
Allora «ci sarà una sola scienza»
Sul rapporto tra natura e storia in Karl Marx
Giovanni Sgrò
Karl Marx ha offerto in molte sue opere, non solo nei “giovanili” Manoscritti economico-filosofici del 1844 o ne L’ideologia tedesca, ma anche nei più “maturi” Grundrisse e ne Il capitale, una profonda riflessione sulla relazione e, in particolare, sulla convergenza, compresenza e complementarietà di natura e storia1.
Le sfere della natura e della storia non costituiscono infatti per Marx degli «opposti reali»2, inconciliabili tra loro; esse concorrono a formare piuttosto quello che Marx, sulla scorta di Hegel, definisce una «unità dialettica», ovvero «differenze nell’ambito di una unità», «articolazioni di una totalità» e tra questi due momenti, come «avviene in ogni insieme organico», si esercita «un’azione reciproca [Wechselwirkung]»3.
Per questo Marx, nelle sue opere, parla sempre di una «natura storica» e di una «storia naturale»4 dell’uomo, a seconda dell’elemento che al momento e nel contesto specifico egli desidera o è necessario prediligere e mettere in evidenza, senza per questo voler o dover assolutamente escludere l’altro momento dell’«unità dialettica».
Una volta premessa e chiarita la loro convergenza, compresenza e complementarietà e per non sacrificare ad esse la differentia specifica di ognuna delle due sfere, direi di iniziare, per comodità e chiarezza espositiva, con la «natura storica» dell’uomo, con il suo essere, “per natura”, un ente storicamente generato e determinato.
Nella prima sezione de L’ideologia tedesca, intitolata Feuerbach e rimasta a uno stato altamente frammentario, dovendo aver a che fare «con gente priva di presupposti come i tedeschi» e in dichiarata polemica con la concezione idealistica della storia di Hegel e dei Giovani hegeliani, Marx ed Engels cominciano con l’enunciare e con il constatare il «presupposto di ogni esistenza umana, e dunque di ogni storia», il presupposto cioè che per essere in grado di “fare storia”, gli uomini «devono essere in grado di vivere»5.
Affinché vi sia storia, c’è quindi bisogno che vi siano gli uomini e per esistere, gli uomini hanno bisogno primariamente di mangiare, di bere, di vestirsi, di avere un’abitazione calda e sicura ecc.
Dopo aver così posto la «base materiale» dell’esistenza non solo della storia ma dell’uomo in genere, Marx ed Engels passano quindi a enunciare i tre aspetti o “momenti” della «prima azione storica», della primigenia «attività sociale»6 dell’uomo, dell’atto di nascita del suo carattere specificamente umano rispetto alla sua precedente vita ferina.
Marx ed Engels scrivono infatti che si «possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione» o per tutto quel che si vuole, ma essi incominciarono a distinguersi veramente dagli animali «allorché cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza»7 . Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini «producono indirettamente la loro stessa vita materiale»8. È infatti l’atto fondamentale della produzione dei loro mezzi di sussistenza e degli strumenti necessari a conseguirli che determina il loro modo specificamente umano di vita9. «Ciò che gli individui sono», concludono Marx ed Engels, «dipende dunque dalle condizioni materiali della loro produzione»10.
A rigore però, questo primo aspetto o “momento” appena enunciato, non costituisce ancora la «prima azione storica» dell’«attività sociale» dell’uomo, in quanto anche l’animale soddisfa, anche se more ferarum, i suoi bisogni fondamentali. Anche il castoro, ad esempio, procura il cibo per sé e per la sua prole, anch’egli costruisce la sua abitazione e ha cura che sia pulita e protetta dalle intemperie ecc. Ciò che però distingue l’uomo dall’animale, come osserva sottilmente Hegel nei suoi Lineamenti di filosofia del diritto sulla base di una profonda e meditata lettura dei classici dell’economia politica inglese, è che l’«animale ha una cerchia limitata di mezzi e modi dell’appagamento dei suoi bisogni», che sono altrettanto limitati; l’uomo, invece, «anche in questa dipendenza» naturale, è in grado di «andare al di là» di essa e di dimostrare così «la sua universalità», la quale si manifesta «dapprima attraverso la moltiplicazione dei bisogni e dei mezzi» per il loro soddisfacimento e poi «attraverso la scomposizione e differenziazione del bisogno concreto in singole parti e lati, che divengono diversi bisogni particolarizzati, quindi più astratti»11.
Nella moltiplicazione, differenziazione e particolarizzazione dei suoi bisogni, l’uomo afferma infatti, come scrive Marx nei Manoscritti del 1844, la sua «libertà e universalità», le quali consistono nel riuscir a fare della «sua attività vitale l’oggetto stesso della sua volontà e della sua coscienza», di renderla cioè «un’attività vitale cosciente»12. Ed è proprio l’«attività vitale cosciente» che «distingue l’uomo immediatamente dall’attività animale» e «proprio soltanto per questo egli è un essere appartenente ad una specie [Gattungswesen]»13, altrimenti, conclude sarcasticamente Marx in uno dei suoi articoli in difesa della libertà di stampa pubblicati nel 1842 sulle colonne della «Rheinische Zeitung», «che cosa distinguerebbe il muratore dal castoro, se non il fatto che il castoro è un muratore con la pelliccia e il muratore un castoro senza pelliccia?»14.
La distinzione e la superiorità dell’uomo rispetto all’animale, consistenti nella «libertà e universalità» della sua azione cosciente e deliberata, costituiscono un tema che ricorre spesso nelle varie fasi della parabola intellettuale di Karl Marx. Già nell’incipit del primo documento che di lui ci è rimasto, il tema di tedesco scritto a Treviri in occasione dell’esame di maturità liceale del 1835 intitolato Le considerazioni di un giovane in occasione della scelta di una professione, mostrando di aver fatto tesoro della lezione kantiana del Dr. Wyttenbach, il preside del liceo da lui frequentato, e degli insegnamenti impartitigli dal padre, di formazione umanisticoliberale, il diciassettenne Karl Marx insiste sulla specificità e sulla superiorità dell’uomo rispetto agli altri esseri del creato, perché mentre all’animale «la natura stessa ha fissato la sfera d’azione entro cui deve muoversi» ed esso la «occupa tranquillamente, senza tendere più lontano, senza neppure presagirne un’altra», all’uomo «la divinità diede un fine generale», quello di «nobilitare l’umanità e se stesso», ma lasciò a lui «la ricerca dei mezzi con i quali raggiungerlo; lasciò a lui di scegliere, nella sfera sociale, la posizione a lui più consona, partendo dalla quale potesse nel miglior modo elevare sé e la società»15.
Nei Manoscritti parigini Marx riformulerà poi in un lessico hegelo-feuerbachiano questo pensiero fondamentale, ad esempio quando scrive, nella sezione intitolata Il lavoro estraniato, che l’uomo è un «ente generico» (questa la traduzione adottata da Galvano Della Volpe per il tedesco Gattungswesen) o un «essere appartenente ad una specie» (secondo la traduzione di Norberto Bobbio) non solo perché della «specie, tanto della propria quanto di quella delle altre cose, fa teoricamente e praticamente il proprio oggetto», ma anche – e si tratta soltanto di una diversa espressione per la stessa cosa – perché «si comporta verso se stesso come verso la specie presente e vivente», perché si comporta verso se stesso «come verso un essere universale e perciò libero»16.
Mentre l’animale «produce unicamente ciò che gli occorre immediatamente per sé o per i suoi nati» e produce «solo sotto l’impero del bisogno fisico immediato» e secondo «la misura e il bisogno della specie cui appartiene», l’uomo invece «produce in modo universale» e «anche libero dal bisogno fisico», anzi «produce veramente soltanto quando è libero da esso» e «sa produrre secondo la misura di ogni specie» e dappertutto sa «predisporre la misura inerente a quel determinato oggetto». L’uomo costruisce quindi «anche secondo le leggi della bellezza»17.
Nel primo libro de Il capitale, Marx ritorna infine sul «carattere specifico» (Gattungscharakter) dell’uomo – l’«attività libera e cosciente»18 –, quando scrive, ad esempio, che se è vero che una qualsiasi ape farebbe «vergognare molti architetti [Baumeister]» per la geometrica precisione con cui costruisce le sue cellette di cera, ciò che «fin da principio distingue il peggior architetto dall’ape migliore», è il fatto che l’architetto «ha costruito la celletta nel sua testa prima di costruirla nella cera»19. Alla fine del processo lavorativo emerge infatti «un risultato che era già presente al suo inizio nell’idea [Vorstellung] del lavoratore, che quindi era già presente idealmente»20. Questo vuol dire che durante il processo lavorativo il lavoratore non «effettua soltanto un cambiamento di forma dell’elemento naturale», ma che nell’elemento naturale, ad esempio nella cera, egli «realizza allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà»21.
Possiamo ritornare ora al passo della prima sezione de L’ideologia tedesca da cui avevamo preso le mosse.
Dopo aver costruito «i mezzi per soddisfare» i loro bisogni vitali e dopo aver così creato «nuovi bisogni», dopo aver quindi fatto e rifatto «ogni giorno la propria vita», gli uomini «cominciano a fare altri uomini, a riprodursi». Si instaura così il «rapporto fra uomo e donna, fra genitori e figli: la famiglia». Partendo poi dalla famiglia come «unico rapporto sociale» e dalla sua semplice divisione del lavoro, «gli aumentati bisogni» materiali creano tra gli uomini «nuovi rapporti sociali» e via via anche rapporti politici, giuridici, religiosi, culturali, artistici ecc., a differenza ancora una volta dall’animale, il quale «non “ha rapporti” con alcunché», anzi, a dire il vero, «non ha affatto rapporti»22.
La scienza storica quindi, se non vuol ridursi a «una raccolta di fatti morti, come negli astratti empiristi» o a «un’azione immaginaria di soggetti immaginari, come negli idealisti», deve cogliere e rappresentare il «processo di vita attivo»23 con il quale «gli uomini reali, operanti», condizionati da «un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono», oltre a produrre e a riprodurre se stessi, producono anche le loro «idee», le loro «rappresentazioni», la loro «coscienza»24 ecc.
Questo vuol dire che «esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca», la quale «discende dal cielo sulla terra», nella concezione materialistica della storia,
Per diventare l’adeguata «rappresentazione dell’attività pratica, del processo pratico di sviluppo degli uomini», la «scienza reale e positiva»26 della storia deve prendere le mosse dall’analisi minuziosa della «struttura economica della società», dei «rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il nome di “società civile”»27 e in questa analisi dello «sviluppo delle loro forze produttive materiali», nello «studio del processo reale della vita e dell’azione degli individui di ciascuna epoca»28, dovrebbe rientrare anche l’esame delle «condizioni naturali» trovate dagli uomini, vale a dire delle «condizioni geologiche, oro-idiografiche, climatiche» ecc., così come delle «modifiche da esse subite nel corso della storia per l’azione degli uomini»29.
Collocandosi e muovendosi infatti al di qua della radicale distinzione, operata in piena rinascita kantiana (soprattutto da Heinrich Rickert30), tra le scienze dello spirito e le scienze della natura, le quali sarebbero costitutivamente diverse per quanto riguarda l’oggetto di ricerca, il metodo di indagine (verstehen vs. erklären), la Begriffsbildung e la finalità euristica, Marx non opera una netta distinzione, che sulla scia di Hegel definirebbe «astratta e intellettualistica», tra piano della natura e piano della storia, e quindi tra scienze della natura e scienze dello spirito, ma sottolinea al contrario la loro comune provenienza umana e la loro convergenza euristica. Per Marx natura e storia si mediano nella prassi sociale, cioè nel lavoro e nella produzione materiale.
Per Marx infatti la natura – da non intendersi piattamente come il semplice mondo esterno, oggettuale, fattuale, ma come oggettivazione e prodotto della prassi sociale, dell’«attività lavorativa umana» – non esiste e non può esistere se si fa astrazione dall’uomo, e non dall’uomo singolo e isolato da cui prendono le mosse gli ideologi borghesi, il quale è a sua volta solo un’astrazione (anch’essa storicamente determinata), ma dall’uomo reale e sociale, dalla comunità umana 31.
Le “coordinate” fondamentali della natura non sono quindi semplicemente le categorie “neutrali”, anodine e asettiche di spazio e tempo, perché queste coordinate, in quanto espressione della natura umana, della «natura divenuta uomo», si colorano e si sostanziano di connotati umani, diventando così spazio sociale e tempo storico.
Il tempo, ad esempio, per Marx non rappresenta la somma o la semplice giustapposizione di infiniti attimi né è la distensio animae di agostiniana memoria, si potrebbe piuttosto dire che per Marx il tempo è una sorta di distensio hominis, o, come lo definì una volta egli stesso in una conferenza destinata a riassumere e a presentare a un pubblico operaio i capisaldi a cui era giunta la sua critica dell’economia politica: «Il tempo è lo spazio dello sviluppo umano»32.
La natura è quindi in Marx sempre «natura umana» e, in quanto tale, «natura storica»33, immersa, compresa e sussunta nella «storia naturale dell’uomo»34.
Nella prima sezione de L’ideologia tedesca, Marx scrive ad esempio, in un passo questa volta di eraclitea memoria, che l’acqua, in quanto «essere» del pesce, è certamente la sua «essenza», quindi l’«essenza» del pesce di fiume è l’acqua di un fiume, ma quest’acqua di fiume cessa di essere la sua «essenza» e si tramuta anzi in un mezzo d’esistenza non più adatto e confacente a lui e alla sua essenza, non appena questo fiume è assoggettato all’industria e, dunque, non appena viene contaminato da sostanze tossiche o da altri rifiuti oppure quando viene percorso da battelli a vapore35 ecc.
Questo cambiamento radicale è dovuto, spiega Marx nel primo libro de Il capitale, a quel carattere sociale specifico, storicamente determinato, che assumono i prodotti del lavoro umano e, in generale, ogni «substrato materiale»36 portatore di valore d’uso, nelle società nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico: la Warenform, la forma di merce.
La Entäußerung (alienazione) e la Entfremdung (estraniazione), che secondo Marx caratterizzano il modo di produzione capitalistico, investono e rivestono quindi non solo l’uomo – nella sua doppia Gestalt di lavoratore e capitalista –, ma avvolgono e coinvolgono anche la natura, vale a dire che a uno sfruttamento smisurato e irrazionale delle forze essenziali umane operato in nome della legge del conseguimento del maggior profitto, corrisponde un non meno smisurato e irrazionale sfruttamento delle risorse naturali esistenti37.
Nella società capitalistico-borghese, nello «stadio dell’economia privata», anche la natura quindi è posta e concepita nella determinazione della proprietà privata e non viene vista invece nella determinazione del valore d’uso, nel suo essere la «base materiale» e il fondo naturale delle materie prime del lavoro umano38, nel suo costituire «il corpo inorganico dell’uomo»39.
Nella società capitalistico-borghese, non solo la “semplice” natura ma anche e soprattutto la scienza “pura” della natura, viene «sussunta» (formalmente e realmente), nella forma del general intellect, sotto il modo di produzione capitalistico e viene “applicata” alla produzione di merci al fine di una migliore, scilicet maggiore, estrazione di plusvalore e quindi di profitto.
Come per l’uomo, anche per il suo «corpo inorganico», per la natura, è solo grazie al comunismo e tramite il comunismo che sarà possibile “liberarla” dal giogo del capitale40. Solo allora verrà meno anche lo Schein, il carattere di apparente alterità ed estraneità della natura, di questo essere «presso di sé nel suo essere altro come tale»41 dell’uomo, carattere che viene trasformato, tramite il processo del lavoro umano, «dall’in-sé in un per-noi»42.
Il «comunismo», in quanto «soppressione [Aufhebung] positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell’uomo», è definito dal Marx dei Manoscritti parigini, come la «reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo», perciò come il «ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi»44. Questo comunismo si identifica, «in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l’umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo», è «la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, e tra l’uomo e l’uomo», è «la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie [Gattung]». È «la soluzione dell’enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione»45.
Solo con il comunismo sarà quindi possibile stabilire un «ricambio organico» non alienato e razionale tra l’uomo e la natura. Solo la comunità umana costituisce infatti «l’unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell’uomo con la natura, la vera risurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell’uomo e l’umanismo compiuto della natura», soltanto in essa «l’esistenza naturale dell’uomo è diventata per l’uomo esistenza umana», anzi «la natura stessa è diventata uomo»46, la natura si è «umanizzata»47 e si è venuta così a realizzare «l’essenza umana della natura o l’essenza naturale dell’uomo»48.
Arrivati a questo punto dello sviluppo storico-sociale, la «scienza naturale» può diventare «la base della scienza umana»49, o meglio, visto che la «storia stessa è una parte reale della storia naturale, della natura che diventa uomo», la «scienza naturale» può sussumere sotto di sé la «scienza dell’uomo», allo stesso modo di come la «scienza dell’uomo» può sussumere la «scienza della natura: allora ci sarà una sola scienza»50: la «storia» qua «vera storia naturale dell’uomo»51.
Con il comunismo sarà infine possibile raggiungere la meta a cui l’umanità aspira da millenni: la liberazione dalla schiavitù del lavoro forzato, imposto dalle cogenti necessità materiali, che rende possibile il passaggio dal «regno della necessità a quello della libertà», il quale, come scrive Marx alla fine del terzo libro de Il capitale, «comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna»52. Il regno della libertà, nel duplice senso di libertà dalla schiavitù del lavoro forzato e di libertà di dispiegamento incondizionato delle forze essenziali e generiche dell’uomo, «si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria»53.
È solo oltre questa «sfera della produzione materiale» che comincia per l’uomo la libertà di appropriarsi «del suo essere onnilaterale in modo onnilaterale, e quindi come uomo totale»54, come «ente generico» (Gattungswesen), direbbe il Marx dei Manoscritti parigini; è solo oltre questa «sfera della produzione materiale» che sono date «le condizioni materiali per lo sviluppo totale, universale delle forze produttive dell’individuo»55, per lo «sviluppo di una individualità ricca e dotata di aspirazioni universali»56, di un «libero individuo sociale» che si presenta ora come «il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza»57, direbbe il Marx dei Grundrisse.
Per quanto riguarda specificamente il rapporto dell’uomo con la natura, a questo superiore livello di organizzazione economico-sociale, la libertà si manifesta nel fatto che «l’uomo socializzato, cioè i produttori associati» regolano questa volta «razionalmente» il loro «ricambio organico [Stoffwechsel] con la natura», lo portano sotto il loro «comune [gemeinschaftliche] controllo», invece di essere da esso dominati come da una «forza cieca»58. Una volta giunti a questo punto, può cominciare quindi «lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà», il quale però, può «fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità» e sulla «condizione fondamentale» della «riduzione della giornata lavorativa»59.
A questo livello avanzato e maturo di produzione sociale, l’associazione in campo economico, applicata al fondo e al suolo, «partecipa del vantaggio» di cui gode il possesso fondiario nell’economia capitalistica e «realizza primamente la tendenza originaria alla divisione, cioè l’uguaglianza»; d’altra parte, l’associazione ristabilisce pure «la relazione affettiva dell’uomo con la terra in un modo razionale» e non più mediante «la servitù della gleba, la signoria ed una insulsa mistica della proprietà», in quanto la terra cessa di essere «un oggetto venale» e ridiventa «col lavoro libero e col libero godimento una proprietà vera e personale dell’uomo»60.
«Proprietà vera e personale dell’uomo» significa che in questa superiore formazione economico-sociale, a differenza di tutte le forme di società precedenti, diventerà abgeschmackt (assurda), una qualsiasi pretesa o rivendicazione di proprietà privata sulla terra su cui viviamo o addirittura di un uomo su un altro uomo, perché non solo una determinata società, ma anche tutte le società di una stessa epoca prese complessivamente, non sono «proprietarie della terra», sono soltanto i «suoi possessori», i suoi «usufruttuari» e, in quanto tali, scrive Marx alla fine del terzo libro de Il capitale, hanno «il dovere di tramandarla migliorata, come boni patres familias, alle generazioni successive»61.
In conclusione, anche il dibattito oggi tanto attuale sulla difesa ambientale e sulla gestione delle risorse naturali potrebbe trovare nel Marx dei Manoscritti parigini, dei Grundrisse e de Il capitale, un eminente e sagace interlocutore62. Fu infatti proprio ritornando a questi testi marxiani che negli anni Settanta del secolo scorso hanno preso l’avvio e si sono poi sviluppati dei veri e propri filoni di ecologia marxista (ecomarxismo)63, i quali, contro il predominio della Warenform, della forma di merce sulla natura, lottano per la sua “liberazione”.
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