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Una critica del capitalismo per il XXI secolo

Con Marx, oltre Marx: il progetto teorico del gruppo «Exit!»

di Gruppo Exit!

detour4A partire dalla fine degli anni '80, si assiste, su scala mondiale, all'agonia del marxismo, del socialismo, del movimento operaio e dei movimenti di liberazione nazionale. Per quel che riguarda il classico Stato sociale borghese, ormai è andato in rovina, e lo ha fatto nello stesso momento in cui il paradigma keynesiano è diventato solo una nostalgia insieme ai regimi dello «sviluppo» del Terzo Mondo , che crollano in quelle che sono le loro varianti filo-occidentali. Il vecchio antagonismo: riforma o rivoluzione, che è stato dominante in seno alla sinistra, non ha più senso, dal momento che lo sviluppo ed i movimenti sociali non condividono più alcun orizzonte comune. Dappertutto, i resti delle istituzioni rimaste a seguito delle vecchie lotte sociali rivendicative issano la bandiera bianca della capitolazione. Il concetto di «riforma sociale» si è trasformato nel suo contrario, ed è stato semanticamente investito dalla controriforma neoliberista che, poco a poco, liquida quelle che sono state le acquisizioni sociali, il sistema previdenziale ed i servizi pubblici. Il paradigma neoliberista non è più un punto di vista particolare, bensì costituisce un consenso che va al di là dei partiti e che penetra in gran misura la sinistra. E la resistenza diventa sempre più debole. Anche i grandi scioperi e i pochi movimenti sociali che esplodono qua e là si concludono regolarmente con la sconfitta e la rassegnazione. Sembra che il capitalismo abbia vinto su tutta la linea. E non solo in quanto potere repressivo esterno, ma anche all'interno dei soggetti stessi. La pretesa «legge naturale» del mercato, e l'universalità negativa della concorrenza, nonostante le loro devastanti conseguenze, umilianti ed insopportabili, vengono viste come se fossero delle condizioni insuperabili dell'esistenza umana. Più appare chiaro che quest'ordine sociale planetario equivale all'autodistruzione sociale ed ecologica, più gli individui si aggrappano con tutte le loro forze alle categorie ed ai criteri di questa forma negativa di socializzazione, che ormai hanno interiorizzato.

Nella stessa misura in cui la ragione borghese si decompone, per diventare quella barbarie contro la quale Marx ci aveva messo in guardia, ecco che il pensiero sociale rifiuta ogni riflessione critica ed invoca una «civiltà» capitalista che, in quanto progresso positivo, è esistita solamente come apologia ideologica. La violenza militare della polizia capitalista globale non risolve il benché minimo problema, ma ingigantisce il caos distruttore e l'assenza di prospettiva. Il capitalismo è riuscito a vincere soltanto sotto la forma della propria crisi che, del resto, è diventata la crisi proprio del famoso «soggetto agente» stesso e che, proprio per tale ragione, non sembra più essere capace di aprire alcuna strada di una qualche emancipazione sociale. La nuova qualità della crisi, anziché mobilitarla, paralizza la critica.

Un simile paradosso esige di essere spiegato. A partire dalla fine degli anni '80, nel mondo di lingua tedesca si assiste allo sviluppo di una posizione teorica che affronta un problema del genere. Una tale posizione cerca di parlare apertamente, senza giri di parole, di quella che è la «storia della sinistra» in 150 anni di dominio del marxismo e del movimento operaio. Il gruppo « EXIT ! », riunito intorno alla rivista omonima, è il risultato di questo sforzo ed il promotore del suo attuale approfondimento. In un certo senso, è dall'interno che « EXIT ! » critica il marxismo, con lo scopo di dare alla teoria di Marx una forma nuova che sia pertinente rispetto all'orizzonte del XXI secolo. Per far questo, bisogna porre delle domande spietate alla teoria marxista. Il marxismo passa per essere la figura teorica per eccellenza della critica del capitalismo. E allora perché sta vivendo quella che è fino ad oggi la sua crisi più grave, e lo sta facendo proprio nello stesso momento in cui la stessa crisi la sta vivendo quello che è l'oggetto della sua critica? Perché, alla soglia del XXI secolo, non ha alcuna risposta da dare rispetto a quella che è la situazione mondiale? Perché tutto il suo apparato concettuale appare essere così disperatamente antiquato?

Questa problematica non è del tutto nuova, anche se si è aggravata solo a partire dal crollo dell'Unione Sovietica. Già dagli anni '60, si poteva vedere come il paradigma marxista tradizionale fosse già senza fiato ed incapace di tenere il passo con lo sviluppo capitalista. È vero che i movimenti di liberazione nazionale del Terzo Mondo, che si legittimavano in maniera più o meno marxista, sembrava che raggiungessero proprio allora il loro apice (in realtà, sarebbero morti poco tempo dopo). Ma era impossibile non vedere che all'Est il socialismo burocratico di Stato aveva già cominciato a perdere la capacità di sviluppo all'interno, e la sua forza di attrazione verso l'esterno. Allo stesso modo, diventava evidente che dopo più di un secolo di efficacia, il movimento operaio occidentale non aveva più forza e si stava trasformando nella «fine della serie» della storia. Per « Exit ! » la cosiddetta «nuova» sinistra (New Left), uscita dal movimento studentesco del 1968, non era ancora in grado di comprendere la portata della nuova problematica, per poter sviluppare un altro paradigma della critica del capitalismo, che potesse andare più lontano. Essenzialmente, si accontentava di fare l'inventario del materiale storico fornitole dal vecchio marxismo e dall'anarchismo, si accontentava di «rimettere in scena», come in una sorta di rassegna di fantasmi, alcune correnti e sotto-correnti del vecchio estremismo di sinistra, e di rimettere in gioco, sotto forma di mini-sette, tutta la panoplia delle tradizionali forme organizzative. La vasta letteratura marxista degli anni '70 è stata, in gran parte, senza originalità. Era poco più dell'eco - sotto forma di studi politici ed accademici - di una storia che era appena finita. E che oggi si trasforma in polvere nelle biblioteche.

È con la stessa fermezza che « EXIT ! » si distingue dal pensiero cosiddetto postmoderno che - parallelamente alla «nuova» sinistra (New Left) ed in stretta connessione con essa - ha cercato di superare il marxismo tradizionale «disarmandone la teoria» [*1]. Usando il concetto peggiorativo di «teoria generale» [*2], viene gettato il sospetto di totalitarismo sulla più importante struttura di pensiero del XX secolo, in special modo sul marxismo. Un relativismo fenomenologico non essenzialista, deve prendere il posto dei concetti rilevanti della totalità sociale, distinguendo fra essenza e fenomeno presumibilmente totalitario. La critica dell'economia politica è stata sostituita dal «culturalismo», l'analisi del reale dal culto del virtuale. Il postmodernismo diviene la teoria alla moda degli anni '80 e '90, e un'intera generazione di giovani di sinistra cresce con esso. Ma questa teoria è ancora meno adatta a portare la critica del capitalismo al livello del XXI secolo. Realmente totalitario, l'«orrore economico» ha finito per ridicolizzare il culturalismo postmoderno con la sua limitazione fenomenologica della teoria critica.

« EXIT ! » ha seguito una strada del tutto diversa: facendo ritorno alla critica dell'economia politica, ma non nel senso tradizionale del «marxismo del movimento operaio». Al contrario, ciò di cui si tratta è quella dimensione della teoria di Marx che la sinistra fino a tutt'oggi, o ha completamente annullato, oppure, come è avvenuto nel caso di una minoranza di sofisticate riflessioni teoriche, ha relegato nel migliore dei casi ad uno stato di ragionamento «filosofico» astratto ed esternalizzato in un avvenire immaginario per quanto riguarda la sua efficacia pratica: la critica del feticismo moderno, la critica della produzione di mercato in quanto sistema, la critica della «valorizzazione del valore» (Marx) in quanto «soggetto automatico» (Marx) della società. Il fatto di integrare nella riflessione questa dimensione profonda della modernità tutt'intera, porta a comprendere le categorie di base del sistema moderno della produzione di merci non più come oggetti ontologici positivi, alla stregua del marxismo tradizionale, ma a criticarli radicalmente in quanto oggetti negativi e storici. Questo vale innanzitutto per le categorie economiche in senso stretto, vale a dire la razionalità economica (d'impresa), il «lavoro astratto» (Marx) e le loro forme apparenti: il valore, la merce, il denaro ed il mercato. La liberazione può essere pensata solo al di là di queste categorie stesse: né «in», né «insieme a» loro. Il marxismo tradizionale intendeva che non si superassero le categorie del sistema della produzione di merci, ma voleva solo «politicizzarle». Ma la politica e le sue forme di esistenza istituzionale: lo Stato, la democrazia e la nazione, formano solamente l'altro polo del sistema moderno dei feticci; polo che è costituito dalla forma giuridica dei soggetti borghesi. Le categorie economiche e giuridico-politiche sono le due facce della stessa medaglia. In tutte le classi, il soggetto moderno è un soggetto schizoide, diviso fra homo oeconomicus et homo politicus, in borghese ed in cittadino. Da sempre, la sinistra ha voluto solo domare la borghesia con l'aiuto del cittadino, dirigere il mercato con l'aiuto dello Stato, regolare l'economia del «lavoro astratto» con l'aiuto della politica, controllare il denaro con l'aiuto della nazione. Ma ciò che è necessario, è abolire tutt'e due facce del feticismo moderno , invece di giocarle sempre una contro l'altra.

Arriviamo così ad una prospettiva che non si limita più all'antagonismo sociologico immanente delle «classi», in cui abbiamo da una parte il lavoro salariato e dall'altra il rappresentante del capitale, ma che assume come bersaglio il sistema di riferimento comune a queste due classi. Mentre il tradizionale marxismo classista aveva tematizzato solamente l'appropriazione giuridica-esterna del plusvalore da parte dei capitalisti, « EXIT ! » se la prende con la forma sociale fondamentale del «soggetto automatico». Il plusvalore non è qualcosa di positivo. Al contrario, si tratta di un fine in sé irrazionale che va al di là dell'insieme dei soggetti agenti. La «valorizzazione del valore» è l'interconnessione cibernetica del valore con sé stesso, come se fosse una sorta di macchia sociale. Allo stesso modo in cui il valore è la forma dell'accumulazione infinita, il «lavoro astratto» - che è il contenuto del valore - è il fine in sé irrazionale indifferente ad ogni contenuto sociale e materiale. Il marxismo tradizionale ha elevato la forma ed il contenuto del moderno feticismo, in condizioni ontologiche, trans-storiche, ad una pretesa conditio humana. Invece, al contrario, storicizzare tali categorie. La critica del capitalismo fatta dal marxismo tradizionale si limitava alla critica dell'involucro giuridico esteriore che costituisce la proprietà provata, mentre sia la forma che il contenuto della riproduzione capitalistica venivano positivizzate in maniera acritica. Il valore ed il «lavoro astratto», visto come «lavoro» in generale, come «dispendio di nervi, muscoli, cervello» e come base ontologica, nel modo in cui lo suggerisce una critica del plusvalore che si limita alla forma giuridica e alla sfera della distribuzione. Il «lavoro» ed il «valore» sono, al contrario, la forma di esistenza del plusvalore, e perciò del capitale, o del «soggetto automatico» stesso. Il programma della critica non può essere il programma dell'equa distribuzione del valore, ma dev'essere quello della sua soppressione in quanto forma irrazionale di una «ricchezza astratta» (Marx) distruttrice. A portare oltre il capitalismo, non può essere né il «punto di vista del lavoro» né l'«orgoglio di creare valore», ma, al contrario, solo la critica radicale di quelle «astrazioni reali» che sono il lavoro ed il valore.

In questo contesto, l'approccio teorico di « EXIT ! » il più delle volte si presenta sotto l'etichetta di «critica del valore» o di «critica del lavoro». Ma il feticismo moderno non può essere ridotto solo a questo: una critica che si limitasse solo alla forma valore e alla sostanza del lavoro, sarebbe essa stessa tronca e riduttrice. La critica si deve occupare anche di quel che è il carattere metafisico di tutte le società moderne e del loro «soggetto automatico». È il concetto marxiano di feticcio a darci indicazioni in tal senso. Come ha detto Marx, non è solo un'analogia, quella che il feticismo del moderno sistema produttore di merci costituisce con le rappresentazioni religiose: ma ha essa stessa delle radici religiose. La modernità non è mai andata oltre la religione, ma è passata dalla trascendenza all'immanenza terrena: non è affatto «post-metafisica», bensì «realmente metafisica». Il «soggetto automatico» del sistema della produzione di merci, non è la ragione umana liberata, ma è il «Dio che agisce» sotto forma dell'astrazione del valore, il peggiore degli dei, in quanto devastatore del mondo.

Decodificare criticamente la metafisica reale moderna, include una critica radicale dell'«Aufklärung» ["Illuminismo"] [*3], in quanto fondamento filosofico e ideologico di tutto il pensiero moderno. Come è stato mostrato da Foucault in maniera fenomenologica, l'Aufklärung, fornendo quelle idee che sono servite a disciplinare l'umanità in funzione del «lavoro astratto», è stato fondamentalmente repressivo. Inoltre, ha giocato un ruolo decisivo in quella che è stata la costituzione del soggetto schizoide moderno, elevando le forme «reali-metafisiche» al rango di ragione positiva, rappresentando lo sconvolgimento capitalista come la metafisica storica del «progresso».

Nei confronti del plusvalore, il marxismo tradizionale non è stato assai più che un'appendice dell'Illuminismo borghese, ed al pari di esso, in materia di pensiero, intendeva rivendicare anche l'«eredità borghese», al fine di poterla proseguire, anziché spezzarla. E quello che il marxismo ha «ereditato» dall'Illuminismo è stata proprio l'ontologizzazione erronea delle categorie fondamentali della socializzazione capitalistica. Essenzialmente, contro la realtà borghese, l'illusione politica della sinistra consisteva nel rivendicare gli ideali borghesi dell'illuminismo, invece di smascherarli come ideologia positiva di questa realtà negativa. Del resto, quello che era l'abbozzo, nelle teorie postmoderne, di una critica dell'Illuminismo e del soggetto, non poteva condurre oltre il marxismo, dal momento che non andava oltre il quadro culturalista, rifiutandosi di sviluppare la critica dell'economia politica. La critica postmoderna - volendo contrabbandare quelle categorie, escludendo proprio questa dimensione decisiva in quanto sarebbe stato un preteso «economicismo», anziché vedere la reale metafisica feticistica della modernità - rimaneva prigioniera di una fenomenologia e dell'ontologia capitalista. Tutto ciò spiega anche perché la più parte dei postmoderni sia ritornata al soggetto borghese ed una politica superficiale.

L'approfondimento della concezione positivista della teoria di Marx, contrapposta ad una concezione radicalmente critica della categorie sociali moderne e dei legami che esse intrattengono, non poteva essere lasciata ad una concezione realmente astratta. Questo non avrebbe fatto altro che riprodurre la stessa metafisica reale moderna. Si tratta, al contrario, di distruggere anche l'universalità positiva delle pretese dell'Illuminismo. Il sessismo, il razzismo e l'antisemitismo moderno si trovano fondamentalmente contenuti nel pensiero stesso dei Lumi, dal momento che esso affonda le proprie radici nella metafisica reale del sistema di produzione di merci e dei suoi soggetti.

Il «soggetto automatico» non è sessualmente neutro, tutt'altro; al contrario, è costituito essenzialmente da un preciso rapporto fra i sessi. Allo stesso modo in cui la modernità non supera la religione, ma la trasforma in metafisica reale, anch'essa a sua volta non va oltre quello che è il carattere patriarcale dell'«occidente cristiano», ma lo riconfigura e lo oggettivizza in maniera apparente. Non bisogna vedere il dominio patriarcale moderno come se fosse un rapporto sociologico esterno, opposto all'universalismo astratto della forma merce, e che potrebbe essere abolito nel quadro di quest'ultima. Ma al contrario, il patriarcato costituisce un momento centrale del rapporto feticistico stesso. Tutti gli aspetti della riproduzione sociale, della vita personale e delle relazioni sociali che non si lasciano ridurre alla logica astratta del valore (allevare i bambini, il «lavoro domestico», il «lavoro affettivo e relazionale», le funzioni socio-fisiche anti-stress, ecc.), sono stati dissociati dall'universo economico e politico, e sono stati definiti storicamente come «femminili». Quindi, il capitalismo non è solo l'insieme delle sue forme categoriali: è anche sempre un processo di dissociazione. La relazione di valore è allo stesso tempo una relazione della dissociazione di certi aspetti della vita, e un concetto critico della società moderna può essere costituito solamente legandosi a questi due momenti. Il valore ed il suo soggetto non sono affatto neutri, tutt'altro; al contrario, sono determinati strutturalmente come maschili. Quindi, il moderno rapporto sociale fra i sessi si pone, al di là di Marx, al medesimo livello concettuale del capitale stesso, e non ne costituisce una semplice appendice subordinata.

In tal modo, l'universalismo astratto della modernità si rivela in realtà come un universalismo androcentrico. La supremazia maschile è inscritta nella forma valore e nella sostanza del lavoro, nella democrazia, nella politica e nel Diritto moderno. È vero che le donne non sono mai state limitate, in maniera esclusiva, alla sfera privata e ai momenti dissociati. Soprattutto dopo la globalizzazione, sono state integrate sempre più nelle sfere pubbliche del «lavoro astratto» e della politica. Ma si sono comunque trovate in una posizione inferiore. La dissociazione sessuale non opera solo rispetto alla vita privata borghese, ma anche nella vita pubblica borghese. Anche nei domini della politica e dell'economia, le donne sono in gran misura orientate verso delle funzioni tampone socio-psicologiche: anche qui, vengono considerate come se fossero dei «segni» culturali e simbolici di una natura che si tratterebbe di addomesticare. Generalmente vengono pagate meno, accedono più raramente a dei posti di direzione e devono lavorare il doppio degli uomini per poter ottenere la metà dei riconoscimenti. Allo stesso tempo, l'integrazione delle donne nella società ufficiale dell'economia e della politica non significa che nella sfera privata si rimetta in discussione il fatto che esse siano responsabili delle attività e delle relazioni dissociate, e che queste vengano equamente ripartite fra gli uomini e le donne. Invece, le donne generalmente subiscono un «doppio carico di lavoro», nella misura in cui sono sottomesse sia al «lavoro astratto» che alla dissociazione sessuale.

L'universalismo androcentrico della modernità, è allo stesso tempo un universalismo occidentale, dal momento che una gran parte dell'umanità non occidentale è rimasta ai margini nel sistema globale della produzione di merci, né poteva, a causa del ritardo storico, andare al di là delle prime tappe dello sviluppo capitalista, essendo la generalizzazione globale della forma soggetto legata ad una tendenza socio-culturale distruttrice e ad una «seconda zona» sia materiale che simbolica.

La concorrenza universale, in quanto inerente al sistema moderno della produzione di merci, induce nei soggetti agenti il bisogno di un nemico, Laddove il livello della critica della metafisica-reale moderna rimane invalicato, i soggetti trasferiscono la loro sofferenza su dei soggetti antagonisti costruiti sotto forma di «sub-umani» (le persone di colore) o su dei «superuomini negativi» (gli ebrei). In questo modo, le ideologie come il razzismo e l'antisemitismo sono strutturalmente ancorate nella moderna metafisica reale, così come lo è l'ideologia sessista. Essenzialmente, il soggetto universalista è un maschio occidentale bianco (MOB). La generalizzazione della forma del MOB innesca numerosi rifrazioni nella coscienza dell'umanità extra-europea e degli immigrati, facendo nascere dei nuovi miscugli di sessismo, di razzismo, di «etnicismo» e di antisemitismo. Pertanto, per quanto concerne il MOB e l'universalismo androcentrico, la sinistra tradizionale rimane prigioniere dell'orizzonte della moderna metafisica reale. Nella comprensione di sé stesso, il marxismo del movimento operaio era androcentrico e riproduceva sia la dissociazione sessuale che il «lavoro astratto». A causa della sua origine, era sia bianco che occidentale, e nei confronti delle persone di colore e degli extra-europei si mostrava tutt'al più paternalistico, ed era spesso permeabile agli ideologemi razzisti. E soprattutto, generalmente, il marxismo tradizionale rimane cieco nei confronti del pericolo dell'antisemitismo, incapace come è stato di vedere come esso fosse strutturalmente ancorato nella metafisica capitalista reale. La critica marxista del sessismo, del razzismo e dell'antisemitismo non potevano superare l'erroneo universalismo [*4] dell'Illuminismo borghese, e resta per tale motivo inefficace. Anche da questo punto di vista, il culturalismo postmoderno è stato incapace di compensare il deficit, ed al contrario è riuscito solo ad aggravarlo; la critica postmoderna del sessismo, del razzismo e dell'antisemitismo si è fermata ad un «culto delle differenze», senza elaborare le basi sociali di queste ideologie nelle contraddizioni del «soggetto automatico».

La nuova posizione teorica di « EXIT ! » non sarebbe completa se non si potesse spiegare da sé sola. Ciò implica l'esigenza di determinare la propria posizione storica. In materia di critica del capitalismo, non siamo più intelligenti dei nostri predecessori, ma ci troviamo in un'altra situazione storica, più avanzata. Non si tratta di annunciare una qualche verità ultima, assoluta, «decontestualizzata», ma di tener conto di quale sia il nuovo contesto storico e sviluppare un nuovo paradigma teorico che sia adatto all'epoca che si apre davanti a noi. Visto sotto quest'angolatura, il vecchio movimento operaio occidentale, il marxismo tradizionale, la vecchia sinistra politica, il defunto «socialismo realmente esistente», burocratico di Stato, dell'Est, così come i movimenti ed i regimi di «liberazione nazionale» del Sud, appartengono tutti a questa parte della storia della penetrazione del sistema moderno della produzioni di merci, e alla sua metafisica reale. Nessuno di questi movimenti è andato oltre l'ontologia capitalista; tutti si sono limitati solo a riflettere l'asincronicità storica esistente all'interno di tale ontologia. Essenzialmente, si è trattato nient'altro che di processi di modernizzazione di recupero. La «sinistra» si fece carico di quelli che erano gli «aspetti incompleti» del sistema della produzione di merci che non erano stati ancora pienamente sviluppati: la sinistra divenne così il motore della modernizzazione capitalista stessa.

Ed è in tal senso che va compreso in un certo qual modo Ottobre come se fosse stata la «Rivoluzione francese dell'Est». Non si è trattato di superare le categorie capitaliste ma, al contrario, di procedere a quella che era la loro tardiva installazione sociale; e questo, d'altronde, è avvenuto con i metodi del capitalismo di Stato, i quali sono stati assai simili a quelli utilizzati ad Ovest qualche secolo prima. Quanto ai movimenti di liberazione nazionale del Terzo Mondo, anch'essi, più tardi, hanno dovuto seguire il medesimo modello. Questa interpretazione non dev'essere ridotta al suo aspetto scientifico-tecnico, visto nel senso di un'industrializzazione di recupero. Ciò che è stato messo ugualmente in gioco, è stata l'introduzione di forme sociali di un sistema di produzioni di merce, e quindi la sostituzione degli obblighi personali con la monetizzazione e l'economicizzazione di tutte le relazioni sociali. e quindi imporre il passaggio dalle tradizioni agrarie a delle forme soggettive e giuridiche borghesi, ed imporre di fatto il «lavoro astratto» e la dissociazione sessuale moderna (e non abolirla). L'orizzonte emancipatorio di un tale processo non è stato altro che quello della «lotta per il riconoscimento» all'interno dell'ontologia capitalista, per riconoscere come soggetti nazionali autonomi del mercato mondiale quelle che erano le regioni periferiche e sottomesse.

In ultima analisi, vale la stessa cosa anche per il movimento operaio occidentale. Qui, non si trattava di riconoscimento nazionale ma di riconoscimento sociale, ed in questo caso di riconoscimento giuridico del lavoratori salariati come soggetti formali all'interno del sistema della produzione di merci. La cittadinanza ufficiale, che fino alla seconda metà del XIX secolo era limitata alla borghesia benestante [*5], doveva essere estesa a tutti i membri della società. Per il «soggetto automatico», questa è stata la sola maniera di sottomettere ed incorporare l'insieme di tutta la riproduzione sociale. Al termine della lotta per la libertà di associazione e di riunione, per il diritto di sciopero, per un diritto di voto universale, il soggetto schizoide, del borghese e del cittadino venne trasferito ai lavoratori salariati.

In questo modo, il movimento operaio fu in grado di comportarsi come se fosse un «attore politico» e «amministratore dello Stato». Il prezzo da pagare fu quello dell'interiorizzazione del «lavoro astratto», la servitù volontaria [*6] integrale sotto il «soggetto automatico» e le sue leggi, così come la generalizzazione del rapporto di dissociazione sessuale. Fino ad oggi, il concetto di «socialismo», nella totalità delle sue varianti, si riferisce ad un «supplemento giuridico» di questa lotta storica «per il riconoscimento» all'interno delle categorie capitaliste. Ciò non significa che questa restrizione storica della critica fosse assolutamente necessaria. In realtà si è trattato solo di una limitazione nei fatti. Dopo la fine del XVIII secolo, i conflitti sociali hanno conosciuto, a più riprese, de momenti di tensione nei confronti di quelle che erano le esigenze del «lavoro astratto» e del rapporto di dissociazione sessuale. Ma questa tensione è stata sempre risolta sulla base di uno sviluppo continuo della moderna metafisica reale. Che cosa ci autorizza - in questo inizio di XXI secolo - non solo a sviluppare un nuovo paradigma teorico, ma anche ad aspettarci una mediazione con la pratica sociale? La risposta a questa domanda sta nel fatto che la posizione di « EXIT ! » contiene anche una nuova teoria della crisi del capitalismo.

Fino ad oggi, tutte le crisi sono state delle crisi causate dalla penetrazione della relazione di capitale che aveva ancora davanti a sé uno spazio di sviluppo storico. È per questa ragione che i movimenti sociali potevano investire positivamente in ogni nuova spinta all'accumulazione, e non erano perciò costretti ad una critica categoriale delle forme sociali. Ma con la terza rivoluzione industriale della microelettronica, il capitale si scontra - come aveva predetto Marx - con il suo limite interno assoluto. È il processo capitalista stesso a rendere superfluo il «lavoro astratto», ad un punto tale che i vecchi meccanismi di compensazione spariscono [*7]. Ed è proprio questo il motivo per cui il marxismo tradizionale vive - insieme al soggetto della sua critica - una crisi qualitativamente nuova. I concetti della vecchia «lotta di classe» e del «punto di vista della classe operaia» non possono più costituire una risposta alla spinta globale verso la povertà e alla miseria, in un mondo in cui tale spinta è arrivata anche nei centri del capitalismo. Per la prima volta, la crisi categoriale esige una critica categoriale, e a tutto questo il pensiero marxista - prigioniero esso stesso dell'ideologia della modernizzazione - non è per niente preparato.

«Crisi categoriale», significa che non si tratta più solamente di una crisi economica, o di una rottura strutturale che porti ad un nuovo «modello di accumulazione». Il processo di crisi della globalizzazione, ci mostra che il limite immanente del «lavoro astratto» si trasforma ormai in crisi della politica e delle forme dello Stato, della democrazia e della nazione. Il borghese ed il cittadino, queste due anime che si trovano nel petto del soggetto schizoide, si separano [*8] in maniera irreversibile. E ciò include anche una crisi elementare dell'identità sessuale, e soprattutto dell'identità maschile. Insieme alla «valorizzazione del valore» smette di funzionare anche la dissociazione. La conseguenza, consiste in un'ondata di violenza sessista, di persecuzione morale nei confronti delle donne, e in una mobilitazione di ideologie androcentriche su scala planetaria. Nel momento in cui il risentimento razzista, «etnicistica» e antisemita si diffonde a macchia d'olio.

Sviluppare - nel contesto di questa crisi sociale globale - la critica delle categorie del sistema di produzione di merci e della sua metafisica reale, per « EXIT ! » non significa tuttavia elaborare dei concetti a breve termine per poter gestire la crisi per poi poterli offrire sul mercato ambulante delle idee. Occorre che innanzitutto la critica possa essere negativa, e una pratica alternativa può sorgere solo a partire dalla negazione fondamentale. Si tratta di organizzare in maniera cosciente l'utilizzo delle risorse e delle possibilità umane in quelle che sono le nuove istituzioni sociali, anziché eseguire ciecamente le «leggi» di una «seconda natura» feticista. Se, in passato, la critica è stata un'opportunità che non è stata colta, oggi diventa una necessità per la sopravvivenza.

Questa negatività è tanto più necessaria, in quanto la critica dell'ontologia moderna comprende la critica del pensiero ontologico in generale. Non esiste nessun terreno ontologico positivo su cui costruire. Qualsiasi ritorno all'Illuminismo, ai miti della borghesia e allo «Stato dei lavoratori» è diventato impossibile, e a maggior ragione è diventato impossibile il mito della premodernità idealizzata. La teoria di « EXIT ! » rifiuta ogni romanticismo agrario, nel modo in cui, per esempio, è fiorito in Francia nella sinistra post-situazionista, come reazione alla fine del marxismo tradizionale. Allo stesso modo, è diventato impossibile dare una connotazione positiva - come se fosse «tutt'altro» - alla dissociazione sessuale analizzata nel quadro di un nuovo paradigma teorico. Le donne non sono degli esseri umani migliori, e la relazione di dissociazione significa, così come la relazione di «lavoro astratto», una riduzione compulsiva delle possibilità umane.

Resta da porre la domanda circa la relazione che la nuova posizione di « EXIT ! » intrattiene con la teoria di Marx. Non si tratta né di «ortodossia» né di «revisionismo», bensì di un approfondimento eterodosso. In questa prospettiva, si deve parlare di un «duplice Marx», nella misura in cui possiamo trovare in lui due linee di argomentazione differenti e contraddittorie: da un lato, una teoria positiva della modernizzazione che comprende il capitale in quanto sviluppo «necessario» ancora incompiuto, ed al quale va assegnata una «missione civilizzatrice». Dall'altro, troviamo una teoria critica del feticismo moderno, vale a dire delle categorie che si trovano alla sua base. Il movimento operaio ed il movimento di liberazione nazionale possono appropriarsi solo del primo Marx, del Marx «positivista» e di una teoria della modernizzazione incompiuta dentro l'involucro delle categorie capitaliste; mentre tralasciavano praticamente del tutto, e in realtà non potevano comprendere l'altro Marx, il critico delle categorie. Al contrario, per « EXIT ! » quel che conta è proprio riprendere la seconda linea di argomentazione di Marx, e svilupparla insieme ai concetti di metafisica reale moderna e della relazione della dissociazione sessuale, vale a dire pensare con Marx oltre Marx.

Naturalmente, la nuova posizione teorica di « EXIT ! » suscita le più ardenti posizioni di difesa da parte di quel che rimane del marxismo tradizionale. Limitato al mondo di lingua tedesca, nel frattempo, il dibattito intorno alla «critica del valore», del «lavoro» e della «dissociazione» su è esteso ai paesi latini. Delle traduzioni di testi importanti degli autori di « EXIT ! » sono apparsi in Francia, in Italia, in Spagna ed in Portogallo, in Brasile, in Messico ed in Argentina, e recentemente anche in Cina ed in Giappone. Appare urgente e necessario far conoscere questa riformulazione e questo approfondimento della teoria marxiana anche nel mondo anglosassone. Il gruppo riunito intorno ad « EXIT ! » è convinto che il nuovo paradigma teorico «è nell'aria», e che ci saranno degli abbozzi e degli elementi di questa teorizzazione che si svilupperanno indipendentemente da esso, dappertutto nel mondo. Il dibattito è solamente appena iniziato, e dovrà essere altrettanto transnazionale del capitale stesso, se il pensiero critico vuole sconfiggere la propria paralisi.


- 2004 - Pubblicato sul n°1 della rivista Exit! -

NOTE:
[*1] - Questa metafora militare rappresenta la preoccupazione del discorso postmoderno di voler rompere con le teorie il cui rigore viene paragonato alla violenza totalitaria. Per contrasto, il discorso postmoderno vuole essere flessibile, fluttuante, in breve: senza armi.
[*2] - In tedesco: «Grosstheorie»; concetto utilizzato da Niklas Luhmann per designare una teoria (sociale) con pretese di universalità.
[*3] - In tedesco « Aufklärung », che più spesso viene tradotto con «Illuminismo», e più raramente con «Ragione> (con la lettera maiuscola), come avviene nella traduzione francese del libro di Adorno, "La Dialettica della Ragione".
[*4] - In tedesco: «unwahr», letteralmente «non vero».
[*5] - In tedesco: « Besitzbürgertum ».
[*6] - In tedesco: « Selbstunterwerfung », letteralmente «autosottomissione»; la traduzione libera, «servitù volontaria» (letteralmente « freiwillige Knechtschaft ») è un'allusione al testo di La Boétie: "Discorso sulla servitù volontaria" (1576).
[*7] - In tedesco: «erlöschen ».
[*8] – In tedesco: « auseinanderfallen ».

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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