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doppiozero

Parisi: la fisica per salvare il Pianeta

di Mario Porro

e0eef78dd9d32d44cc003860cb65517b xlPrima che il conferimento del premio Nobel lo portasse alla ribalta, Giorgio Parisi aveva ricevuto nel 1992 un altro premio, per alcuni versi ancor più significativo, quello dedicato a Ludwig Boltzmann, il fisico tedesco strenuo difensore dell’atomismo, morto suicida nel 1906. Oltre ad aver dato fondamentali contributi nell’ambito della termodinamica, Boltzmann aveva aperto promosso, insieme a J. W. Gibbs, lo sviluppo della meccanica statistica, lo studio cioè dei fenomeni che coinvolgono grandi numeri, insiemi composti da una molteplicità di elementi in interazione, come le molecole di un gas. Non potendo determinare le singole traiettorie delle molteplici particelle che formano un sistema complesso, si deve ricorrere a metodi probabilistici, un lavoro che ha ricevuto contributi fondamentali dall’avvento dei computer. Non possiamo stabilire con esattezza il prodursi di un evento, come non possiamo prevedere la traiettoria di volo di un singolo storno fra le decine di migliaia che compongono lo stormo svolazzante nei cieli autunnali di Roma (un esempio caro a Parisi); possiamo però indicare la probabilità del prodursi di un processo, indicare la forma che potrebbe disegnare l’apparente caos dello stormo in fuga dagli assalti di un falco.

La “complessità” era diventata oggetto dell’interesse scientifico a partire dagli anni Settanta, anche se gli studi che ne avevano segnato l’inizio erano già emersi con gli articoli del meteorologo Edward Lorenz (occorre ricordare l’“effetto farfalla”?), risalenti al 1963 ma passati quasi sotto silenzio. Anche se c’era chi, come Carlo Emilio Gadda, narratore di dinamiche caotiche, aveva abbozzato, nella Meditazione milanese del 1928, fra mentalità ingegneresca e suggestioni filosofiche, una “teoresi” fedele al “senso della complessità” che rintracciava ovunque nella realtà.

All’inizio degli anni Ottanta la rivista “Scientific american” dedicava un famoso articolo agli “attrattori strani”, sottotitolo “schemi matematici fra l’ordine e il caos”, firmato da Douglas R. Hofstadter, autore del libro di culto Godel, Escher e Bach (1979, Adelphi, 1984). Poi le ricerche nei diversi ambiti della ricerca scientifica e della filosofia si sono diffuse, insieme alle opere divulgative come il famoso Caos di James Gleick (Rizzoli, 1989). Con l’abituale cautela dello scienziato, Parisi ricordava però che il termine “complessità” va usato con prudenza e non come alibi per la nostra ignoranza: sistemi che non comprendiamo possono rivelarsi solamente complicati, manifestare un ordine soggiacente, offrirsi alla decifrazione di un algoritmo. Meglio riservare il termine “complessità” ad insiemi non omogenei e disordinati, ad esempio quelli che la fisica incontra a fine Ottocento quando Henry Poincaré riflette sul problema dei tre corpi, anomalia, per dirla con Kuhn, nel tessuto “armonioso” dell’universo newtoniano. Se può essere semplice descrivere l’interazione di due masse (ad esempio un pianeta e il suo satellite) in base alla legge di gravitazione, le cose si fanno appunto “complesse” quando consideriamo le reciproche interazioni fra 3 o più corpi: le soluzioni cominciano a essere approssimate, sfuggono al determinismo che consente di prevedere con certezza il momento di un’eclissi lunare o il passaggio della cometa di Halley.

Di un sistema complesso possiamo scrivere le equazioni, ma non riusciamo a integrarle; e questo perché basta cambiare di pochissimo le condizioni iniziali per ritrovarsi con un’evoluzione del sistema del tutto diversa. La scienza classica confidava nella possibilità di ripetere esperimenti in condizioni pressoché uguali, dalle stesse cause diceva di poter trarre gli stessi effetti. Facendo eco a quanto scriveva David Hilbert in seguito alla scoperta delle antinomie nella teoria degli insiemi – “siamo stati cacciati dal paradiso che Cantor aveva costruito” –, Parisi ricordava che anche i fisici sono stati “cacciati dal paradiso delle equazioni lineari” (Gli ordini del caos, manifesto libri, 1991). In fondo, Newton ha avuto fortuna o si è facilitato il lavoro: il semplice è in realtà sempre e soltanto il semplificato. In un sistema dal comportamento lineare, l’interazione fra due componenti è indipendente dal resto del sistema e la reazione di ogni componente è proporzionale alla perturbazione esterna. Così (riprendendo esempi di Parisi) nelle molle di buona qualità, l’allungamento è proporzionale alla forza, per cui se due persone utilizzano una bilancia possiamo prevedere che, pesandosi insieme, il valore sarà la somma dei loro pesi separati. Lo stesso accade quando calcoliamo il formarsi di due onde piccole che si incontrano: formano un’onda alta esattamente la somma delle loro altezze, per poi separarsi mantenendo l’altezza originaria. È per questo che un sassolino lanciato in un laghetto forma increspature perfettamente concentriche che si allargano allontanandosi dal punto di caduta. Ma se considero dei cavalloni marini che si scontrano, con l’acqua che schizza da tutte le parti e le onde che si frangono, il loro comportamento deve tener conto di altre variabili interagenti, come la presenza di altre onde, che finiscono per far perdere ai cavalloni l’energia iniziale e diminuire la loro altezza; il sistema è non lineare, e aspetti minimi possono provocare effetti imprevedibili e di ampia portata.

Un sistema complesso non è riducibile alla causalità classica in cui, come voleva la logica scolastica, l’effetto è proporzionale alla causa. È quanto Parisi ha mostrato nell’ambito di quegli strani oggetti da lui scoperti che sono i vetri di spin (spin glass); oggetti di laboratorio, “fattizi” direbbe Bruno Latour, leghe composte in gran parte d’oro e con una piccola percentuale di ferro. Ora, magnetizzandoli, gli atomi di ferro dovrebbero disporsi tutti secondo uno stesso orientamento, ma la presenza dell’oro fa assumere ai “magnetini” direzioni casuali, non uniformi. Non potendo esplorare tutte le possibili configurazioni di questa dinamica caotica, Parisi ha proposto modelli matematici e algoritmi che individuano gli stati energetici di energia minima e che consentono di calcolare le probabilità degli stati di energia superiore. Si tratta di modelli che hanno ampia applicazione, ad esempio per le configurazioni di ripiegamento di quei mattoni degli organismi che sono le proteine, o per le reti neurali, che cercano di simulare il complesso funzionamento del cervello umano senza ricorrere alla metaforica computeristica. Quando ci troviamo di fronte a sistemi complessi la non linearità risulta irriducibile, la sensibilità alle condizioni iniziali (come il battito d’ali della farfalla) rende in sostanza impossibile una predizione accurata. Possiamo però descrivere quale forma assumerà il disordine, verso quale attrattore strano si disporrà la dinamica caotica, quale isola d’ordine potrà apparire nel mare del disordine. Il che riguarda ambiti di realtà che vanno ben oltre il campo della fisica. Basti pensare a un ecosistema dalle risorse limitate dove convivono erba, conigli e volpi; la possibile evoluzione demografica può diventare caotica, anche se all’interno del disordine possono delinearsi isole di stabilità provvisoria (un equilibrio fra le componenti o l’estinzione di una specie).

Anche le ricerche di Parisi aprono alla scienza lo sterminato campo che dalla fisica si spinge verso il mondo del vivente. Non si tratta di riproporre l’antico sogno riduzionista, ricondurre quanto avviene fra gli organismi alle sottostanti interazioni molecolari o atomiche, semmai di prendere atto di quella “nuova alleanza” che il premio Nobel Ilya Prigogine affermava nel testo omonimo (1979, Einaudi, 1981). L’universo della materia che dicevamo inerte non è più quello del meccanicismo classico, obbediente servitore di leggi necessarie che impongono la ripetizione dell’identico, come avviene per i moti planetari. Nel contesto della natura ridotta a materia e moto la vita finiva per apparire un “miracolo”, evento prossimo all’impossibile, estraneo alle leggi di funzionamento dell’universo: era ancora questa la convinzione del biologo Jacques Monod, per il quale “il nostro numero è uscito alla roulette”, come scriveva in Il caso e la necessità (1970, Mondadori).

Sempre più oggi molti fenomeni biologici si comprendono in base a quelle dinamiche del caos che sono già attive in ambito fisico-chimico; in esse il caso convive con la necessità, il disordine non è solo stadio terminale (come voleva l’equilibrio entropico della termodinamica dell’Ottocento) ma può essere anche sorgente di forme ordinate (order from noise, secondo la formula di von Foerster), se non organizzate, come le strutture dissipative di Prigogine che si formano in condizioni lontane dall’equilibrio.

Lo stesso Parisi ricordava, sulle pagine di “il manifesto” (intervento raccolto in Dalle forze ai codici, manifesto libri, 1992; una delle sue poche pubblicazioni in italiano, in attesa dell’imminente ristampa di La chiave, la luce e l’ubriaco, Di Renzo editore, risalente al 2006), che molti ricercatori del passato – da Jam Watson, lo scopritore insieme a Francis Crick della doppia elica del DNA, a Salvador Luria – erano passati dalla fisica alla biologia. Ma, a differenza di quei ricercatori che avevano quasi rimosso la loro formazione, ora gli scienziati utilizzano le metodologie apprese in fisica nello studio dei sistemi complessi per affrontare il mondo del vivente, dalle strutture cellulari ai meccanismi dell’evoluzione, dalle dinamiche degli ecosistemi alle relazioni fra organismi ed ambiente. Si tratta di una svolta rilevante che segna la fine del predominio delle scienze “dure”, il cui modello eminente era l’andamento regolare del sistema solare. Ora il riferimento primario è passato alle scienze della Vita e della Terra, dove predominano sistemi complessi nei quali avvengono processi frutto di interazioni e scambi dagli esiti non del tutto prevedibili, come testimoniano l’ecologia e la meteorologia. La fisica classica mirava a rintracciare le leggi fondamentali della natura, a determinare i costituenti base della materia e le forze che agiscono su di essi, come fino all’altro ieri accadeva nello studio delle particelle sub-atomiche. Il nuovo “paradigma” muove dalla consapevolezza che conoscere le leggi che regolano i comportamenti dei componenti di un sistema non implica di per sé la comprensione del suo comportamento globale. Secondo l’esempio proposto da Parisi, dalle forze che agiscono fra le molecole dell’acqua non si deduce immediatamente che il ghiaccio sia più leggero dell’aria. La meccanica quantistica ci offre le leggi che regolano il comportamento di un elettrone, ma ancora non sappiamo offrire una spiegazione di come il comportamento collettivo degli elettroni dia luogo al fenomeno della superconduttività. La difficoltà non sta nel formulare leggi fondamentali, quanto nello scoprirne le conseguenze, sapendo che non si potranno semplicemente dedurre dalle leggi; non si può che ricorrere a leggi fenomenologiche in cui, oltre alle osservazioni, occorre procedere per intuizione e indizi (la logica del detective o del cacciatore), formulando ipotesi di lavoro via via da raffinare in base al controllo delle predizioni. Conosciamo molto delle reazioni biochimiche di un batterio in apparenza semplice come l’Escherichia coli, delle interazioni fra le migliaia di proteine che lo compongono, ma questo non basta a comprendere il funzionamento di un organismo vivente. Abbiamo svelato molti dettagli funzionali dei miliardi di neuroni che si agitano nel cervello, ma resta ancora difficile capire come i loro collegamenti disordinati attivino le modalità di pensiero.

Il problema odierno della biologia, notava Parisi, è come passare dalla conoscenza del comportamento dei costituenti di base alla deduzione del comportamento globale del sistema, un problema appunto tipico della meccanica statistica. La tradizione semplificatrice della fisica, che va in cerca di principi universali e necessari, si scontra con l’approccio del biologo che, anche con il supporto della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica, deve tener conto della dimensione concreta e singolare dell’esistente. I sistemi biologici non sono l’esito di una programmazione a tavolino, sono il frutto di un’evoluzione durata miliardi di anni, a cui hanno contribuito sia la selezione naturale che le mutazioni genetiche: gli organismi sono figli di circostanze passate al filtro dell’adattamento all’ambiente ed è questo a renderli unici.

Nella cerimonia improvvisata che si è svolta alla Sapienza alla notizia del conferimento del premio Nobel, Parisi ha ricordato che, entrando da studente nel 1966 nell’Istituto romano di Fisica, aveva raccolto l’eredità di una lunga tradizione scientifica, aveva potuto poggiare sulle spalle di giganti. Parisi ha insegnato Fisica teorica sia a Roma Tor Vergata che alla Sapienza e la prima cattedra di Fisica teorica in Italia era stata assegnata a Roma nel ’26 al venticinquenne Enrico Fermi, premio Nobel nel 1938, che poi guiderà “i ragazzi di via Panisperna”. Parisi ha condotto i suoi primi studi muovendosi nell’ambito di quella meccanica quantistica che Fermi aveva introdotto in Italia; e la fisica delle particelle subatomiche e della cromodinamica quantistica, a cui Parisi ha dato fondamentali contributi, era stato un campo su cui Fermi aveva lavorato nel dopoguerra, quando dirigeva la scuola di Chicago, mentre la “scuola romana” veniva proseguita da Edoardo Amaldi. Ma da allora la funzione della scienza ha assunto nuove connotazioni. Fermi ha collaborato senza pentimenti al progetto Manhattan per la produzione della bomba atomica, al punto che lo storico della scienza Giuseppe Bruzzaniti lo ha definito “il genio obbediente” (Enrico Fermi, Einaudi, 2007).

Convinto che la vocazione della scienza fosse di “spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza”, Fermi era un fervente sostenitore della neutralità della ricerca, il che lo induceva a ritenere che si dovessero lasciare ai politici le decisioni sull’utilizzo delle scoperte. Come uno dei suoi maestri, Marcello Cini, Parisi è stato a partire dagli anni Ottanta un collaboratore del quotidiano “il manifesto”; si è schierato con decisione per la sinistra ecologista e ha promosso, in qualità di presidente dell’Accademia dei Lincei, un’illuminata opera per sconfiggere l’analfabetismo scientifico in Italia. Dall’epoca in cui la fisica si lasciava sottomettere dal “potere della morte”, la Thanatocrazia di cui parlava Michel Serres, si è passati alla fisica che cerca di promuovere la salvaguardia del pianeta. Le ricerche di Parisi offrono modelli per la comprensione di quelle dinamiche complesse che sono in gioco nel cambiamento climatico, un campo su cui anche gli altri due altri scienziati premiati con il Nobel hanno dato importanti contributi. Syukuro Manabe ha dimostrato le implicazioni fra eccesso di anidride carbonica ed aumento della temperatura terrestre, mentre Klaus Hasselmann ha proposto modelli sulle variazioni climatiche, che trovano conferma nel moltiplicarsi di eventi atmosferici estremi.

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Giulio Bonali
Sunday, 17 October 2021 21:19
Lo studio probabilistico della natura nella piena, chiarissima consapevolezza che la possibilità di calcolare di fatto nei minimi particolari, con grande precisione e a lungo termine il divenire deterministico dei fenomeni fisici é limitatissima, costituendo per così dire l’ eccezione che conferma la regola, prima ancora dell’ottimo Boltzmann, era stato perorato da un certo ...Pier Simon de Laplace, vituperatissimo da gran parte se non da tutti i propugnatori “del paradigma della complessità”, nel suo Saggio filosofico sulle probabilità
L' Introduzione di questo volume contiene un celeberrimo (per gli irrazionalisti famigerato) passo che i suoi denigratori solitamente “tagliano”, con grande malizia per lo meno (se proprio non vogliamo parlare di disonestà intellettuale), appena dopo che vi é affermato che il divenire oggettivo reale del mondo fisico é rigorosamente deterministico, proprio dove inequivocabilmente vi si afferma che l’ umanità sarà sempre inesorabilmente “infinitamente lontana” (parole sue testuali!) da un’ onniscienza che le permetta di prevedere per filo e per segno tale deterministico evolversi dell’ universo [1] .

Cito Mario Porro:
<< Se può essere semplice descrivere l’interazione di due masse (ad esempio un pianeta e il suo satellite) in base alla legge di gravitazione, le cose si fanno appunto “complesse” quando consideriamo le reciproche interazioni fra 3 o più corpi: le soluzioni cominciano a essere approssimate, sfuggono al determinismo che consente di prevedere con certezza il momento di un’eclissi lunare o il passaggio della cometa di Halley.>>
E obietto:
Casomai sfugge al determinismo non la realtà fisica considerata ("le cose"), ma invece la nostra conoscenza di esse di fatto possibile.
Non é vero, come sostenuto poco più avanti (non capisco bene se citando il recente premio Nobel Parisi o semplicemente chiosandolo) che <>
Newton si é genialmente semplificato il lavoro, come Galileo e prima ancora Archimede, seguendo un elementare principio euristico, ma non ha affatto semplificato 8a suao arbitrio) la realtà; la quale é rimane oggettivamente deterministica non meno che, in larghissima prevalenza ma per fortuna non esclusivamente, complessa; e come tale é conosciuta da Newton.
La stessa possibilità di rintracciare un limitato ordine probabilistico nel caos apparente (infatti spesso giustamente detto “caos deterministico”) dei fenomeni non lineari presuppone che non sia calcolabile (soggettivamente, gnoseologicamente o come si preferisce dire epistemologicamente) per filo e per segno l’ evoluzione dei fenomeni osservati; ma anche necessariamente che questa evoluzione (oggettivamente, ontologicamente) sia ordinata secondo modalità o “leggi” universali e costanti astraibili da parte del pensiero dai fatti particolari concreti. i dadi (paradigmatici di quella che é per l' appunto detta “aleatorietà”) danno probabilità di risultati ben definite e calcolabili per il semplice fatto che le loro traiettorie e rimbalzi sono strettissimamente, rigorosissimamente deterministici (oltre che impossibili di fatto da individuare e calcolare con precisione e non istantaneamente); che se invece fossero autenticamente caotici, col cavolo che se ne potrebbero calcolare le probabilità degli esiti! Mi scuso per l’ intemperanza verbale).
Lo stesso dicasi per la roulette, di modo che Jacques Monod ha perfettamente ragione, al contrario di quanto affermato più avanti, nel sostenere che “il nostro numero è uscito alla roulette”.
Ed è proprio per questo che, per citare ancora l’ autore di questo scritto << Quando ci troviamo di fronte a sistemi complessi la non linearità risulta irriducibile, la sensibilità alle condizioni iniziali (come il battito d’ali della farfalla) rende in sostanza impossibile una predizione accurata. Possiamo però descrivere quale forma assumerà il disordine, verso quale attrattore strano si disporrà la dinamica caotica, quale isola d’ordine potrà apparire nel mare del disordine.>>.
Anche in tutti questi casi nessun preteso <> deterministica (vedi più sotto): l’ unico “caso” reale é proprio precisamente quello inteso da Monod contro Prigogine: quello che compare nelle nostre conoscenze della natura, ma non c’ é affatto nella natura stessa.

Quanto ai rapporti fra fisica e biologia, il rigoroso determinismo ontologico oggettivo inevitabilmente “sottostante” l’ indeterminismo (comunque limitato, “probabilistico” e non “caotico”! Ordinato e non disordinato!) delle conoscenze che di fatto possiamo ottenere in grandissima parte dei casi garantisce la perfetta riducibilità della seconda alla prima: altro che “antico sogno riduzionistico”, come più sotto preteso con Prigogine!
<> <<é proprio perfettamente riconducibile alle sottostanti interazioni molecolari o atomiche>>!

<< Un sistema complesso non è riducibile alla causalità classica in cui, come voleva la logica scolastica, l’effetto è proporzionale alla causa. È quanto Parisi ha mostrato nell’ambito di quegli strani oggetti da lui scoperti che sono i vetri di spin (spin glass)>>.
Non conosco bene la logica scolastica ma trovo per lo meno discutibile la pretesa di calcolare quantitativamente cause ed effetti ("quantitativamente” non in riferimento alle grandezze fisiche implicate, ma invece circa una alquanto soggettiva “entità -nel senso di prevedibiltà o meno- delle differenze” fra il prima e il poi della causazione); ma in ogni caso Un sistema complesso -per lo meno “macroscopico; ma secondo me non solo”- è perfettamente riducibile al determinismo causale classico in quanto oggettivo divenire “ontologico” dei fenomeni naturali; ciò che non é possibile fare, ma Laplace di già lo sapeva perfettamente alla faccia dei suoi molti (e conformisti) denigratori indeterministi, é rilevarne e/o calcolarne, se non per “effimeri istanti” le rigorosamente inderogabili caratteristiche quantitative.

<> -vero- ma non per questo non del tutto deterministici!
<> e <>.
Grazie, ma lo sapeva di già benissimo il determinista Laplace, malgrado le frequenti scorrette distorsioni del suo pensiero da parte dei suoi denigratori indeterministi; infatti é proprio per questo che ha scritto il suo celebre Saggio folosofico sulle probabilità!.

<>
(Anche) I loro collegamenti sono ordinatissimi in senso deterministico (cioé seguono inderogabilmente modalità generali astratte universali e costanti), per quanto complessi e di fatto in larghissima misura imprevedibili.

<>, ma tutti questi eventi sono deterministici, seguono inderogabilmente le leggi fisiche.
E inoltre la loro unicità é relativa, limitata: ciascun esemplare di cane non é affatto unico come appartenente alla specie “cane”, la specie “cane” non é affatto unica come appartenente al genere “canidi”, questo non é affatto unico come appartenente alla classe dei mammiferi, ecc.

<>.
La fisica, contrariamente ai fisici (ma per fortuna non tutti: Oppenheimer era ben diverso da Fermi; ed Einstein era ulteriormente diverso da Oppenheimer; e Pontecorvo era ulteriormente diverso da Einstein) non si é mai fatta sottomettere da alcun “potere della morte”, come ora non “cerva di promuovere alcuna salvaguardia del pianeta: si limita a insegnarci come la realtà naturale materiale é e diviene; e dunque cosa si può fare sia che si intenda seminare la morte, sia che si intenda salvaguardare il pianeta.
_______________
1 <Dobbiamo quindi considerare lo stato attuale dell' universo come l' effetto del suo stato precedente e come la causa di quello futuro. Un' Intelligenza che conoscesse sia tutte le forze da cui è mossa la natura, sia la corrispondente situazione dei componenti di essa, in rapporto a un dato istante, e che fosse inoltre così vasta da poter trattare l' intera serie di tali dati per mezzo dell' analisi matematica, abbraccerebbe in una sola formula i movimenti tanto dei maggiori corpi dello universo, quanto del minimo atomo. Nulla sarebbe incerto ai suoi occhi, ed entrambi presenti le risulterebbero il passato e lo avvenire [qui finiscono di solito le maliziose citazioni dei suoi denigratori].

Con la perfezione che ha saputo conferire alla astronomia, L' INGEGNO UMANO OFFRE UN LIMITATO ESEMPIO DI TALE INTELIGENZA. Le sue scoperte in meccanica e in geometria, aggiunte a quella della gravitazione universale, l' hanno reso capace di abbracciare nelle medesime espressioni analitiche gli stati presenti e futuri del sistema del mondo. Applicando lo stesso metodo agli oggetti della sua conoscenza, l' intelletto umano è riuscito a ricondurre i fenomeni osservati a leggi generali e a prevedere quelli che vengono prodotti DA DETERMINATE CIRCOSTANZE. Tutti questi sforzi nella ricerca della verità tendono ad avvicinarlo continuamente alla grande Intelligenza sopra nominata, DALLA QUALE RESTERA' SEMPRE INFINITAMENTE LONTANO. Siffatta tendenza, tipica della specie umana, è ciò che ci rende superiori agli animali, e il progresso in tal senso distingue nazioni ed epoche e ne costituisce la vera gloria.
Evidenziazioni in MAIUSCOLO mie.
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Carlo Tarsitani
Monday, 18 October 2021 11:54
La branca di ricerca che ha per oggetto i sistemi caotici nasce dalla teoria delle equazioni differenziali (cui Laplace diede primi importanti contributi) e dalla distinzione tra equazioni lineari ed equazioni non lineari. Per quest'ultime non esistono in genere metodi di soluzione "con carta e matita": occorrono i computer e le soluzioni "numeriche" per loro natura approssimate. Le equazioni non lineari presentano la cosiddetta "dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali" ed è questa proprietà a rendere di fatto imprevedibile l'evoluzione di un sistema, anche se questo resta al fondo deterministico. Intendiamo dire che le condizioni iniziali del sistema, normalmente costituite da numeri reali, contengono infinite cifre ed è impossibile conoscerle tutte. Un'incertezza sulla milionesima cifra dopo la virgola lascia prevedere in tempi relativamente brevi evoluzioni temporali del sistema del tutto differenti. Ecco perché il sistema è detto caotico. Laplace non aveva riflettuto abbastanza sulla sua pretesa di conoscenza "esatta" delle condizioni iniziali.
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Giulio Bonali
Monday, 18 October 2021 18:22
Posto che ovviamente in generale non si finisce mai di riflettere "abbastanza" su nessun problema scientifico o filosofico (e anche su molti problemi di altra natura) da parte di nessuno, Laplace, contrariamente agli odierni cultori del paradigma della complessità, era chiaramente consapevole del carattere oggettivamente deterministico del divenire materiale naturale reale e del fatto che l' indeterminismo é una caratteristcia di molto di quanto di esso é possibile conoscere e di fatto conosciuto (non del mondo reale, bensì della consocenza del mondo reale).
Al contrario i sostenitori della filosofia della scienza oggi prevalente, ben esemplificata dallo scritto qui criticato, negano il determinismo ontologico (spesso si dice, a mio parere impropriamete, "metafsico"; comunque della realtà) confondendolo con l' indeterminismo gnoseologico (della conoscenza della realtà; per la verità di grandissima parte, non della sua tiìotalità).

Che Laplace non potesse arrivare, come scienziato, oltre le possibilità tecniche e culturali disponiobili alla ricerca al suo tempo mi pare semplicemente lapalissiano.
Ma ciò non toglie che avesse compreso perfettamente la questione filosofica (ontologica o metafisica e gnoseologica o epistemologica) di fondo (il carattere meramente gnoseologico soggettivo dell' indeterminismo e ontologico oggettivo dell' indeterminismo; per lo meno nel' ambito del "mondo fisico macroscopico", l' unico allora noto; ma a mio -e non solo mio- parere non solo), al contrario di tantissimi scienziati e filosofi odierni.
Fra l' altro non poteva non essere del tutto ovviamente consapevole di un risultato scientifico ed epistemico allora da gran tempo "pacifico" quale il carattere insuperabilmente approssimativo (ovvero di esattezza limitata, non infinita) di qualsiasi misurazione possibile (delle misure direttamente rilevate per osservazione empirica immediata o indirettamente per calcolo a partire da osservazioni empiriche).
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