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L’università fra nuova proletarizzazione e paradigma dello zombie
di Federico Chicchi
Per chi abita l’Università da diverso tempo e, come me, secondo ruoli e prospettive differenti che sono progressivamente cambiate con il trascorrere degli anni, credo possa risultare piuttosto evidente che questa stessa istituzione, addirittura millenaria, ha subito negli anni recenti una severa e profonda trasformazione. In realtà non è il termine trasformazione quello più adatto a rendere conto di ciò che è accaduto e che sta ancora accadendo all’Università. Il concetto di trasformazione infatti richiama etimologicamente il superamento di una forma per lo più esteriore, qui si tratta invece di qualcosa che, pur implicando anche una nuova rappresentazione sociale dell’Università, mobilita e porta con sé un vero e proprio cambiamento di natura, qualcosa quindi che incide fino in fondo la sostanza, lo spirito del suo funzionamento. Per certi versi non sarebbe credo azzardato affermare che l’Università, almeno quella che eravamo abituati a frequentare, è morta ma non sepolta (per giocare un poco con la nostra lingua). Non è sepolta perché pur avendo completamente perso le funzioni educative e di produzione di un sapere teorico generale che prima (non senza problematicità, intendiamoci) la caratterizzavano, non solo mantiene e prolunga, stile tardo impero romano, le griglie gerarchiche e baronali di esercizio tradizionale, ma per certi versi esalta in modo nuovo il suo ruolo sociale ed economico. In che senso? Potremmo dire che si tratta di una nuova fenomenologia dell’istituzione che io definirei fenomenologia zombie.
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Perché l'islamismo non può essere spiegato a partire dalla religione
di Norbert Trenkle
Come avviene sempre, dopo un atto di terrorismo islamico, come la strage nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato ebraico a Parigi, anche il dibattito pubblico viene indirizzato intorno alla questione di sapere cosa "l'Islam" abbia a che vedere con tutto ciò. Tuttavia, a livello politico ufficiale e nei media, questa domanda stavolta è stata posta con minore aggressività rispetto agli avvenimenti precedenti. La campana dominante è quella che dice che la società non deve lasciarsi dividere, e che nessun punto di vista religioso può giustificare la violenza terroristica. Ma questo, come soffiare in un violino, non serve a niente. Dal momento che purtroppo è chiaro che le azioni mostruose di Parigi portano acqua al mulino del fondamentalismo razzista e nazionalista che si sta diffondendo in tutta Europa e che afferma, a voce sempre più alta, che l'Islam, per sua essenza, sarebbe incompatibile con i valori della "civiltà occidentale" e che, quindi, i musulmani non devono stare qui.
A fronte di questa concezione fondata sul presunto cuore della società, gli appelli all'armonia, fatti dalla politica ufficiale, appaiono impotenti. E questo non attiene soltanto al fatto che gli atteggiamenti razzisti sono del tutto sordi a qualsiasi argomentazione razionale, ma anche al quadro di riferimento del discorso stesso.
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"La deflazione che avanza misura l'inadeguatezza delle politiche della Bce"
di Domenico Moro
I dati ufficiali, rilasciati dall’Istat e riguardanti l’inflazione di settembre, confermano la tendenza alla deflazione in Italia. Tali dati sono importanti per valutare la natura della crisi in atto e delle politiche delle istituzioni europee.
L’Istat usa due indici per calcolare l’inflazione, il NIC, riferito ai consumi dell’intera comunità nazionale e il FOI, riferito ai consumi di operai e impiegati. Il NIC registra a settembre 2014 un calo dei prezzi del -0,2% rispetto a settembre 2013 e del -0,4% rispetto ad agosto 2014. Risultati pressoché identici sono registrati con il FOI, che diminuisce del -0,1% rispetto all’anno precedente e del -0,4% rispetto al mese precedente. Tali risultati rientrano in una tendenza di fondo caratterizzata dal calo progressivo dell’inflazione, che parte dal +0,9% (NIC) di settembre 2013 e arriva alla deflazione attuale. La deflazione, ad ogni modo, non si limita all’Italia: nell’Eurozona si è registrato un calo del -1,4% dei prezzi alla produzione industriale ad Agosto 2014 sullo stesso mese dell’anno precedente.
Quali sono le ragioni del calo dell’inflazione e del presentarsi della deflazione? Secondo l’Istat la deflazione dipende in gran parte dai beni energetici, i cui prezzi calano del -4,5% tra settembre 2014 e settembre 2013. Comunque, ad essere in calo sono i beni in generale (-0,6%), soprattutto, oltre a quelli energetici, i beni durevoli, i tabacchi, e gli alimentari non lavorati, mentre i servizi crescono (+0,6%). Quindi, la ragione della deflazione è, almeno in parte, dipendente dal calo dei prodotti energetici, ben rappresentato dal crollo del prezzo del petrolio greggio, che da 147 dollari per barile del 2008 è passato, per il Brent, a 88,11 dollari, rischiando di scendere sotto i 70 dollari.
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Prefazione al volume I delle opere di Costanzo Preve
di Carlo Formenti
Costanzo Preve: Opere di Costanzo Preve. Vol. 1: Il nemico principale, Inschibboleth , 2021
In questa Prefazione mi occuperò del primo dei testi riuniti in questo volume, (Finalmente! L’atteso ritorno del nemico principale. Considerazioni politiche e filosofiche). Nella parte iniziale di tale testo leggiamo la seguente citazione: “Il nemico principale è sempre quello che è insieme più nocivo e più potente. Oggi è il capitalismo e la società di mercato sul piano economico, il liberalismo sul piano politico, l’individualismo sul piano filosofico, la borghesia sul piano sociale, e gli Stati Uniti d’America sul piano geopolitico”. Il brano è tratto da un articolo del filosofo francese di destra Alain de Benoist. Una scelta che appartiene al repertorio di gesti provocatori che ha caratterizzato l’ultima stagione produttiva di Costanzo Preve.
Non ho mai avuto modo di conoscere Preve di persona, né di parlargli. L’unico rapporto che ho avuto con lui è stato nelle vesti di caporedattore del mensile “Alfabeta”(ruolo che ho svolto negli anni Ottanta), quando Preve ci venne proposto come collaboratore da Francesco Leonetti. Non sono quindi in grado di stabilire se le provocazioni in questione nascessero dall’irritazione e dal disgusto nei confronti di una sinistra in avanzata fase di decomposizione sul piano politico, ideologico e filosofico (per cui Preve gioiva malignamente nell’evidenziare che, per leggere certe verità, si era ormai costretti a rivolgersi altrove), oppure se – almeno nel caso in questione – il fatto di potersi rispecchiare in una serie di affermazioni che riteneva condivisibili prevalesse sull’appartenenza ideologica del loro autore.
Sciogliere questo dubbio mi sembra francamente secondario rispetto a un dato di fatto: i detrattori di Preve si sono concentrati esclusivamente sulla fonte della citazione, ignorandone completamente il contenuto (per tacere del modo in cui Preve lo interpreta e approfondisce).
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La Cina è ad un punto di svolta?1
di Michael Roberts
Questa settimana si sono aggravati i problemi del debito che affliggono il mercato immobiliare cinese dopo il default di un’altra agenzia immobiliare causato dalle sue obbligazioni e dopo che Evergrande, il gruppo immobiliare più fortemente indebitato al mondo2, ha protratto per un secondo giorno la sospensione delle sue azioni senza dare spiegazioni. Fantasia Holdings, un’agenzia di medie dimensioni, che solo poche settimane fa ha rassicurato agli investitori di non avere "problemi di liquidità", ha dichiarato in una presentazione effettuata in Borsa che lunedì "non ha effettuato il pagamento" di un'obbligazione da 206 milioni di $ in scadenza quel giorno, innescando formalmente un default formale. L'insolvenza si aggiunge ai timori che la crisi di Evergrande possa diffondersi includendo un numero elevato di agenzie immobiliari cinesi, che rappresentano gran parte del mercato obbligazionario asiatico ad alto rendimento.
Il 23 settembre Evergrande non ha pagato degli interessi su un'obbligazione off-shore, innescando una proroga di 30 giorni prima di un default formale, e non ha ancora fatto alcun annuncio in merito. Ma anche prima che la crisi del debito del China Evergrande Group mandasse in tilt il settore immobiliare del paese, le società immobiliari cinesi erano impegnate nel riuscire a guadagnare abbastanza per pagare gli interessi sul loro debito. Alla fine di giugno, secondo i calcoli di Reuters basati sui dati Refinitiv, la quota aggregata di copertura degli interessi dei 21 grandi gruppi immobiliari cinesi quotati a Hong Kong è sceso a 0,94, il peggior risultato da almeno un decennio3.
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Salvati-Pianta, chi è l'estremista?
di Paolo Favilli
Il blocco egemone neoriformista ha costruito uno spazio politico «normale» oltre il quale c'è solo l'estremismo
Mario Pianta in un recente articolo su questo giornale sembra stupirsi per il fatto che Michele Salvati abbia etichettato come libro di un' «estrema sinistra», seppur «pensante», un importante contributo proveniente dagli studiosi di economia raccolti intorno a «sbilanciamoci». Si tratta, in verità, di un indicatore assai interessante del ruolo di un linguaggio, fatto passare per asettica descrizione di uno stato di fatto, nella battaglia politico-culturale in corso. Tanto più indicativo in quanto l'espressione viene usata da uno studioso di indubbie qualità personali ed intellettuali. Insomma una «testa pensante» che non ha con il lessico rapporti casuali. La collocazione su un asse degli estremi destra/sinistra non è la conseguenza di una tecnica neutrale che valuta pesi e contrappesi, ma degli esiti di aspre lotte culturali e politiche. Per questo tali collocazioni, e in particolare quella «estrema», si ridefiniscono continuamente e vanno valutate come sintomi di processi in corso, del tutto esterni rispetto a qualsiasi criterio di oggettività.
La democrazia si è storicamente basata sull'idea di emancipazione universale. Una concezione di tal genere è del tutto includente.
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Obama, la rielezione di un ex-presidente
nique la police
La vittoria elettorale di Barack Obama somiglia a quelle cene preparate con gli avanzi della festa del giorno prima. Qualcosa di dignitoso, magari saporito se ben ricucinato, ma che ha luogo grazie a ciò che non è stato consumato nei bagordi del giorno precedente. Speculazioni? Le cifre parlano meglio di qualsiasi considerazione. Obama, in quattro anni, ha perso quasi 20 milioni di elettori e una dozzina di punti percentuali. In questa caduta a precipizio si è fermato ad un punto percentuale di distacco dal candidato repubblicano. Quel punto utile per far scattare una larga maggioranza di grandi elettori secondo la particolare legge elettorale americana. Ma anche quel punto inutile per rovesciare la maggioranza repubblicana al congresso che finirà per condizionarlo almeno per i prossimi due anni. Insomma, Obama è stato rieletto grazie ai residui rimasti della spinta elettorale del 2008. E gli è andata bene: un columnist del Wall Street Journal notava come proprio negli ultimi giorni di campagna elettorale Romney stesse cominciando davvero a riempire le piazze e a convincere gli indecisi. Sarebbe stato il colmo: farsi battere sul filo di lana da un candidato repubblicano che ripeteva gli stessi slogan di 30 anni fa, con modalità di comunicazione politica al limite del vintage, campione sopratutto di gaffe, espressione di quella che ormai in Usa è una minoranza sociale: la sovrapposizione tra bianchi della working class e della middle class impoverite e le esigenze delle maggiori espressioni del capitalismo americano e della grande finanza (non a caso Goldman Sachs è stata la prima finanziatrice di Romney).
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Il #rogodilibri e la sottovalutazione del pericolo. Un’analisi
di Wu Ming 1
Non si potrà mai segnalare e linkare abbastanza l’articolo in cui Massimo Carlotto spiega che l’indignazione anti-Battisti degli amministratori/epuratori veneti è falsa come una moneta da mezzo centesimo, e quindi l’offensiva contro i libri sgraditi e soprattutto contro i loro autori, massacrati mediaticamente ad hominem, prescinde totalmente dalla questione sbandierata. Come dimostra l’epurazione silenziosa dei libri di Saviano e di Paolini, per motivi che al caso Battisti sono estranei.
Proviamo a fare un quadro della situazione.
La fase del declino di un regime può essere breve o lunga, tragica o grottesca (o entrambe le cose); di certo è sempre la fase più pericolosa. All’ombra di un regime declinante a livello nazionale, localmente si registrano le peggiori “fughe in avanti” e recrudescenze.
Recrudescenze che si incrociano – e talvolta confondono – coi tentativi sempre più marcati ed estremi di distogliere l’attenzione, alzare cortine fumogene, indicare falsi bersagli e capri espiatori. Il grido Achtung banditen! si alza sempre più alto e stridulo, insieme a strumentali richiami all’onore nazionale.
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Dalla sinistra senza popolo alla destra muscolare
Note sul processo di fascistizzazione
di Eros Barone
Lacroix - Dunque noi avremmo fatto della libertà una puttana! Danton - Del resto cosa ci sarebbe! La libertà e le puttane sono le cose più cosmopolitiche di questa terra.
Georg Büchner, La morte di Danton. 1
1. Un convitato di pietra: l’astensione
L’affermazione del centrosinistra nella maggior parte delle grandi città (Torino, Milano, Bologna e Roma) ha caratterizzato le recenti elezioni amministrative. Tuttavia, va detto che tale affermazione è il sottoprodotto non di uno smottamento elettorale del blocco di centrodestra, ma della dimensione eccezionale di un'astensione dal voto che ha interessato prevalentemente quei ceti medi produttivi i quali, se si riconoscono nella Lega, non si riconoscono però nella linea perseguita dal suo attuale segretario. Così la scelta di aderire alla maggioranza di governo che sostiene il governo Draghi e dunque di sostenere una politica di unità nazionale ha sicuramente pesato sul voto, potenziando le contraddizioni già esistenti tra la Lega e Fratelli d'Italia sul terreno della lotta per l’egemonia all’interno di una coalizione che vede queste due forze, ad un tempo, alleate e concorrenti. L’analisi dei flussi elettorali dimostra peraltro che Fratelli d'Italia non ha tratto un vantaggio proporzionale dal netto arretramento della Lega, poiché in gran parte il deflusso leghista ha alimentato il ricco serbatoio dell'astensione. Ad ogni modo, è questa la prova che le due principali forze della destra italiana controllano un blocco sociale ed elettorale potenzialmente maggioritario.
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"O inventamos o erramos"
Sulla situazione in Venezuela
di Geraldina Colotti
Dall'Italia alla Francia, dalla Spagna all'America latina si moltiplicano le analisi dei “critici-critici” sulla situazione in Venezuela. Si avverte, soprattutto in Italia, l'affannosa ricerca dell'aurea mediocritas da parte di una certa sinistra piccolo-borghese: l'assunzione di quell'aurea via di mezzo che consente, da una posizione intermedia, di cogliere la pagliuzza negli occhi degli altri per non vedere la trave nei propri. Contro il socialismo bolivariano, ognuno agita i propri fantasmi rimettendo in circolo, spesso senza nominarli, dubbi e nodi irrisolti delle grandi rivoluzioni. Ma intanto, anche se “Maduro non è Chavez”, come ripetono come un mantra i cantori dell'”aureo mezzo”, i nemici che deve affrontare sono gli stessi che ha dovuto combattere Chavez. Maduro, se è per questo, non è neanche Allende ma – come ha fatto notare l'analista argentino Carlos Aznarez – le forze che vogliono abbatterlo sono le stesse, mutatis mutandis, che hanno stroncato la “primavera allendista” nel Cile del 1973.
Anche al “socialismo del XXI secolo”, dunque, che si definisce umanista, cristiano, libertario e gramsciano, tocca misurarsi con gli scogli di quello novecentesco, disseminati su una rotta che appare per molti versi simile.
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Mercato del lavoro: il giallo dei dati
di Andrea Fumagalli
Come per ogni thriller che si rispetti, partiamo dai fatti, o meglio, dai comunicati stampa. Il 9 settembre, il Ministero del Lavoro rende noto i dati relativi alle comunicazioni obbligatorie relative ai licenziamenti e alle assunzioni del II trimestre 2016 (aprile-giugno). In sintesi, il quadro che emerge si può facilmente riassumere nel seguente modo: calano le assunzioni e aumentano i licenziamenti complessivi (+7,4% su base annua).
Nel periodo considerato, infatti, i licenziamenti sono stati 221.186, (15.264 in più, rispetto al secondo trimestre 2015). Da notare, che sono aumentate quelli promossi dal datore di lavoro (+8,1%) mentre si sono ridotte le dimissioni del lavoratore (-24,9%). Si cominciano così a registrare gli effetti della liberalizzazione dei licenziamenti padronali, introdotta dal Jobs Act.
Fra le assunzioni risultano invece in netto aumento, del 26,2%, gli avviamenti in apprendistato, mentre calano vistosamente (- 29%) le assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Si sta così verificando un effetto sostituzione, che ha cause ben precise. Da un lato, come era prevedibile, la riduzione dei forti incentivi fiscali, ridotti di quasi 2/3 dal 1 gennaio 2016, ha penalizzato il ricorso al contratto a tutele crescenti, fiore all’occhiello del Jobs Act, dall’altro, il maggior ricorso all’apprendistato (a basso costo) è il frutto dell’avvio del progetto Garanzia Giovani. In altre parole si sostituisce lavoro a termine (perché tale è il contratto a tutele crescente) con lavoro precario sottopagato.
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Ancora su destra e sinistra
Marino Badiale
Mi sembra che il tema della dicotomia destra/sinistra, con le tesi contrapposte della sua perdurante validità oppure del suo superamento, sia sottinteso in alcune delle discussioni a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi (per esempio quella relativa a Diego Fusaro, partita daqui e proseguita per esempio qui). Si tratta però di una tematica che resta spesso sottintesa, o magari accennata e liquidata con poche battute. Il risultato è che sul tema del superamento di destra e sinistra vi è un certo grado di confusione. Penso sia bene provare almeno a dissipare un po' di questa confusione. Un'occasione per farlo può essere questo articolo, di qualche tempo fa, di Moreno Pasquinelli, che ha il merito di affrontare esplicitamente la questione. In realtà lo scopo ultimo dell'articolo mi sembra sia quello di portare un attacco al tentativo, attribuito a Fusaro, di creare di una forza politica sovranista ma non caratterizzata in termini di destra e sinistra. Non è però di questo che intendo trattare adesso: mi interessa invece discutere la ricostruzione della genesi della tesi sul superamento di destra e sinistra (d'ora in poi, per brevità , la chiamerò ”tesi del superamento”), ricostruzione proposta da Pasquinelli all'inizio dell'articolo. Mi trovo infatti a dissentire su alcuni aspetti di tale ricostruzione, e penso che esplicitare questo dissenso possa essere un contributo a fare chiarezza su questi temi.
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Che sta succedendo a Roma?
Roma: tutti i guai del “meno peggio”
di ilsimplicissimus
Siamo di fronte a un apparente controsenso: lo scandalo della cupola romana che dovrebbe colpire soprattutto la gestione Alemanno e il suo mondo sotterraneo, finisce invece per mettere sul banco degli imputati il Pd che emerge come corresponsabile ai massimi livelli, non più testimone reticente ma complice e almeno in alcune componenti, socio d’affari. Così l’ex fascio e sfascio sindaco se la cava fingendosi cretino piuttosto che connivente quando in realtà non c’è ragione perché le due cose debbano essere in contrasto e dimenticando il twitter di qualche tempo fa dopo una trasmissione di Report sulla corruzione nella capitale: “Alla Gabanelli solo una risposta: querela per diffamazione e risarcimento danni per le menzogne contro Roma in onda su Report” ).
Roma è l’Italia
di Caprimulgus
L’inchiesta «Mafia Capitale» ha finalmente scoperchiato agli occhi dell’opinione pubblica e della stampa una realtà che i movimenti dei migranti denunciano da tempo: il razzismo istituzionale è un grande affare. Lo è per molti motivi. Nelle ultime settimane, una città che sembrava in preda al disagio delle periferie si è scoperta ostaggio di assemblaggi di potere tanto sofisticati quanto evidentemente più attenti alle politiche sull’immigrazione di tanti fautori dell’integrazione. Il sistema era perfetto: prima di tutto c’è l’emergenza immigrazione, che nasce da un nuovo modo di utilizzare la classificazione internazionale dei migranti che distingue tra quelli che si muovono per lavoro e i rifugiati e prevede percorsi specifici per i minori non accompagnati.
Chi decide a Roma?
Questa mattina ha avuto inizio a Roma una maxi operazione per associazione di stampo mafioso che ha visto 37 persone sottoposte a misure cautelari, 29 in carcere ed 8 ai domiciliari, e sequestri di beni per oltre 200 milioni di euro.
Al centro dell’operazione c’è Massimo Carminati che dalle ricostruzioni dell’inchiesta fornite dai media viene indicato come il capo di questa organizzazione mafiosa. Personaggio che ormai da quarant’anni si trova sempre coinvolto nelle vicende più buie di questa città. Ex Nar e grande amico di Fioravanti e Alibrandi, Carminati ha giocato e continua a giocare il ruolo chiave di connessione fra organizzazioni politiche di estrema destra e criminalità organizzata.
Chi si rivede! Massimo Carminati
Written by Aldo Giannuli
Vecchia conoscenza per chiunque si occupi di eversione nera, Massimo Carminati: dalle imprese dei Nar a quelle della Banda della Magliana, così nei casi degli omicidi Pecorelli, Fausto e Iaio, Pugliese, nel depistaggio per la strage di Bologna, nella rapina alla Chase Manhattan Bank dell’Eur, nella “strana” vicenda del deposito d’armi presso la sede di via Liszt del Ministero della Sanità, il suo nome torna sempre.
Spesso è stato imputato, ma alla fine se l’è sempre cavata e con assoluzioni con formula piena (Pecorelli, depistaggi Bologna, Fausto e Iaio). Per altri casi (ad esempio il furto al caveau della Banca di Roma, nel Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio, a Roma) e per uno degli scandali del calcio scommesse è ancora indagato.
Destra e Sinistra rubano insieme sugli zingari
Miguel Martinez
Sto seguendo, un po’ distrattamente visto che ho molto lavoro, la vicenda di Roma.
E quello che ho capito finora è questo.
Esiste gente che si trova sotto casa da un giorno all’altro un migliaio di Rom senza arte né parte, in immense distese mantenute con i soldi pubblici. E quindi votano a Destra perché sperano che la Destra “rimandi” i Rom nella loro mitica patria, la Zingaria. O se non in Zingaria, almeno a Zagarolo.
Esiste invece gente che trova brutto prendersela con un povero disgraziato senza arte né parte,e vorrebbe che lo Stato investisse soldi per “accoglierlo” e “integrarlo”. E quindi votano a Sinistra. Dove per “Destra” e “Sinistra” intendiamo quelle realmente esistenti, quelle che ci passa il convento del sistema elettorale attuale.
Reality Criminale
di Emiliano Viccaro
"Il Nero e il Rosso". Il rischio che l'inchiesta "Mafia Capitale" diventi la terza serie, dozzinale, di una nota fiction è dietro l'angolo. Ma il rischio più forte è la sua traduzione politica, amministrativa, economica, da parte degli stessi poteri che sono finiti al centro dello scandalo più annunciato della storia. Se è vero, come ha detto un dirigente del Pd romano, "che siamo davanti al nostro '92", meglio attrezzarsi subito per non finire in una nuova brace giustizialista e iperliberista.
Qualche giorno fa, su queste pagine, nel recensire il film La Trattativa, disegnavamo una sorta di cartografia sociale del "capitale che si fa mafia", utile alla descrizione dei processi di saccheggio, legali o illegali poco importa, che investono le nostre città. La tempesta di questi giorni conferma e travalica clamorosamente quelle ipotesi di governo spurio delle metropoli.
Gli affari sporchi di «quelli di sopra»
Alessandro Dal Lago
Quando qualcuno strepita in nome della sicurezza, si sente invariabilmente odore di corruzione. Vi ricordare Penati, lo sceriffo di Sesto san Giovanni ossessionato dalla legalità e salvato dalla prescrizione? E che dire di Bossi, l’uomo che si faceva rifare la casa con i rimborsi elettorali, mentre scagliava la Lega contro gli immigrati? La storia d’Italia degli ultimi venticinque anni abbonda di episodi come questi. L’ipotesi di fondo è sempre stata che i tutori della legge e dell’ordine volessero deviare l’attenzione del pubblico su capri espiatori facili facili. Ma ora, la straordinaria vicenda della cupola romana permette di aggiustare il tiro.
Andiamo con ordine. Una gang guidata da uno della Magliana si infiltra nell’amministrazione locale in collaborazione con uomini delle cooperative «rosse» e del terzo settore.
Non è solo la questione morale a fare la differenza
Ripartiamo dal “mondo di sotto”
Rete dei Comunisti
L’inchiesta “Mondo di mezzo”, ribattezzata dai giornali “Mafia Capitale”, che ha portato nei giorni scorsi all’arresto a Roma di 38 tra malavitosi, fascisti, politici e affaristi, e oltre cento indagati, rimette in luce un “mondo” noto, l’intreccio sistemico tra pezzi diversi di società che, in qualche modo, nella Capitale ha sempre formato quel “comitato di scopo” che mette assieme interessi diversi, ma nel quale ognuno trova il vantaggio nell’alleanza con l’altro per poter realizzare il suo.
Un modello che però, almeno attraverso le inchieste giudiziarie, non aveva ancora completamente manifestato tutta la sua complessità.
Il vero malaffare è nella gestione legale della città, non nelle sue escrescenze criminali
Militant
La radice del male capitolino non emerge certo con le inchieste di Pignatone né relegando tutta la faccenda allo schema “legami della malavita con la destra eversiva”. Il male di Roma è politico, non amministrativo. Ed è con la politica che si risolve, non con le inchieste giudiziarie. Sebbene sia anche necessario il contributo della magistratura, impossibile nasconderlo, non è con questa che verranno risolti i problemi della Capitale, perché tali problemi esulano dagli accordi malavitosi sulla gestione degli appalti pubblici. Insomma, dovremmo cercare di evitare una lettura unicamente giudiziaria/legale, o peggio ancora una schiacciata sui rapporti tra destra e malavita. La radice del problema di gestione della città di Roma è la politica.
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Il salario nelle crisi
Modigliani e l’inizio della fine del Pci
Il dibattito economico odierno sulle possibili soluzioni per uscire dalla crisi si concentra sull’utilità o meno di una riduzione dei salari. Sebbene si citi spesso la frase di Marx (per cui la storia si ripete come farsa), in questo caso la farsa è che questo dibattito si ripeta ancora nel nostro paese. Infatti, durante la crisi degli anni ’70, lo stesso dibattito ebbe luogo proprio in Italia, e vide confrontarsi il futuro premio Nobel Franco Modigliani ed economisti eterodossi, molti vicini al Partito Comunista Italiano. Proprio il dibattito sul livello del salario nella crisi è un indicatore importante per misurare l’orientamento delle varie posizioni politiche e il loro cambiamento reale.
Modigliani: la riduzione del salario reale e il compito dei sindacati
Gli anni ’70 furono attraversati da diversi fenomeni economici. Da una parte si concluse il ciclo di lotte cominciano nei decenni precedenti, con la conquista di molti diritti, tra cui lo Statuto dei Lavoratori e la scala mobile per i salari. Dall’altro l’Italia, come le altre economie capitaliste fu colpita da una crisi di stagflazione, che univa quindi alla crisi della produzione un’impennata dell’inflazione.
Per uscire dalla crisi era necessario, secondo Modigliani, una riduzione del salario reale, che sarebbe dovuta passare attraverso la modifica o la cancellazione del meccanismo di indicizzazione dei salari all’inflazione (conosciuto appunto come scala mobile).
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Finale di partita, ma nessuno è sicuro di vincere
di Dante Barontini
E’ finita una stagione politica. Breve, quasi sempre fuori da ogni logica costituzionale, greve, senza un disegno unitario che potesse cogliere e provare a sciogliere i nodi che inchiodano questo paese sulla via del declino e le fasce deboli della popolazione su quella dell’impoverimento continuo.
La prossima può essere peggiore, qualsiasi sia una delle soluzioni ad oggi possibili.
Matteo Salvini e la Lega hanno infine tolto la spina al governo Conte. Sono passate settimane di provocazioni continue, assorbite dai grillini con atteggiamento suicida e complice delle peggiori nefandezze, nell’eterno e noioso “gioco del cerino” su chi dovesse intestarsi la crisi di governo. Basti pensare alla presentazione strumentale di una “mozione No Tav” (nelle certezza che sarebbe stata bocciata) il giorno dopo aver votato la fiducia a quel “decreto sicurezza bis” che consentirà a qualsiasi futuro ministro dell’interno di affrontare il Movimento No Tav manu militari.
Salvini ha provato ieri a portare a casa l’ultimo successo possibile: le dimissioni “volontarie” di Giuseppe Conte, l’apertura di una velocissima crisi extraparlamentare (le Camere sono state appena chiuse) e infine il voto anticipato entro la prima metà di ottobre. Per capitalizzare – come riferito esplicitamente dallo stesso Conte in tarda serata – “il consenso conferitogli dalle elezioni europee e dai sondaggi”. Vantaggi privati in barba alle esigenze pubbliche, insomma.
Le consultazioni tra il presidente del consiglio venuto dal nulla e il Quirinale sono state probabilmente continue e la durissima dichiarazione di ieri sera – “non è il ministro dell’interno a decidere i tempi della crisi”, “venga in Parlamento come semplice senatore e capo della Lega” – porta direttamente a un dibattito parlamentare da concludersi con la sfiducia verso il governo, l’uscita della Lega dalla maggioranza e l’avvio del classico iter previsto dalla Costituzione (consultazioni al Quirinale, tentativo di presentare un “governo elettorale” o “tecnico”, e solo dopo – eventualmente – scioglimento delle Camere e indizione delle elezioni anticipate).
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Capitalismo europeo, nuova governance e movimenti sindacali
di Alfonso Gianni
Quasi in conclusione di un libro dedicato all’analisi del sistema industriale tedesco - divenuto poi un classico della sociologia industriale e che quasi trenta anni fa aprì un dibattito tanto ampio quanto inusitato per la complessità e lo specialismo della materia (1) - Horst Kern e Michael Schumann, entrambi docenti all’Università di Gottinga, osservavano come:
Le analisi di Kern e Schumann
Gli stessi autori avevano già condotto, verso la fine degli anni ’60, uno studio poi raccolto in volume (2), nel quale avevano preso decisamente le distanze da chi dava per sicura una positiva correlazione fra progresso tecnico e umanizzazione del lavoro, come sosteneva ad esempio Robert Blauner, secondo cui il processo di automazione avrebbe addirittura eliminato il fenomeno dell’alienazione nel processo produttivo (3).
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Quei discreti pirati del commercio globale
Come ti frego (per sempre) i Paesi poveri
di Sabina Morandi
C'era una volta il Wto. Ricordate? Ogni volta che si è riunito per imporre al mondo i diktat dell'ultra-liberismo c'è stata una sollevazione. E' successo a Seattle, a Cancun e a Hong Kong dove, alla fine del 2005, attivisti provenienti da tutto il mondo hanno bloccato la città per un'intera settimana. Cosa è successo da allora? Quasi niente, secondo i media ufficiali. Eppure, mentre in Occidente si fa il mea culpa su certi eccessi della globalizzazione liberista, la sua marcia è continuata indisturbata nel resto del mondo, lontano dall'occhio indiscreto delle telecamere e dei contestatori. Nessuno infatti si è preso la briga si riportare le conclusioni di un rapporto stilato nel marzo scorso da Oxfam, intitolato Signing Away the Future (letteralmente: firmando via il futuro), da dove si evince che Stati Uniti e Unione Europea, sempre più protezionisti in casa propria, continuano a perseguire una strategia ultraliberista fatta di accordi sempre più distruttivi per le economie meno sviluppate.
La firma di tali accordi comporta infatti una quantità enorme di concessioni irreversibili da parte dei paesi poveri, ai quali praticamente non viene offerto niente in cambio.
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La filosofia politica che ci manca
di Pierluigi Fagan
In una lettera del 1951 a K. Jaspers, H. Arendt si interroga sul concetto di “male radicale” che aveva proposto all’interno della celebre indagine sulle Origini del totalitarismo. Confessa di non saper bene definirlo ma di avere la sensazione o intuizione che abbia a che fare con una riduzione dell’uomo a concetto, forse gli uomini hanno solo declinazione plurale e ogni loro singolarizzazione è una riduzione pericolosa, pericolosa perché taglia parti essenziali della loro stessa essenza irriducibilmente molteplice. Aggiunge di avere il sospetto che la filosofia non sia esente da colpe in questa riduzione ad unum e del resto il sospetto viene facile visto che la filosofia pensa appunto per concetti. A questo punto, specifica che questo non porta in conseguenza -come poi invece sosterrà Popper-, una discendenza diretta di Hitler da Platone ma induce a pensare che la filosofia politica occidentale sembra avere un punto cieco nel quale invece di avere un concetto puro della politica come attività che porta i plurali alla decisione singolare, ha sviluppato molti tentativi di singolarizzare la natura umana di modo che la decisione una, possa esserne dedotta in via logico-naturale dall’unità della presunta natura umana.
La filosofia politica occidentale, ha avuto due linee di sviluppo principali. La prima risale a Platone ed è la teorizzazione ideale di un modello di funzionamento della comunità, la seconda risale compiutamente a Machiavelli ed è una teorizzazione pratica dello stesso modello.
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Ridateci l'Iri
di Bruno Casati
L’italia produttiva affonda. Per tenerla a galla non bastano più moda e turismo, ma nemmeno i “distrettini” del made in Italy che, senza una grande industria alle spalle, sono in sofferenza. Siamo alla desertificazione industriale: dal declino si è scivolati nel dissesto.
E nessuno si sogna di investire in Italia. I capitalisti italiani, da tempo, si sono eclissati. Quelli esteri, indifferenti rispetto al Jobs act, si guardano bene dal metterci i quattrini a rischio nel paese che, secondo l’autorevole classifica di Transparency international, è ormai il più corrotto d’Europa (e quella classifica non considerava gli scandali Expo, Mose e Mafia Capitale). Ora però è squadernato un ultimo caso di crisi industriale, quello dell’Ilva di Taranto o, se si vuole, dell’acciaio italiano, che, per la sua rilevanza materiale e simbolica, costringe anche gli indifferenti che ci governano a metterci la faccia.
Perché l’Ilva è diventata un mistero doloroso, visto che, pur passata di mano da un manager ottantenne come Bondi a uno più giovane come Gnudi, continua comunque ad affondare inesorabilmente e in un silenzio tombale. ora questo silenzio viene rotto, all’unisono, dal segretario generale della Fiom e dal Presidente del Consiglio. Pare dicano le stesse cose, ma non è così.
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La capitolazione finale: l'hausmanizzazione monetaria è compiuta
di Pasquale Cicalese
“..Se la Germania pretende di continuare a vendere più di quanto compra, e incita addirittura tutta l'Europa a seguirla nell'accrescere gli squilibri globali, o accetta moneta fasulla o il default dei debitori. Ancora una volta, in Europa un altro secolo breve è già cominciato.”. Guido Salerno Aletta, La zavorra parla tedesco, MilanoFinanza 23 agosto 2014.
Hanno il fuoco sotto il sedere. E gli rode, gli rode tanto. Hanno adottato all’unisono nel 2014 un nuovo verbo: investimenti! Come mai? Operano, secondo loro, dal lato della domanda e dell’offerta al contempo. Ne hanno necessità per un dato: dal 2008 nell’eurozona gli investimenti sono crollati del 20-25%, mai visto dal dopoguerra. Ma, aggiungono, devono essere corredati da “riforme strutturali”, in primis il mercato del lavoro. Sognano, come sognavano nell’estate del 2011. La Germania adottò il Piano Hartz IV del mercato del lavoro nel 2003 con i minijob, la contrattazione aziendale e con una feroce deflazione salariale.
Risultato? La percentuale degli investimenti in rapporto al pil in quel paese non arriva al 18% (esattamente il 17,9%) e lì ci sono 5 mila miliardi di euro di liquidità che non vengono investiti, parcheggiati in depositi e prodotti assicurativi e finanziari a rendimento zero; se lo si rapporta allo stato comatoso dell’economia italiana, dove la percentuale è pari al 17%, ci possiamo rendere conto che sbatteranno contro un muro. Nessuno in Europa ammoderna impianti, aumenta le spese in ricerca e sviluppo, costruisce infrastrutture, investe in alta ricerca: tutti operano in un sistema economico vecchio di almeno 20 anni. In Italia anche peggio: durante le Considerazioni Finali del 2009, quando ancora era governatore della Banca d’Italia, Draghi ebbe modo di affermare che “negli ultimi vent’anni la nostra è stata una storia di bassi consumi, bassi salari, bassi investimenti”.
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Guerra russo-ucraina: l’insurrezione di Wagner
La corsa selvaggia di Yevgeny Prigozhin
di Big Serge
Questa analisi che traduco e pubblichiamo mi pare in assoluto la migliore e la più equilibrata tra tutte le moltissime comparse sinora sulla vicenda dell’insurrezione armata delle milizie Wagner; forse anche perché coincide con la mia, pubblicata il 25 giugno scorso*: si tenga dunque in considerazione il possibile conflitto di interessi, nel mio giudizio positivo.
L’analisi di Big Serge sfugge al pericolo principale, che in casi simili è: sovrainterpretare. Una miriade di informazioni impossibili da verificare, manipolazioni a tutto spiano, emozioni al calor bianco: è in casi come questo che la nebbia della guerra clausewitziana sale più fitta. Per farsi un’idea, invece, è necessario attenersi a quel che è possibile valutare con un minimo sindacale di attendibilità, non farsi travolgere dai pregiudizi e dalle ipotesi onnicomprensive che spiegano tutto, in breve sospendere il giudizio su tutto ciò che non suoni autentico, e tenersi pronti a cambiare idea se il contesto muta con il passare dei giorni.
L’Autore, inoltre, ha ben chiaro che “nel nostro tempo prevale un modello analitico: c’è una macchina che prende istantaneamente vita, accogliendo voci e informazioni parziali in un ambiente di estrema incertezza e risputando formule che corrispondono a presupposti ideologici. L’informazione non è valutata in modo neutrale, ma è costretta a passare attraverso un filtro cognitivo che le assegna un significato alla luce di conclusioni predeterminate.”
In altre parole, la maggior parte dell’informazione e dei commenti, sia nei media ufficiali, sia nelle fonti che si vogliono “critiche” e “alternative”, corrisponde a quel che Leszek Kolakowski chiamava “la quinta operazione”. Nelle quattro operazioni aritmetiche – addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione – il risultato consegue ai fattori, e non è noto prima che l’operazione aritmetica sia eseguita.
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“Make Critical Theory Great Again”
di Collettivo Jaggernaut
Pubblichiamo qui la presentazione del primo numero della rivista Jaggernaut, uscito da poco in Francia. La rivista orbita nell’area della Wertkritik (Critica del valore), rispetto alla quale vuole rappresentare un punto di riferimento e un momento di approfondimento. Per maggiori info, invitiamo a visitare la loro pagina web a questo indirizzo
“Siamo ancora tenuti a creare il negativo; il positivo ci è già stato dato” (Franz Kafka, Terzo quaderno dei Diari)
“La libertà sarebbe non quella di scegliere tra il bianco e il nero, ma quella di voltare le spalle a questa scelta obbligata” (Adorno, Minima Moralia)
Per decenni, gli algerini soprannominarono il quotidiano governativo del loro paese “Tutto va bene, (madama la marchesa)”. Si assicurava che grazie alla saggezza del governo i cittadini vivevano nel migliore dei mondi possibili, e che presto i problemi residui sarebbero stati risolti. Oggi un simile rapporto con la verità resiste ancora in una parte del mondo. Ma, almeno nel mondo “occidentale e libero”, è considerato arcaico. Non che i governi siano diventati più avveduti e umili. Semplicemente sanno che bugie del genere non reggono più.
In realtà, il cittadino contemporaneo sa di essere circondato da pericoli mortali, ai quali nessuno può promettere di porre rimedio senza scatenare immediatamente le risa. Catastrofi ovunque. Ciascuno può pensare, secondo la sua sensibilità personale, che il peggio sia la disoccupazione di massa o il riscaldamento climatico, il razzismo o l’immigrazione “incontrollata”, la corruzione o la persistenza delle diseguaglianze, l’inquinamento o la perdita del potere d’acquisto. Catastrofi ce ne sono e la prospettiva è negativa, come dicono le agenzie di rating.
Non è necessario essere ferocemente “contro il sistema” per fare ammettere pressoché a chiunque che le cose vanno malissimo. Basta leggere un giornale borghese di media qualità per convincersene ogni giorno che passa di più. Da questo punto di vista, sarebbe fatica inutile fondare una nuova rivista per diffondere la cattiva novella.
Ma se si tratta di accertare le cause dei mali presenti il discorso è ben diverso! Il soggetto contemporaneo si trova di fronte a una miriade di tentativi di spiegazione, il cui fattore comune è quello di non averne nessuno, e di spezzettarsi in un oceano di spiegazioni parziali.
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Questioni teoriche II
Stato, nazione, sovranità
di Mimmo Porcaro
Qui la prima parte
1.
Abbiamo finora visto che lo stato, non solo nei momenti di crisi ma anche in quelli di relativa quiete, è essenziale all’esistenza del capitalismo e che quindi il concetto di stato fa parte del concetto stesso di capitale. Abbiamo inoltre visto che la guerra non è per nulla l’effetto della sovrapposizione della logica bellicista degli stati a quella “pacifica” del commercio, ma è la prosecuzione con mezzi statuali di una logica feroce di dominio che nasce dall’economia capitalista. Dobbiamo ora chiederci quale sia l’interno funzionamento dello stato capitalistico: che cosa è, insomma, lo stato? Se si pensa lo stato come un insieme di istituzioni pubbliche che, governato da uno o più enti formalmente preposti al compito di direzione, ha piena sovranità su un territorio e su tutte le classi che lo abitano ed esercita tale sovranità attraverso leggi rese efficaci, in ultima istanza, dalla forza militare, se lo si pensa cioè come una realizzazione della modellistica politologica, hanno buon gioco coloro che dichiarano morto o inefficace lo stato perché la globalizzazione ha dissolto la sovranità, il caos ha moltiplicato i centri di potere invisibili o informali, i capitali sfuggono ad ogni controllo e la complessità ha reso inefficace la legge universalistica rispetto ai patti della governance e alla microfisica del potere.
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Oro, petrolio, dollari, Russia e Cina
di William Engdahl
Il sistema monetario internazionale di Bretton Woods del 1944, per come si è evoluto nel presente, è diventato, detto onestamente, il più grande ostacolo alla pace e alla prosperità nel mondo. La Cina è sempre più sostenuta dalla Russia, e le due più grandi nazioni eurasiatiche stanno prendendo passi decisivi per creare un’alternativa molto valida alla tirannia del dollaro americano nel commercio mondiale e nella finanza. Wall Street e Washington non ne sono contenti, ma sono impotenti nel fermare questo cambiamento.
Poco prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, il governo degli Stati Uniti, influenzato dalle maggiori banche internazionali di Wall Street, ha istituito ciò che molti credettero erroneamente essere un nuovo standard dell’oro. In verità, fu uno standard del dollaro in cui ogni altra valuta dei paesi del Fondo Monetario Internazionale ebbe il valore agganciato al dollaro. A sua volta, il dollaro americano fu legato poi all’oro con un controvalore pari a un trentacinquesimo di un’oncia d’oro. All’epoca Washington e Wall Street potevano imporre un tale sistema poiché la Federal Reserve deteneva circa il 75% di tutto l’oro monetario mondiale in conseguenza della guerra e degli sviluppi correlati. Bretton Woods incoronò il dollaro, che da allora è diventato la valuta di riserva del commercio mondiale detenuta dalle banche centrali.
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Imperialismo e mondializzazione
di Yann Cézard
«Il pericolo giallo che minaccia l’Europa può dunque definirsi nel seguente modo: rottura violenta dell’equilibrio internazionale sul quale si basa attualmente il regime sociale delle grandi nazioni industriali di Europa, rottura provocata dalla brusca concorrenza, abnorme e illimitata, di un immenso nuovo paese». L’economista Edmond Théry esprimeva così le sue paure nel libro Le Péril jaune del 1901.
Il mondo è cambiato radicalmente, ma il fantasma rimane. A parte il fatto che all’epoca la Cina era al centro degli interessi di imperialismi rivali, ora essa costituisce un vero e proprio ”laboratorio mondiale”. La "prima mondializzazione" capitalista vedeva il trionfo dell’Occidente. Quella di oggi vedrebbe il suo declino? Si può ancora parlare di imperialismo? Una confusione estrema, politicamente deleteria, regna oggi nelle coscienze.
Il peggiore dei metodi è la miopia, che impedisce nei fatti una visione netta dell’insieme. È una semplificazione che permette ad alcuni di esaltarsi sulla presunta fine dell’imperialismo (e perché non un “imperialismo rovesciato”: è vero o no che la Cina sommerge l’Occidente dei suoi prodotti industriali?), e permette ad altri di affermare la persistenza, senza variazioni, dell’imperialismo descritto da Lenin nel 1916 (l’Occidente non continua ininterrottamente ad intervenire ai quattro angoli del pianeta?).
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Euro alla frutta e TTIP alle porte
E il referendum-boomerang alla fine tutelerà i creditori
di Quarantotto
1. Dal blog di Krugman vi traduco, nelle parti salienti, questa irresistibile istantanea del volto idiota di una dittatura in nome dei mercati (e, ci ripetono in continuazione, della "pace"!):
"Supponiamo...che si parlasse di aumentare permanentemente il saldo primario di un punto di PIL. Come ho scritto in precedenza, e come rileva Simon Wren-Lewis, data la mancanza di una politica monetaria indipendente, ottenere un surplus primario richiede molto più di un'austerità in "rapporto 1 a 1".
In effetti, una buona ipotesi è che occorra tagliare la spesa pubblica del 2% del PIL, dato che l'austerità riduce l'economia e le entrate tributarie. Ciò, a sua volta, significa che si riduce l'economia intorno al 3%. Così, un 3% di colpo inferto al PIL per aumentare il saldo primario di 1.
Ma un'economia ridotta implica che il rapporto debito/PIL vada inizialmente in aumento. Ed infatti, dato il punto di partenza della Grecia, con un debito al 170% del PIL, l'effetto avverso dell'austerità significa che cercare di innalzare di 1 punto il saldo primario determina la crescita del rapporto debito/PIL di 5 punti (0,03x170).
Questo suggerirebbe che ci vorrebbero 5 anni di austerità per avere la ratio del debito nuovamente al livello in cui sarebbe stata in assenza di austerità.
Ma, aspettate, c'è di più. Associamo Irving Fischer alla discussione. Un'economia più debole porterà a minor inflazione (o a una più intensa deflazione), che, anch'essa, tende a innalzare il rapporto debito/PIL.
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L’Italia può uscire dall’euro?
Problemi e difficili soluzioni
di Enrico Grazzini
Si può uscire dalla trappola dell'euro e dell'Europa a guida tedesca? O saremo costretti a rimanere per sempre legati alle catene dell'eurozona, anche se l'euro-marco continua manifestamente a produrre una terribile crisi in tutta Europa, e in Italia in particolare? Quali sarebbero gli effetti dell'uscita dell'Italia? E' possibile lasciare la moneta unica e la politica deflazionistica ad essa indissolubilmente legata senza portare l'Italia alla rovina, ma anzi creando le condizioni per uno sviluppo sostenibile e autonomo?
La risposta non deriva solo da calcoli economici ma dipende dalle capacità politiche dei governi nazionali e dalle dinamiche internazionali. Infatti, dopo il dollaro, l'euro è la seconda valuta di riserva per le banche centrali di tutti i paesi del mondo e la sua rottura potrebbe provocare non solo la crisi della UE ma una crisi geopolitica internazionale. Non a caso l'euro è sostenuto, in quanto valuta internazionale non competitiva nei confronti del dollaro, anche dall'amministrazione Obama.
La tragedia dell'euro
E' indubitabile che, come hanno denunciato giustamente e con forza Alberto Bagnai1 e molti altri autorevoli economisti internazionali e nazionali, l'ingresso nell'euro sia stato un errore enorme e grossolano.
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Rimettere al centro il lavoro?
Sebastiano Isaia
Nel suo saggio del 2010 La malattia dell’Occidente. Perché il lavoro non vale più (Laterza, 2013), Marco Panara, giornalista economico del quotidiano La repubblica, denuncia ciò che da tempo era noto agli economisti e ai leader politici di tutto il mondo: «La perdita di valore del lavoro, e il conseguente trasferimento di ricchezza del lavoro al capitale». Sulla scorta dei dati forniti dalle maggiori istituzioni internazionali che monitorano l’andamento dell’economia mondiale, egli calcola nell’ordine di 5 punti annui (circa 1500 dollari all’anno per ciascun lavoratore occidentale) questo indiscutibile trasferimento di ricchezza.
Il salario si fa sempre più anemico, mentre il profitto ingrassa con la stessa rapidità seguendo una “legge di sviluppo” che sembrava essere andata in soffitta insieme al polveroso Carlo Marx. Non è che “a volte ritornano”; è che il Capitale non è mai andato via dalla scena.
«Quello che sta accadendo in Occidente da un quarto di secolo a questa parte», scrive Panara, «è che il valore del lavoro diminuisce costantemente. Si potrebbe dire che nello scontro secolare tra lavoro e capitale in questa fase ha vinto il capitale». Perché «in questa fase»?
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Guerra di movimento
Appunti sulla crisi politica italiana
di Augusto Illuminati
Dalla guerra di posizione, descritta nelle note precedenti, siamo alfine passati alla guerra di movimento. Le rotture annunciate si sono compiute – all’interno del centro-destra ma anche con la fuoriuscita non irrilevante di Rutelli dal Pd – e la maggioranza berlusconiana è venuta meno alla Camera (ma non al Senato). Guerra aperta, con fratture non più tamponabili, tanto meno reversibili. Tuttavia, per paradosso, con un esito di stallo. Berlusconi non intende certo farsi cucinare a fuoco lento per un triennio di continui insuccessi parlamentari, per di più privato della corazza del legittimo impedimento ormai in corsia di abrogazione o scadenza, e vorrebbe recuperare la maggioranza indicendo nuove elezioni con la vigente legge elettorale. E’ quasi sicuro di stravincere sull’unico terreno in cui la sua demagogia funziona grazie all’impreparazione e alla pochezza dei suoi avversari, ma (a parte le prevedibili resistenze di Napolitano) proprio il porcellum rende improbabile una sua maggioranza al Senato, stante la distribuzione della somma di finiani e centristi nelle regioni meridionali. Gli avversari di Berlusconi puntano a un governo di transizione con i più improbabili programmi (cui da ultimo ha offerto da sinistra un pensoso contributo Asor Rosa) ma in sostanza solo per cambiare nel frattempo la legge elettorale, non si sa bene come. Peccato che, al momento, abbiano una risicata maggioranza alla Camera (che perderebbero con elezioni anticipate), ma non al Senato (proprio a quel Senato che, se invece si votasse, li vedrebbe al contrario prevalenti).
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La crisi sfascia il governo
di Dante Barontini
In calce un articolo di Guido Salerno Aletta
Il governo soffre, la maggioranza scricchiola, Conte annuncia che non continuerà a far politica, Salvini minaccia-teme che “possa venir giù tutto”, Di Maio reagisce male alle iniziative fascio-integraliste come quella di Verona, Tria considera sconsiderato chi (Salvini e Di Maio) pensa di poter usare la Commissione parlamentare d’inchiesta sul credito come un tribunale per il comportamento delle banche o della Banca d’Italia (e Mattarella pone limiti invalidanti ai poteri della Commissione stessa)…
Che succede?
Quel che era abbastanza ovvio già al momento del varo di questo scombiccherato governo: la crisi economica ha ripreso a mordere, siamo in recessione da ormai nove mesi, in tutta Europa ma con più evidenza in Italia, l’Unione Europea non cambia registro nei confronti dei paesi non core (solo Francia e Germania, e magari l’Olanda, possono rivedere alcuni pilastri della governance), le misure “espansive” immaginate da questa maggioranza (quota 100 e reddito di cittadinanza, sostanzialmente) sono state sotto sferza ridotte a qualcosa di cosmetico senza effetti pratici (ma non sarebbero servite a molto neanche nella versione originale).
E dunque la manovra da disegnare per il prossimo anno diventa una via crucis. Ce ne sarebbe una da fare subito, secondo Bruxelles, per “correggere” la differenza attesa tra previsioni della legge di stabilità e realtà economica. Ma nessuno può chiedere ad un governo “succube” di varare misure lacrime e sangue in piena campagna elettorale; per le europee, oltretutto.
Dunque si aspetterà giugno per cominciare a mettere nero su bianco la legge di stabilità 2020, in cui il massacro sociale sarà così evidente da non poter essere nascosto sotto misure-bandiera a costo zero (blocco dei porti e dei migranti, libertà di sparare e di armarsi, campo libero ai fascio-integralisti, ecc).
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