità dei comunisti, all’interno di un ampio schieramento per la pace e i diritti sociali, quale elemento di resistenza contro i rigurgiti neofascisti.
L’Unione europea, fin dal trattato di Maastricht e dai suoi precedenti, si è caratterizzata come un tentativo di integrazione economica sulla base si un modello liberista e imperialista. È stata, per esempio, funzionale al colonialismo in Africa e, dopo la fine del campo socialista europeo, all’omologazione dei modelli sociali nei Paesi ex alleati dell’Urss, intossicando il continente di nazionalismo, razzismo e neofascismo, aderendo inoltre a tutte le guerre della Nato.
Le sofferenze sociali derivanti dalla crisi del capitalismo, l’assenza di ogni ipotesi alternativa alle politiche liberiste che hanno devastato i diritti sociali e richiesto un viraggio progressivo verso l’autoritarismo e la riduzione degli spazi democratici, hanno determinato un malcontento popolare che, in assenza – salvo pochissime eccezioni – di una sinistra forte e incisiva hanno avvantaggiato la lievitazione della falsa alternativa di destra.
Per fortuna, nelle recenti elezioni europee non tutto il malcontento ha guardato a destra.
Intanto c’è il dato importante, e non a caso trascurato dai media, dell’astensionismo. In Italia ha votato meno della metà degli aventi diritto. Se si aggiunge il circa 5% di schede bianche o nulle si va molto al di sotto di questa metà. Certamente una parte del non voto è fisiologica, un’altra parte è dovuta al qualunquismo – quest’ultimo però in qualche modo anche conseguenza dell’assenza di alternative – ma un dato così eclatante significa l’ennesima delegittimazione delle istituzioni dell’Unione europea. Ennesima, perché ogni qual volta i popoli sono stati chiamati a esprimere in appositi referendum (mai in Italia) l’approvazione o meno della Costituzione europea, quest’ultima è stata sonoramente bocciata, tanto che l’establishment ha ovviato cambiandole nome. Ora si chiama “Trattato”.
L’astensionismo non è un dato solo italiano. Nella maggior parte dei Paesi ha dimensioni paragonabili a quelle italiane. Poi ci sono numerosi Paesi in cui la partecipazione al voto si attesta addirittura fra il 20% e il 40%: Repubbliche baltiche al 30%, Bulgaria 31%, Croazia 21%, Grecia e Polonia 40%, Slovacchia e Slovenia 34%, Portogallo e Repubblica Ceca 36%. Fanno eccezione alcuni piccolissimi Stati quali Belgio (dove hanno sede le istituzioni europee) e Malta e infine, dato più significativo, Germania, col suo comunque non eclatante 65%. Ma in quest’ultimo caso il voto ha bocciato pesantemente il governo che si è caratterizzato per il sostegno della guerra in Ucraina e la Spd è scesa sotto il 15% dei consensi.
L’astensionismo elevato si spiega anche con il fatto che la democrazia europea è truccata.
I popoli sono chiamati a decidere la composizione di un Parlamento che non conta niente, in quanto i poteri effettivi, fra cui quello legislativo, sono detenuti dalla Commissione e comunque, chiunque governi, è la volontà dei mercati finanziari e della Banca Centrale, resa indipendente dalla politica, che determina le scelte più importanti.
Come in Germania, anche in Francia è stato bocciato sonoramente il governo in carica, che ha raccolto solo il 14% dei consensi, e la sua politica bellicista. Macron, che è stato la punta avanzata del bellicismo europeo, ha subito una sconfitta catastrofica, tanto che ha deciso lo scioglimento del Parlamento. L’esito del voto anticipato, specie nel caso dovesse stravincere l’estrema destra della Le Pen, potrebbe condizionare l’assetto dei poteri in Unione europea, anche se non le politiche. Per contrastare questo esito, difficilmente scongiurabile, si è ventilata l’ipotesi di costituire un fronte popolare e si stanno svolgendo manifestazioni antifasciste in molte città, mentre invece preoccupa la possibile alleanza fra la Le Pen e i neogollisti “Les Républicains”.
La guerra in corso contro la Russia, a cui ormai stiamo partecipando, così come siamo complici del genocidio del popolo palestinese, ha registrato quindi una bocciatura, ma siamo certi che ciò – a proposito di voto utile – non cambierà la postura guerrafondaia delle nostre istituzioni e infatti, proprio in questi giorni, nel G7, si stanno elaborando linee ancora più aggressive verso Russia e Cina.
Per quanto riguarda le formazioni comuniste o anticapitaliste, si registra in genere una loro tenuta, fra cui si segnala quella della lista di sinistra capeggiata da Jean-Luc Mélenchon, La France Insoumise, in Francia, ma nessun balzo significativo se si esclude l’ottenimento di circa il 10% da parte del partito comunista greco, Kke, il buon risultato (6,2%) della lista di Sahra Wagenknecht, la quale recentemente aveva abbandonato la Linke per approdare a una posizione più radicale e marxista.
A livello europeo, nel complesso, le forze conservatrici e di estrema destra si rafforzano sensibilmente, mentre arretrano quelle di centro sinistra, ormai appiattite sulle politiche dell’Unione europea. Il raggruppamento dei Popolari costituisce l’ago della bilancia, rendendo possibile, almeno sulla carta, sia una maggioranza di centrosinistra, sia di centrodestra. La sorte della von Der Leyen appare legata all’esito dei mercanteggiamenti probabilmente già in atto.
Tornando all’Italia, se il dato più significativo è l’astensionismo, vanno segnalati l’incremento del Pd che avanza in voti (+250 mila) e in percentuale (+5%) e quello di Avs che guadagna oltre mezzo milione di voti rappresentanti oltre il 50% del proprio precedente dato. Questo incremento parrebbe anche il risultato dell’effetto Salis, così come il Pd, probabilmente, si è avvantaggiato di un’operazione di maquillage, candidando pacifisti come Tarquinio e Cecilia Strada, nonostante la sua posizione ancora a sostegno della guerra della Nato.
La Meloni invece ha meno ragioni per cantare vittoria perché, se è vero che cresce di circa 3 punti percentuali, perde circa 600 mila voti e vede avvicinarsi il Pd. Se è il dato percentuale che determina l’assegnazione dei seggi, è vero anche che l’uscita di voti verso l’astensione costituisce comunque un elemento da tenere in considerazione per tastare il polso dell’elettorato.
Eclatante è la perdita di quasi 2 milioni di voti dei 5 stelle, così come sono da segnalare la perdita di circa 350 mila voti della Lega, la scomparsa del partito di Renzi, che era schierato insieme alla formazione ipereuropeista della Bonino, e del partito di Calenda.
Deludente, anche se prevedibile, è stato il risultato della lista Pace Terra e Dignità, che comunque si pone leggermente al di sopra del risultato di due anni fa di Unione Popolare, non riuscendo a ottenere seggi, e meritatamente catastrofica si è rivelata l’operazione avventata di Rizzo in combutta con settori dell’estrema destra.
Se dopo queste elezioni la bilancia del Parlamento europeo pende di più a destra, non è scontato che ci saranno importanti cambiamenti nelle istituzioni che contano. L’Europa continuerà a essere un polo europeo vassallo degli Usa sia pure con una destra che si sta riorganizzando a livello internazionale e che peserà di più; il modello sociale europeo, che Draghi dichiarò non essere più sostenibile, continuerà a essere smantellato; l’isteria e la guerra, quella economica e quella vera e propria, verso la Cina, la Russia e i Brics continuerà, forse con qualche defezione di singoli Stati, così come continuerà il suprematismo che ci vorrebbe “giardino” della civiltà di fronte alla “giungla” rappresentata dalle nazioni che rifiutano di sottomettersi al dominio occidentale.
Non è prevedibile neppure un ripensamento dei partiti di centrosinistra che presumibilmente continueranno a convergere con quelli di centrodestra sui temi della guerra, dello smantellamento dei diritti sociali, dell’affievolimento del ruolo dello Stato nella regolazione dell’economia e perfino su quello della sicurezza, cavallo di battaglia delle destre, con possibili ulteriori strette autoritarie, favorite dalla guerra in atto, come, per esempio, è avvenuto platealmente in Germania in cui si è cercato addirittura di proibire le manifestazioni contro Israele. La differenza riguarderà essenzialmente i diritti civili.
In questo panorama, ci riguarda da vicino l’inconsistenza, salvo rare eccezioni, dei movimenti comunisti e anticapitalisti e, specie in Italia, la loro frammentazione che ci impegnano in un faticoso ma ineludibile lavoro di promozione dell’unità, perché un campo comunista più forte e attendibile possa far parte di uno schieramento più ampio contro i rigurgiti fascisti, la guerra e l’attacco ai diritti dei lavoratori e sociali.
Il Movimento per la Rinascita Comunista e questo giornale intendono operare e già stanno operando insieme ad altri soggetti per perseguire questo obiettivo, partendo dalla creazione di una seria e coerente piattaforma politico-teorica e dall’ascolto dei bisogni delle masse lavoratrici, dal sostegno e dalla promozione delle lotte contro il dominio del capitale, per l’allargamento della democrazia e per la pace. Solo questo paziente lavoro di accumulazione delle forze, partendo dai luoghi del conflitto e non di accozzaglie elettorali estemporanee, potrà consentire ai comunisti, quando si saranno create le condizioni, di presentarsi alle competizioni elettorali.







































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