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Covid: il terrore giustifica i mezzi
di Leonardo Mazzei
Chi ci segue sa quel che pensiamo del Covid. Primo, l’epidemia c’è, ma non è né la peste né la spagnola. Secondo, l’emergenza sanitaria c’è, ma al 90% è frutto dei tagli alla sanità targati euro(pa). Terzo, i morti ci sono, ma la quasi totalità è deceduta col Covid, non di Covid, e talvolta pure senza Covid. Quarto, e ben più importante, il virus è esattamente quel che lorsignori aspettavano per far passare, grazie alla paura diffusa h24 dai media, progetti e misure che avrebbero avuto ben altra opposizione in tempi normali.
Senza questo quarto e determinante aspetto, senza il decisivo fattore P (come paura), non si spiegherebbe quasi nulla di quel che sta accadendo. Tantomeno verrebbero accettate narrazioni al limite dell’assurdo, limitazioni di ogni forma di libertà, una censura di fatto applicata non solo ai “dissidenti”, ma pure alla più piccola sbavatura (vedi il caso Crisanti) nella narrazione ufficiale.
Già, il racconto ufficiale… Ma quanto è coerente questo racconto? Ecco una bella domanda alla quale vale la pena di dedicarsi. Lo faremo con una serie di esempi, che ci porteranno ad una conclusione che già anticipiamo: la narrazione ufficiale è tanto coerente nei fini (terrorizzare, terrorizzare, terrorizzare), quanto incoerente nei fatti e nelle tesi che utilizza per generare quel terrore. Anzi, da questo punto di vista, essa fa acqua da tutte le parti.
- La bufala del lockdown che “ci protegge”
Ci siamo già occupati di questa leggenda in primavera, quando, sulla base di dati ufficiali, dimostrammo quanto l’andamento dell’epidemia nei singoli paesi apparisse piuttosto indifferente alle diverse forme di contenimento adottate.
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Karl Marx fra storia, interpretazione e attualità (1818-2018)
Introduzione
di Luca Mocarelli, Sebastiano Nerozzi
Nel 2018 l’opera e la figura di Karl Marx sono tornate, ancora una volta, al centro dell’attenzione. Il bicentenario della sua nascita ha suscitato un intrecciarsi di riflessioni intorno alla rilevanza, al significato e alla attualità del suo pensiero. Numerose conferenze internazionali sono state organizzate già nel 2017 (per i 150 anni del primo libro del Capitale e i 100 anni della rivoluzione d’ottobre) e molte altre sono seguite nel 2018. Marx è stato celebrato anche sulle pagine del «Financial Times»1 e dell’«Economist»2 , con articoli dai toni a volte paradossali, ma tutt’altro che critici, in ogni caso concordi nel riconoscere la perdurante importanza del suo pensiero nel mondo di oggi. A Marx sono state dedicate opere cinematografiche di un certo pregio.
In questa temperie si sono rianimati alcuni dei filoni di ricerca che avevano composto il dibattito intellettuale nel marxismo del secondo dopoguerra: economisti, storici, filosofi sono tornati ad interrogarsi intorno al pensiero di Marx e ai suoi possibili sviluppi, offrendo nuove prospettive o consolidando e sviluppando quelle esistenti. La stessa riedizione, ancora in corso, delle opere di Marx ed Engels, frutto di un meticoloso lavoro di sistemazione editoriale e di ricostruzione filologica, ha stimolato nuove letture del suo complesso pensiero e della sua tortuosa evoluzione. Il cantiere del pensiero marxiano è tornato, insomma, a brulicare di nuova vita.
Un recente convegno, organizzato da alcune fra le maggiori università lombarde (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università di Milano-Bicocca; Università di Bergamo; Università di Pavia), ha contribuito a questo rinnovato dibattito ospitando un ricco confronto fra studiosi di diverse discipline e di diversi orientamenti teorici intorno alla complessa eredità del pensatore di Treviri3 . Questo volume mira, appunto, a raccogliere alcune delle relazioni esposte in quella occasione e a presentare nuovi spunti di ricerca e tentativi di sintesi che aiutino a fare un bilancio, inevitabilmente parziale e provvisorio, del pensiero di Marx e del suo impatto sulla storia degli ultimi due secoli. Ma, prima di addentrarci nelle tematiche affrontate dagli autori, ci sembra necessario chiederci: perché questo ritorno di interesse per Marx? Perché continuare ancora, dopo due secoli, a parlare di lui?
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La lotta di classe dall’alto e dal basso
Liberalismo, populismo e fascistizzazione
di Eros Barone
Non dimenticarlo mai: ora non è il momento adatto per vincere, ma per combattere le sconfitte.
Bertold Brecht
1. Il mondo va a destra: perché?
È in atto uno spostamento a destra che ha dimensioni mondiali. A partire da diversi paesi dell’America Latina, dove in precedenza governava la sinistra riformista e sono ora subentrati governi di destra, il cui esemplare più importante e più famoso è quello del Brasile di Jair Bolsonaro, apologeta del nefasto regime militare e della sua sanguinosa repressione, passando attraverso la rielezione di Modi in India, di Netanyahu in Israele e di Erdoğan in Turchia, per giungere all’Australia, dove è stato riconfermato il governo conservatore, e all’Unione Europea, dove le scorse elezioni hanno segnato un deciso spostamento a destra, tornano a soffiare i venti procellosi che hanno portato all’ascesa di Trump negli Stati Uniti e ora a quella di Johnson nel Regno Unito.
Quando avviene, su scala globale, uno spostamento così massiccio e così generalizzato, sorge spontanea la domanda: perché? Del tutto fuorviante è la risposta fornita a questo proposito dagli analisti liberali borghesi, intenti meccanicamente e schematicamente a classificare le forze sociali e politiche in base ai seguenti dilemmi: contro la UE o a favore della UE, contro l’immigrazione o a favore dell’immigrazione. Questo approccio, che isola singole contraddizioni da un contesto più ampio, scambia la sostanza con la superficie, la realtà con l’apparenza, il generale con il particolare. L’analisi marxista, che tende invece a ricongiungere la superficie alla sostanza, l’apparenza alla realtà e il particolare al generale, indica con chiarezza che quelle contraddizioni sono altrettante conseguenze della crisi economica che attanaglia l’economia mondiale dal 2008. Il ciclo declinante del saggio di profitto e il ciclo ascendente della reazione, il ciclo della concentrazione monopolistica del capitale e il ciclo della proletarizzazione della piccola borghesia trovano così una corrispondenza perfetta, confermando la tesi dei sostenitori della “stagnazione secolare” e ridicolizzando quei sicofanti della borghesia imperialista che, ipnotizzati dall’andamento a ‘yo-yo’ dell’economia mondiale, esultano quando tale andamento sembra impennarsi verso l’alto e cadono nello sconforto quando il rocchetto della valorizzazione discende sempre più in basso. Né il quadro viene modificato dalla discesa degli indici della disoccupazione, poiché, anche sorvolando sulla composizione in gran parte precaria degli occupati, il confronto tra periodi differenti, essendo la percentuale degli occupati diminuita, conferma un tasso di disoccupazione ben più alto di quello che registrano le statistiche ufficiali.
Lo spostamento a destra è dunque, a livello delle sovrastrutture e, in particolare, a livello delle sovrastrutture politico-istituzionali, la risultante del quadro di crisi e disoccupazione, che caratterizza attualmente la “struttura del mondo”.
2. La situazione politica europea
In sostanza è accaduto che, in una situazione ove i partiti liberali borghesi negano l’esistenza della crisi e la sinistra più o meno ‘radicale’ è incapace di formulare un programma alternativo, l’iniziativa è passata alla destra e al suo programma anti-immigrazione. La crescita della destra a livello mondiale si può quindi ascrivere alla combinazione tra il realismo con cui essa ha riconosciuto l’esistenza della crisi e della disoccupazione, e l’uso demagogico e divisivo che ne ha fatto attribuendone la responsabilità non alle classi dominanti che detengono le chiavi del sistema socio-economico interno e internazionale, ma agli immigrati e ai loro paesi di provenienza.
Stando ai risultati delle elezioni europee (e tenendo, peraltro, conto dei limiti derivanti da un’analisi, per così dire, sintomatologica, dipendente perciò dal carattere fluido, volatile ed emotivo che è proprio della pratica elettorale, di stampo essenzialmente mediatico, che caratterizza le attuali ‘post-democrazie’), il voto risulta essersi polarizzato tra le forze europeiste, che hanno manifestato una complessiva tenuta, e le forze populiste che hanno registrato notevoli successi in alcuni paesi (segnatamente, in Italia, in Francia e in Ungheria). Il fronte europeista, dal canto suo, si è diversificato in senso nettamente reazionario, isolando i socialdemocratici e aggregandosi attorno ai Verdi e ai liberali, che oggi rappresentano la prima linea del fronte cosmopolita e antinazionalista.
Secca e inappellabile è stata, poi, la sconfitta del Partito della Sinistra europea (una vera catastrofe storico-morale) che, perdendo numerosi seggi, vede ulteriormente ridursi la sua presenza già residuale a favore dei liberali e dei Verdi, senza riuscire nemmeno ad avvantaggiarsi della flessione dei socialdemocratici. Calano quindi la Linke tedesca, France Insoumise di Mélenchon e Unidos Podemos di Iglesias. Ma calano marcatamente anche quei partiti comunisti, come il KSCM nella Repubblica Ceca e il PCP nel Portogallo, che appoggiano i rispettivi governi socialdemocratici: aspetto, questo, che dimostra in modo inequivocabile come il sostegno ai governi di centrosinistra venga pagato a caro prezzo dai comunisti.
Il calo dei socialdemocratici è in parte compensato dai Verdi che, riemergendo dalle nebbie in cui vengono relegati quando non servono alla borghesia come arma di distrazione di massa e avvalendosi del pompaggio mediatico teso a presentare come nuovo un movimento piuttosto stagionato (i Verdi esistono perlomeno da quarant’anni), hanno ottenuto, grazie anche al sostegno di un blocco economico-finanziario di stampo eco-capitalistico, un vasto consenso tra le nuove generazioni.
Infine, va rilevato l’aumento dell’affluenza al voto, elemento, questo, che dimostra l’incidenza esercitata anche a livello elettorale dalla mobilitazione reazionaria delle masse, che è in corso su scala europea.
3. La situazione politica italiana
Il voto italiano è stato, ancor più che negli altri paesi europei, un plebiscito a favore della destra più reazionaria: dal 1945, quando ebbe fine la seconda guerra mondiale, uno spostamento a destra così marcato non si era mai avuto nel nostro paese.
È stato detto giustamente che l’ascesa della Lega non ha eguali in Europa sia per la sua progressione straordinaria (dal 17% al 34% in un anno di governo), sia per la sua estensione su scala nazionale, sia per il suo radicamento nell’Italia profonda della provincia, delle cittadine, dei piccoli paesi, delle campagne. In questo senso, una volta prosciugata Forza Italia, ‘partito-azienda’ decotto come il suo fondatore, assorbito buona parte del voto in uscita dal M5S e quasi tutto il bacino elettorale delle formazioni fasciste di Casa Pound e di Forza Nuova, eccezion fatta per quello di Fratelli d’Italia, che è peraltro complementare al bacino della Lega, quest’ultima è oggi per davvero, dal punto di vista elettorale e sul piano dell’immagine, “il partito della nazione”.
Ciò nondimeno, che la Lega sia nella realtà concreta, in primo luogo, uno strumento al servizio della superpotenza imperialista USA e, in secondo luogo, un satellite dell’imperialismo russo è un dato la cui evidenza è altrettanto palmare. In effetti, Trump e Putin, mentre confliggono in diverse aree del mondo, hanno un obiettivo comune: indebolire e disgregare l’Unione Europea imperialista. E in funzione di questo obiettivo sostengono e finanziano i partiti sciovinisti, populisti e di estrema destra che, alimentando l’odio fra i popoli e tagliando l’erba sotto i piedi ai tradizionali partiti socialdemocratici e liberali, contribuiscono ad inceppare il progetto di integrazione economica e politica europea diretto dall’imperialismo franco-tedesco, ma insidiato dal tarlo roditore della legge dello sviluppo ineguale.
Sul piano nazionale, la vicenda del Metropol, ponendo in luce i rapporti fra gruppi monopolisti, come l’ENI, e la Lega, ha confermato che oggi quest’ultima è assurta a partito-guida della grande borghesia sul terreno delle politiche neoliberiste e repressive. Pertanto, la Lega ha, sì, la sua base di massa nei piccoli e medi imprenditori del nord, in settori del ceto medio e anche in strati arretrati e disorientati del proletariato; ma a livello politico, nonostante la demagogia sociale, lavora per assicurare gli interessi della grande borghesia monopolista. Da questo punto di vista, esiste un parallelismo perfetto con il fascismo storico, poiché il rapporto fra la Lega e le componenti più reazionarie del grande capitale, degli industriali e degli agrari è (non congiunturale e tattico ma) strutturale e strategico.
I Cinque Stelle, fortemente ridimensionati nei rapporti di forza con il loro alleato-concorrente di governo e incalzati dal recupero del Partito Democratico, la cui strategia è evidentemente quella di accreditarsi come unica alternativa possibile a Salvini nel quadro di un rinnovato centrosinistra, seguono una linea ondivaga e velleitaria che nasce dalla fragilità della cultura politica di riferimento, dal carattere ‘liquido’ del movimento e dalla mancanza di una solida base sociale.
In sostanza, di loro, così come, in un altro senso, del Partito Democratico, si può dire che, a pari titolo anche se in campi diversi, lavorano per il re di Prussia, che è quanto dire per il leghismo e per la fascistizzazione. Non per nulla la mobilitazione reazionaria delle masse, che rappresenta il vettore più potente della fascistizzazione, è ‘a parte objecti’ il frutto velenoso della strategia del centrosinistra e del Partito Democratico, che ha contribuito a dividere le masse e ad isolare la classe operaia, mentre ‘a parte subjecti’ è la conseguenza tanto della politica perseguita dal gruppo dirigente renziano a favore di alcuni settori del capitalismo italiano ed europeo (quelli maggiormente legati al mercato tedesco) quanto della funzione svolta dal Movimento Cinque Stelle nel favorire, alleandosi ad un partito neofascista e impantanandosi nella melma di una politica del ‘giorno per giorno’ sganciata da un progetto adeguato alla fase, un consistente deflusso dei suoi voti verso l’alleato-concorrente: due apprendisti-stregoni che stanno già facendo, e ancor più faranno, i conti con le operazioni politicamente controproducenti e socialmente dannose che hanno posto in essere.
Dal canto suo, la Lega ha riscosso un crescente consenso negli strati popolari con una propaganda anti-sistema, pur rappresentando specifici settori capitalistici. Ha utilizzato il tema dell’immigrazione come strumento di costruzione di un legame etnocentrico, alimentando il nazionalismo con una strategia perfettamente riconducibile agli interessi di quei settori delle imprese italiane maggiormente penalizzati dal mercato unico europeo. Infine, ha monopolizzato il tema della sicurezza non solo per introdurre una ulteriore stretta repressiva sulle lotte sociali e gli scioperi, ma soprattutto per sacralizzare, sul piano pratico e ideologico, la proprietà privata (e questa è la ragione principale per cui, orbitando anch’essi all’interno di questa decisiva sfera ideologica e dei relativi interessi pratici, i partiti ‘di sinistra’ sono stati, sono e saranno del tutto incapaci di rappresentare un’alternativa alla Lega).
Per quanto riguarda taluni settori, anche rilevanti, del capitalismo italiano (energia, metallurgia, meccanica, grande distribuzione ecc.), questi settori hanno scelto di appoggiare la Lega in quanto hanno bisogno della sua politica ultrareazionaria e di scissione sistematica del proletariato per cercare di frenare l’inesorabile declino dell’imperialismo italiano e conservare i rapporti sociali esistenti, per intensificare lo sfruttamento e ridurre ulteriormente salari, diritti e spese sociali, per sopprimere le libertà democratiche degli operai, intimidire e attaccare le organizzazioni di classe e le forme di lotta più decise, impedendo, in coerenza con l’imperativo della controrivoluzione preventiva, che la ribellione proletaria e popolare si diriga contro le basi del sistema di sfruttamento.
Le menzogne spacciate da Salvini e il rifiuto opposto alla richiesta di riferire personalmente in Parlamento sul caso Lega-Russia non esprimono solo il timore per le conseguenze politiche di uno scandalo che dimostra la profonda corruzione del partito che dirige (condannato, fra gli altri reati, a rifondere 49 milioni di euro allo Stato per appropriazione indebita), ma mettono anche in luce il totale disprezzo del ministro di polizia e del suo partito nei riguardi della democrazia parlamentare borghese. La vicenda costituisce un altro tassello del processo di fascistizzazione dello Stato, che procede attraverso una lotta acuta con i vecchi partiti borghesi e nello stesso campo populista, all’interno del quale il M5S è in posizione totalmente subalterna.
Il Partito Democratico viene visto, soprattutto da quando è stato rivestito, per opera della segreteria Zingaretti, in contrapposizione a Salvini, dei panni e degli orpelli della cosiddetta ‘sinistra progressista’, come una forza alternativa alla destra, ma esso è in realtà, per la sua linea e per la sua base sociale (e in parte anche per quella di massa, se si considera l’organico insediamento dell’aristocrazia operaia al suo interno), uno schietto partito liberale borghese, del tutto interno alle compatibilità economiche e alle alleanze internazionali di una media potenza imperialista quale è l’Italia. Il falso ‘maquillage’ realizzato con la segreteria Zingaretti ha cambiato, frenando in qualche misura con la truffa/ricatto del ‘voto utile’ l’emorragia di consensi elettorali, il volto e la veste esteriore, ma non la sostanza intrinseca e la funzione di classe del Partito Democratico, che sono immodificabili. Il ‘partito operaio borghese’ di engelsiana memoria continuerà pertanto la sua opera deleteria di mistificazione e di inganno, fino a quando non sarà smascherato da una crisi di portata rivoluzionaria e le masse sfruttate non ne riconosceranno la reale natura di complice e gestore dello sfruttamento capitalistico.
Poche parole bastano a liquidare i cascami della Sinistra (suo malgrado) extraparlamentare. La liquidazione della centralità dell’autonomia di classe, consumata proprio negli anni della grande crisi capitalista; la sua sostituzione con la nozione democratico-borghese di cittadinanza progressista, riverniciata con qualche sbiadita coloritura sociale; l’appoggio e la partecipazione al II governo Prodi; le sperimentazioni ‘in vitro’ di schieramenti elettorali artificiosi e sempre più rachitici (Arcobaleno, Rivoluzione civile, Lista Tsipras ecc.) hanno costituito i ‘leitmotiv’ della catabasi e della eutanasia di questo movimento spettrale. Un ennesimo fallimento delle liste comuni di carattere elettoralistico ha infine ridotto questo piccolo movimento di ceti piccolo-borghesi ad un’esistenza querula, umbratile e servile, tenuta in non cale dalla borghesia monopolista cui non serve più come agente di corruzione ideologica della classe operaia, ignorata dalle masse proletarie con cui esso non intrattiene, né cerca di stabilire, alcun rapporto, e disprezzata dalle minoranze comuniste che ancora esistono nel nostro paese e che, lentamente ma progressivamente, si stanno riorganizzando.
4. Il processo di fascistizzazione avanza
Che il processo di fascistizzazione avanzi è ormai un dato di fatto del quale va preso atto. Quando si affronta questo tema, si deve, tuttavia, prestare attenzione a non incorrere in due distinti errori. Il primo errore è quello di limitare tale considerazione agli aspetti fenomenologici: una tendenza, questa, non a caso e significativamente incoraggiata dal Partito Democratico, intento ormai da tempo in un'opera di sfruttamento dell'immaginario antifascista tanto vacua quanto ipocrita, tutta fondata sulla rimozione, precedentemente portata avanti con successo dallo stesso centrosinistra per oltre vent'anni, della consapevolezza delle radici di classe del fascismo e dell'antifascismo e quindi del contenuto di trasformazione radicale dell'ordinamento sociale che quest'ultimo, se sincero e conseguente, assume in tutto il mondo ma, in particolare, in Italia. Il secondo errore è invece quello di ricercare negli avvenimenti attuali i tratti salienti del processo che condusse storicamente all’avvento del fascismo, sempre limitandosi ad accostamenti tra le caratteristiche esteriori dei due fenomeni che, evidentemente, sono solo in parte coincidenti.
La verità è che il processo di fascistizzazione si fa di giorno in giorno più evidente, più opprimente e più capillare, e chiunque abbia una certa sensibilità ne avverte già da molto tempo la stretta. In questo senso, il governo Salvini-Di Maio è solo il punto di avvio di un ulteriore salto qualitativo. Se confrontiamo infatti la situazione della prima metà del XX secolo con la situazione attuale, risulta palese il tratto comune costituito dalla crisi strutturale del capitalismo. Il secondo elemento, però, e cioè un’alternativa rivoluzionaria in atto, è sostanzialmente assente. Inoltre, la crisi del capitalismo si produce oggi nel contesto generato da un altro evento epocale, di segno opposto a quello rappresentato dalla rivoluzione d’Ottobre: l’abbattimento del vallo antifascista di Berlino e la fine del campo socialista, cioè la vittoria della controrivoluzione.
Orbene, questa particolare situazione, in cui il vecchio sta morendo ma il nuovo non è nemmeno in gestazione per assenza di antagonismo politico organizzato e diretto da finalità rivoluzionarie, dà luogo al fenomeno della “putrefazione dei processi storici”, di cui la fascistizzazione delle relazioni sociali è il frutto. La ricognizione finora svolta ha quindi permesso di porre in luce due elementi, la crisi strutturale del capitalismo e l’assenza di antagonismo organizzato, l’uno dei quali è convergente e l’altro è radicalmente divergente rispetto alla congiuntura storica che produsse storicamente il fascismo. Da ciò si ricava una prima conclusione: l’unica minaccia immediata che incombe sul capitalismo contemporaneo sono i suoi stessi limiti strutturali e le conseguenze che il loro manifestarsi comporta. Un fenomeno di acuta reazione, nella metropoli imperialista del nostro tempo, necessariamente erediterà la lezione del fascismo storico, ma non la riprodurrà, quanto meno nei suoi aspetti apertamente dittatoriali, se non in presenza di una soggettività politica capace di minacciare il dominio della borghesia monopolista.
D’altra parte, casi quali quello dell'Ungheria di Orbán, della Polonia, dei paesi baltici e dell’Ucraina dimostrano come il tipo di potere autoritario che serve oggi al capitalismo non abbia bisogno di mettere in discussione apertamente le caratteristiche esteriori della democrazia liberale, ad esempio il multipartitismo. È opportuno, inoltre, sottolineare che il fenomeno della fascistizzazione non si realizzerà, nella metropoli imperialista contemporanea, se non entro i confini dettati dalle compatibilità tra i regimi politici nazionali e il controllo economico e burocratico da parte delle istituzioni sovrannazionali e, in buona sostanza, dei vertici della piramide imperialista. Permanendo l’assenza di antagonismo politico e sociale soggettivamente organizzato, la borghesia è dunque libera di perseguire i propri interessi di classe dominante e di fornire alla crisi economica la propria risposta, che nella presente fase storica si identifica con la svalorizzazione delle forze produttive e l’accelerazione dei processi di concentrazione e/o centralizzazione del capitale.
Sennonché una conoscenza più adeguata del fenomeno della fascistizzazione della società italiana richiede che esso venga situato all’interno di quello spazio più ampio e di quel tempo più lungo che, all’inizio di questo articolo, è stato individuato come ‘ciclo politico reazionario’. La Brexit, l’elezione di Trump, la questione migratoria, prima ancora le guerre imperialiste contro i regimi progressisti della Libia e della Siria e le ‘dittature commissarie’ imposte all’Italia e alla Grecia sono stati gli eventi che hanno gettato la luce su una tendenza più articolata che include, tra i casi più rilevanti, la crescita delle forze neofasciste in tutta Europa, la restaurazione autoritaria in molti paesi sudamericani, lo spostamento a destra dell’India e dei paesi dell’Europa dell’Est. Un siffatto ciclo politico è, al contempo, l’effetto della “crisi organica di egemonia” delle classi dominanti e della stessa ideologia liberale. Esso si è configurato via via come reazione generalizzata all’erompere dei movimenti di massa contro le politiche di austerità negli anni centrali della crisi economica. A partire da questi eventi, il nazionalismo, declinato sempre più in chiave gingoista, si è presentato, da un lato, come una scelta, entro certi limiti, vantaggiosa per le classi dirigenti e, dall’altro, come uno strumento di rivendicazione immediata nella sempre più ristretta panoplia delle classi subalterne.
Da questo punto di vista, è opportuno ed illuminante aggiungere che la fascistizzazione si configura anche come il contraccolpo generato da un altro processo: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata. Non per nulla, dalla Thatcher in poi, in Europa la diffusione del neoliberismo è stata declinata come un grande progetto volto ad estendere a tutte le classi sociali l’accesso alla proprietà privata e a tutti gli àmbiti della vita la logica patrimoniale: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata è stata quindi, nel contempo, un mezzo potente per imborghesire il corpo sociale e una strategia con cui i neoliberisti hanno compensato la progressiva distruzione di un’altra forma di proprietà – quella sociale – incarnata, in qualche misura, dai moderni sistemi di ‘welfare’.
Questa particolare angolazione analitica permette di radiografare meglio quel vasto settore della composizione sociale della fascistizzazione, il cui protagonista non è affatto l’‘escluso’ o il ‘penultimo’, bensì una sorta di ‘sotto-borghesia’ costituita da quei ceti che si sono arricchiti negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso grazie al cosiddetto “capitalismo molecolare” e sono poi rimasti esclusi dalla nuova accumulazione di ricchezza seguita alla crisi del 2007. In Italia, per citare un caso paradigmatico, le modificazioni che hanno contrassegnato la funzione e il ruolo della Lega sono state rispecchiate dai mutamenti intervenuti nel suo discorso politico e sociale con una tale fedeltà e simultaneità che si possono, da questo punto di vista, considerare esemplari.
Così, sotto questo profilo, diventa intelligibile il crescente consenso che l’ideologia reazionaria è andata riscuotendo presso i gruppi sociali più poveri, esclusi dalla politica di diffusione della proprietà: consenso che ha dato luogo, per dirla con Gramsci, alla formazione di un “blocco storico” specifico. Il fenomeno testé evocato – rappresentato dalla ‘sotto-borghesia’ e dal lato reazionario della proletarizzazione dei ceti medi – dimostra quindi che è sbagliato, in primo luogo, sottovalutare l’intensità raggiunta dalla crisi di egemonia delle classi dominanti e dalla crescita correlativa del loro “sovversivismo” (cfr. sempre Gramsci), e, in secondo luogo, disconoscere la radicalità delle strategie che le classi dominanti sono disposte ad adottare per tentare di porvi un qualche argine.
Nondimeno, occorre precisare, sempre sotto questo profilo, che la questione qui evocata riguarda solo lateralmente un fenomeno politico come Salvini, poiché il problema principale è quello concernente la dislocazione dei soggetti di tradizione liberale e socialdemocratica. A tale proposito, va detto senza ambagi che una parte significativa dei gruppi dirigenti e dei maggiori gruppi editoriali del nostro paese non rifugge affatto dall’idea di fare ricorso a misure più o meno controllate di ‘guerra civile’ pur di superare la ‘crisi di legittimità’ a cui è esposta. Questa disponibilità non nasce semplicemente dall’esigenza di sintonizzarsi con quello che è considerato come un “senso comune popolare”, né da un mero calcolo di natura elettoralistica. Quello che si delinea è infatti un progetto complessivo di ristrutturazione dei rapporti sociali in senso sempre più autoritario e sempre più repressivo.
5. Quale strategia per il proletariato?
L’assunto da cui occorre prendere le mosse per rispondere correttamente alla domanda che dà il titolo a questo paragrafo è che le classi lavoratrici sono l’unico strato sociale che abbia un interesse diretto alla salvaguardia della capacità del paese di produrre ricchezza. Questa realtà, chiaramente confermata dall’esperienza italiana della lotta di liberazione contro il nazifascismo e, segnatamente, dalla difesa armata delle fabbriche ad opera degli operai contro l’invasore tedesco, deve essere ovviamente occultata e rimossa per consentire al processo di concentrazione del capitale di tramutarsi in guerra economica perdurante per la svalorizzazione delle forze produttive nei paesi subalterni.
Al contrario, l’immaginazione politica dovrebbe ripartire proprio da qui per tendere a rompere la paranoia proprietaria: dalla memoria storica e dall’attualità socio-politica delle forme di appropriazione collettiva dei beni.
Del resto, se il fascismo è il rovescio della soppressione sistematica delle alternative di vita, non ci sono fronti popolari, democratici o costituzionali che reggano, né l’antifascismo militante può da solo invertire la rotta: vi è, invece, il bisogno di politicizzare la vita e di rilanciare l’idea del socialismo se si intende lottare per davvero contro la Santa Alleanza del potere e del denaro.
Insomma, si tratta di capire che tra la democrazia liberale e il fascismo si interpone un lungo e articolato processo – la ‘post-democrazia’ - attraverso il quale l’estrema destra e le sue idee si socializzano gradualmente e diventano non solo ‘quasi-normali’, ma anche ‘quasi-normative’. Il fascismo può quindi apparire come un’opzione accettabile con cui talune frazioni dell’apparato statale stabiliscono apertamente i loro collegamenti. Non mancano, da questo punto di vista, le prove che talune idee fasciste stanno già circolando da tempo in strutture come la polizia o l’esercito. E se non è difficile immaginare che tali strutture possano fungere da supporto per passare all’offensiva quando la situazione sarà ritenuta matura dalle classi dominanti, non bisogna mai dimenticare che la transizione al fascismo è il risultato di un lungo processo. Siccome questo processo è in corso da diversi anni, ecco perché si deve parlare della fascistizzazione prima di parlare del fascismo. Naturalmente, tale processo, che non è ineluttabile e può essere contrastato e invertito, inizia ben prima del fascismo. Va da sé che quest’ultimo può pienamente affermarsi solo quando viene meno la mobilitazione rivoluzionaria delle masse nella lotta contro la fascistizzazione e nella lotta per il socialismo. Da qui scaturisce l’importanza di non minimizzare questo processo, dando per scontato che si tratti di una breve fase transitoria.
In realtà, i partiti politici tradizionali di orientamento liberale o socialdemocratico sono impotenti di fronte all’ascesa del fascismo e non riescono in alcun modo a fermare questo processo, di cui essi, tra le altre cose, sono la causa più o meno involontaria. Solo le classi lavoratrici sono in grado di contrastare e invertire il processo di fascistizzazione. Non si tratta, come dovrebbe esser chiaro, di deificare la classe operaia, ma di prendere atto, sul piano storico, che laddove il fascismo è stato sconfitto, la classe operaia era più attiva, più unita e più organizzata.
Oggi, a differenza del passato, esistono le condizioni per ridare alla classe quel partito, quella teoria e quell’ideologia senza i quali il proletariato ha le armi spuntate. Oggi, a differenza del passato, esistono almeno le condizioni ‘negative’ per non ricercare quelle scorciatoie opportuniste che hanno determinato la dissoluzione del movimento comunista in Italia.
Un partito comunista degno di questo nome deve dunque adoperarsi per la più vasta unità dei comunisti, ma sulla base di una linea rivoluzionaria e ideologicamente coerente. Un partito comunista degno di questo nome deve adoperarsi per lo sviluppo di iniziative politiche di approfondimento, dibattito e studio sulle principali questioni strategiche che sono oggi in discussione, senza disgiungere queste iniziative dalla partecipazione alle lotte reali che si svolgono nel paese. È perciò una necessità vitale, per un partito di questo tipo, la realizzazione della massima unità, sul terreno delle lotte sociali, con le forze sindacali di classe, con le organizzazioni del movimento studentesco e con i comitati di lotta, per costruire un’opposizione sociale alle politiche antipopolari del governo, per contrastare e invertire il processo di fascistizzazione, per rendere nuovamente concreta la prospettiva del socialismo.
Nello stesso tempo, con altrettanta determinazione e chiarezza un partito comunista degno di questo nome deve respingere ogni appello all’unità con il centrosinistra. La storia degli ultimi anni ha dimostrato infatti che non esistono margini per qualsiasi riforma in favore dei lavoratori e delle classi popolari, che il potere è saldamente nelle mani dei grandi gruppi finanziari e che la collaborazione di governo con forze di centrosinistra conduce solamente al tradimento dei lavoratori. L’unità con il centrosinistra non è utile a fermare la destra, e anzi la rafforza e la radicalizza, aumentandone il consenso nei settori popolari.
Occorre quindi continuare la lotta politica e ideologica per far comprendere ai lavoratori e alle classi popolari che il Partito Democratico non è un partito in favore dei lavoratori; che non è migliorabile dall’interno; che non siamo tutti dalla stessa parte e che sulle questioni decisive il PD è il partito più rappresentativo degli interessi del grande capitale. In questo senso, occorre lavorare per contrastare il tentativo del PD di accreditare una “svolta a sinistra” che non esiste e che è solamente un espediente elettoralistico per riconquistare consensi. Allo stesso tempo, occorre spiegare che l’unità con la sinistra che cambia nome e sigla ad ogni elezione, che è pronta e prona ad accordi con il PD, porta all’immobilismo e all’estinzione; che è impossibile l’unità con chi nei fatti difende l’Unione Europea e la Nato, con chi non iscrive la propria azione nella prospettiva strategica dell’abbattimento del sistema capitalistico di produzione e di scambio.
Infine, un partito comunista degno di questo nome non può che essere internazionalista, il che significa innanzitutto contribuire alla ricostruzione internazionale del movimento comunista, già da tempo positivamente avviata.
Concludendo, la congiuntura storica in cui ci troviamo conferma che, al di là del successo a breve termine che la destra può ottenere nel mobilitare le masse intorno a un programma falso e divisivo, essa è sostanzialmente incapace di riscattarle dall’attuale condizione di disoccupazione, precarietà, incertezza del futuro e disperazione. La storia insegna infatti che, sebbene vi siano momenti nella vita di una nazione in cui il sistema esistente appare stabile e destinato a sopravvivere a lungo, tutto ciò può cambiare rapidamente, lasciando il posto a momenti in cui il sistema semplicemente non può più continuare come prima. Per il capitalismo questo momento, se non è ancora giunto, sembra però avvicinarsi giorno dopo giorno. Per quanti successi possa ottenere qui o altrove, la destra non può modificare questo dato di fatto, la fascistizzazione non passerà e l’idea del socialismo è destinata a ritrovare, arricchita dalle meditate lezioni del passato e dalla meravigliosa freschezza con cui la parte migliore della gioventù la sta riscoprendo, tutta la sua credibilità e tutta la sua forza di avvenire.
Indicazioni sitografiche sulle fonti consultate nel corso della stesura del presente articolo
https://proletaricomunisti.blogspot.com/2019/06/pc-6-giugno-la-rielezione-di-modi.html
https://ilpartitocomunista.it/2019/05/28/per-una-prima-analisi-del-voto-e-prospettiva-del-partito-comunista/
https://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=6189
http://piattaformacomunista.com/
https://www.lacittafutura.it/editoriali/cosa-intendiamo-quando-parliamo-di-fascistizzazione-della-societa
http://www.operaicontro.it/?p=9755752515
http://www.euronomade.info/?p=10283
https://sinistrainrete.info/politica/15352-eros-barone-immigrazione-gingoismo-ed-esercito-industriale-di-riserva.html
https://sinistrainrete.info/politica-italiana/14145-eros-barone-vicoli-ciechi-e-cambiamenti-storici.html
https://sinistrainrete.info/politica-italiana/13625-eros-barone-il-governo-piccolo-borghese-e-antioperaio-degli-amici-del-popolo.html
https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/12340-eros-barone-crisi-organica-venditori-napoletani-e-mezze-classi.html
https://sinistrainrete.info/storia/10230-eros-barone-cosa-ci-insegnano-le-tesi-di-lione.html
http://www.lariscossa.com/2017/05/09/linsegnamento-gramsci-costruzione-del-partito-comunista/
https://sinistrainrete.info/societa/14356-eros-barone-l-ideologia-della-casa-in-proprieta-e-le-catene-dorate-del-capitale.html
https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/13792-eros-barone-cavalieri-demagoghi-e-popolo.html
Indicazioni bibliografiche
Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, ed. a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. I, pp. 326-327; vol. II, p. 869; vol. III, pp. 1602-1604
Reinhard Kühnl, Due forme di dominio borghese: liberalismo e fascismo, Prefazione di E. Collotti, Feltrinelli, Milano 1973
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L’euro non è un errore di calcolo
di coniarerivolta
Lo scorso 1° gennaio l’euro ha compiuto i suoi primi venti anni di vita. Dovremmo ormai aver maturato la giusta consapevolezza su come giudicare l’attuale progetto di integrazione europea, culminato nell’unione monetaria del 1999: oltre alle venti candeline, l’Unione Europea ha spento qualsiasi possibilità di attuazione di politiche emancipatorie per le classi meno abbienti e ha contribuito in maniera decisiva alla depoliticizzazione delle decisioni di politica economica, ormai dipinte quasi esclusivamente come scelte tecniche. Una cosa, tuttavia, non è riuscita ancora a spegnere a distanza di due decenni: anche in sedi apparentemente più illustri del bar sotto casa, qualcuno si chiede ancora perché la parità dell’euro sia stata fissata a 1936.27 lire, asserendo contestualmente che la situazione di arretratezza economica e sociale in cui versano da anni i paesi periferici, Italia in primis, sia stata in gran parte generata da un cambio ‘sbagliato’.
Semplificando, il tasso di cambio ci indica quante unità della nostra moneta occorrono per acquistare una unità della moneta di un altro Paese. Perché ci occorre acquistare valuta estera? Ad esempio, se avessimo intenzione di acquistare un telefonino da un produttore americano, questo vorrà essere pagato in dollari statunitensi (che potrà ad esempio usare per andare a cena in un ristorante di New York, dove difficilmente saranno accettati euro), e pertanto avremo la necessità di ‘cambiare’ i nostri euro in dollari: di fatto, staremmo cedendo euro in cambio di dollari ad un dato tasso di cambio. Nell’ipotesi che un telefonino sia venduto a 800 dollari, dovremmo pertanto disporre dell’equivalente in euro di quegli 800 dollari, cambiarli da un intermediario (ad esempio, una banca) al tasso di cambio corrente, e una volta ottenuti i dollari (anche se questo passaggio non lo vediamo materialmente, avviene nei terminali degli intermediari) effettuare l’acquisto del telefonino.
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L’identità: un concetto avvelenato
di Armando Lancellotti
Detto approssimativamente: Dire di due cose, che
esse siano identiche, è un nonsenso; e dire di
una cosa, che essa sia identica a se stessa,
non dice nulla (L. Wittgenstein, Tractatus
logico-philosophicus, 5.5303)
È cosa facilmente verificabile per chiunque che il concetto di identità sia oggigiorno uno dei più frequentemente utilizzati in tutti gli ambiti del discorso pubblico e questo ha dato luogo ad una moltiplicazione delle sue possibili declinazioni e delle sue differenti accezioni: identità occidentale, europea, nazionale, culturale, religiosa, etnica, locale o regionale, personale ecc. E poco importa se molte di queste espressioni abbiano oppure non abbiano un senso compiuto che ne permetta un utilizzo valido e pertinente, perché la rivendicazione identitaria sembra essere diventata un’ossessione a tal punto evidente, pervasiva e diffusa da non riuscire più neppure a mascherare le dinamiche che la producono, le esigenze e le difficoltà individuali e collettive che la alimentano. È come se lo sbriciolamento della realtà sociale, politica, economica, lavorativa – conseguenza di un mondo reso globale da un mercato totale in costante corto circuito e aggrovigliato su stesso nel circolo vizioso della riproduzione di iniquità sociale – avesse reso necessario il ricorso a pratiche identitarie, ovvero all’arroccamento difensivo su posizioni identitarie sufficientemente forti per fornire l’illusione di un barlume di sicurezza.
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Jus soli e militari in Africa
Le due facce sporche del colonialismo
di Fulvio Grimaldi
Mi associo agli auguri arrivatimi da tanti amici per feste debabbonatalizzate, che permettano a tutti, specie nel Sud del mondo, sottoposto alla predazione e al genocidio del nuovo colonialismo,, di festeggiare a casa propria senza i push and pull factors dei deportatori e, come al solito, per un anno migliore di questo e peggiore del successivo. E, soprattutto, senza lo sciroppo tossico dell’ipocrisia buonista, arma del nemico e metastasi malthusiana del tempo sorosiano.
Le feste dei padroni: gabelle e censure
Il regime criptorenzista e mafiomassonico inaugura l’anno nuovo con l’ulteriore potenziamento dell’imperialismo neoliberista e totalitario: 500 professionisti del militarismo sub imperialista italiota in Niger, per allargare le nostre missioni militari al prezzo di €1.504.000.00 sottratti a pensioni, sanità, scuola, ambiente e per assistere Usa e Francia nell’occupazione, distruzione, rapina di quel paese, deposito di uranio e minerali vari. Nuovo capitolo dell’espansionismo militare USA/Israele/UE nel Sahel e in tutto il continente.
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“Qui comandano i mercati e il popolo non conta nulla!”
di Dante Barontini
Ora tutto è chiaro, davanti agli occhi, senza veli ideologici che possano mascherare la realtà.
Il metodo della democrazia parlamentare, vanto e giustificazione dell’aggressività occidentale contro il resto del mondo, non è più funzionale alle esigenze del grande capitale multinazionale. E quindi va “superata”.
La decisione di Sergio Mattarella – impedire l’insediamento di un governo non pienamente controllato dalla Troika e assegnare l’incarico a Carlo “mani di forbice” Cottarelli, uomo del Fondo Monetario Internazionale, troppo estremo perfino per Matteo Renzi. come commissario alla spending review – segna uno spartiacque irreversibile con la tradizione repubblicana, italiana ed europea.
La Costituzione italiana nata dalla Resistenza viene ridotta al solo comma dell’art. 81 (“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio”), introdotto a forza su pressione dell’Unione Europea e votato senza discussione da tutti i partiti esistenti all’epoca del governo già para-golpista di Mario Monti. Il resto non conta più nulla; non è esigibile se sballa il pareggio di bilancio.
Lo ha spiegato lo stesso Mattarella con insolita chiarezza: “La designazione del ministro dell’economia costituisce sempre un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari, ho chiesto per quel ministero l’indicazione di un autorevole esponente politico della maggioranza, che […] non sia visto come sostenitore di linee che potrebbe provocare la fuoriuscita dell’italia dall’euro”.
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Considerazioni sulle ultime elezioni
di Guido Ortona
Una premessa. Mi pare che i problemi su cui deve riflettere chi aspira alla rifondazione della sinistra (perché di questo si tratta, dopo le ultime elezioni) siano quattro, e cioè
1) le ragioni storiche della crisi della sinistra tradizionale;
2) le ragioni della sconfitta della sinistra “qui ed ora”;
3) le ragioni del perché molti vedono nei 5s, e anche nella Lega, i soggetti che possono meglio interpretare le proposte tipiche della sinistra (a partire dal welfare);
4) che fare.
C’è chiaramente di che fare tremare le vene ai polsi; ma molti di noi “vecchi di sinistra” (cosa diversa dalla “vecchia sinistra”) hanno pensato a questi problemi, e quindi ha senso riferire su ciò che si è pensato. Prima però una premessa: ciò che dirò -e, credo, ciò che diranno gli altri colleghi e amici di Nuvole – sarà necessariamente generico e provvisorio. Generico perché ciascuno dei punti citati dovrebbe essere (e in effetti è) oggetto di studi molto approfonditi da parte degli scienziati sociali competenti; provvisorio perché non va dimenticato che stiamo vivendo in un’epoca in cui lo sviluppo delle forze produttive, per usare la terminologia marxiana, ovvero della tecnologia, per usare quella corrente, procede a ritmi frenetici; e lo stesso vale per i cambiamenti ambientali e per i metodi (e le probabilità) di nuove guerre. Per fare un esempio, tutte le analisi previsionali fatte fino a quarant’anni fa sono inevitabilmente errate, dato che non consideravano l’esistenza di internet.
Cominciamo.
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Prime note per la riflessione dell'Onda
di Franco Piperno
Un’altra università non vuol dire l’università del futuro
1. L’Onda sta mutando la sua fase
Con la massiccia concentrazione del 14 novembre su Roma, si compie un ciclo del movimento, il primo. Tutto era cominciato con un decreto romano, illiberale e statalista che, trattando la formazione come un costo piuttosto che un investimento, tagliava drasticamente la spesa pubblica per scuola e università. Il 14 novembre è così la risonanza sociale provocata da quel decreto.
Ma tanto la pluralità quanto i numeri coinvolti testimoniano, con tutta evidenza, che l’Onda ha già prodotto una eccedenza che è fuori misura rispetto al gesto che l’ha provocata.
In altri termini l’orizzonte parasindacale incentrato sulla questione dei tagli risulta ormai limitato, anzi asfittico; ed emergono forme di vita attiva che hanno compiuto l’esodo dalla temporalità moderna dove il futuro è vissuto nel modo dell’attesa (nuove riforme, nuovi governi, nuove scienze, nuove ricerche, nuovo mondo ecc.) e s’impegnano «a strappare la felicità al futuro» praticando qui e ora il terreno della critica alla divisione disciplinare del sapere: la prassi dell’autoformazione ovvero un’altra università, in grado di richiamarsi all’origine, all’autonomia e unità del sapere.
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Sulla questione dell'italexit
Comunicato
di Nuova Direzione
1- Alcune note preliminari sulla situazione
Nuova Direzione è nata per fare lotta politica e culturale. La sua dimensione non permette al momento di darsi un’organizzazione politica strutturata in forma partito.
Siamo ormai abituati al nanismo di quelle organizzazioni della sinistra che si autodefiniscono ‘partito’ pur potendo contare su poche migliaia di attivisti, ma scendere al livello delle centinaia rischierebbe il ridicolo.
Un’associazione formata da un paio di centinaia di attivisti può e deve impegnarsi su due fronti: da un lato lo sforzo teorico (produrre analisi politica, economica e sociale e condurre discussione pubblica), dall’altro quello pratico (partecipare alle lotte sociali, con il duplice obiettivo di comprendere cosa si muove nella società e di promuovere il conflitto tramite il confronto e il dialogo nei luoghi di lavoro, l’adesione e il supporto alle istanze dei lavoratori, la spinta a formularne di nuove).
Cioè essere nelle lotte attuali, per le lotte da organizzare, formulando sintesi dalle lotte in corso.
Un approccio che nulla ha a che fare con l’attendismo o il ritiro nella torre eburnea.
L’associazione non ha mai promesso di partecipare a tornate elettorali per far eleggere i propri iscritti nelle amministrazioni pubbliche. Non ne abbiamo la forza e non è il nostro obiettivo primario.
Come si può desumere dalle Tesi Politiche ampie ed ambiziose che abbiamo prodotto, vogliamo promuovere un cambio di paradigma sistemico e lottare per contribuire nella misura del possibile a cambiare i rapporti di forza all’interno della società, perché i cambiamenti a livello istituzionale possano avvenire e non essere facilmente neutralizzati.
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Padri e padroni
Scritto da Salvatore Cavaleri
Qualche settimana fa sono stato invitato a tenere un seminario in un liceo di Palermo, all’interno di un corso di storia contemporanea, su «Genova 2001 e il movimento altermondialista». Per la prima volta ho avuto l’occasione di parlare di quegli avvenimenti con un gruppo di ragazzi che all’epoca aveva appena tre anni. Qualcuno aveva già visto il film Diaz, i più informati avevano guardato dei video su Youtube, altri si erano documentati per l’occasione andando a recuperare vecchi articoli. In generale la percezione che avevano di quelle giornate era di «un gran casino»: Diaz, black bloc, Carlo Giuliani, defender, lacrimogeni, tute bianche, cariche, vetrine rotte, auto in fiamme, zona rossa, teste rotte, scudi, Bolzaneto. Quello che per loro non era affatto chiaro era cosa ci fossero andate a fare tutte quelle persone a Genova. Quale fosse il contesto storico in cui si collocavano quelle giornate e quale fosse il loro significato politico. Per questo, pur dando conto di ciò che è successo tra il 19 e il 21 luglio del 2001, ho provato a parlare con quei ragazzi delle ragioni che ci hanno portato a Genova, di quel camminare domandando che imparammo durante gli anni Novanta e dell’attualità di una ricerca quotidiana di altri mondi possibili. Soprattutto, ho voluto parlare dell’importanza di costruire forme di conflitto adeguate al presente, della ricerca di legami in cui essere al tempo stesso singolari e molteplici, orgogliosi delle proprie differenze e in lotta per l’uguaglianza.
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Siria, i segreti della guerra chimica
di Seymour M. Hersh
Dopo l’attacco chimico a Damasco, l’agosto scorso, Obama stava per lanciare un raid aereo alleato contro la Siria, come punizione per avere infranto la “linea rossa” sull’uso delle armi chimiche. Poi, di colpo, il raid fu sottoposto all’approvazione del Congresso, infine annullato dopo la rinuncia di Assad all’arsenale chimico, concordata dalla Russia. Perché Obama s’è tirato indietro? I militari Usa erano convinti che la guerra fosse ingiustificata e potenzialmente disastrosa.
Il ripensamento di Obama si fonda sulle analisi condotte nel laboratorio della Difesa britannica su un campione di sarin usato nell’attacco del 21 agosto. Il campione non corrispondeva ai lotti dell’arsenale chimico siriano noto. L’accusa contro la Siria non reggeva, fu informato lo Stato maggiore Usa. Da mesi i militari e l’Intelligence osservavano con preoccupazione l’ingerenza dei Paesi confinanti, in particolare della Turchia, nella guerra siriana. Che il premier Erdogan sostenesse il Fronte al-Nusra, una fazione jihadista dell’opposizione, e altri gruppi islamisti, era noto. «Sapevamo che alcuni nel governo turco credevano di prendere Assad per le palle, inscenando un attacco col sarin in Siria», dice un ex alto funzionario della Intelligence Usa, aggiornato sui dati attuali. «Così avrebbero costretto Obama a intervenire, memore della “linea rossa”».
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Ma non siamo una Repubblica fondata sul lavoro?
di Paolo Ciofi
I lavoratori della Innse hanno lanciato un segnale forte che dobbiamo raccogliere contro la svalorizzazione e la distruzione del lavoro (inteso come abilità manuali, conoscenze tecniche, patrimonio culturale accumulato), che è una caratteristica di fondo della cosiddetta transizione italiana. E che, nel pieno di una crisi che accelera tutte le tendenze negative preesistenti, sta portando il Paese ai confini del decadimento e della dissoluzione dell'unità nazionale.
Se gli operai sono costretti ad arrampicarsi in cima a un carro ponte per dimostrare che esistono e che vogliono lavorare impedendo la distruzione della loro fabbrica, vuol dire che questa società è malata. Di cosa parliamo, se non di un capitalismo parassitario e distruttivo? E se la polizia di Stato viene schierata contro chi difende la propria dignità e libertà secondo un diritto costituzionalmente garantito, c'è poco da dire: è davvero allarme rosso per la nostra democrazia. Sebbene liberali illustri non sembrano curarsi di questo uso improprio della forza pubblica e del sistematico attacco al diritto al lavoro che dura da anni. Come se tra questi ingombranti dati di fatto e il degrado democratico del Paese non vi sia alcun nesso.
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La guerra sporca che si combatte intorno a Zaporizhzhia
di Giorgio Ferrari
Notizie sempre più allarmanti giungono in questi giorni dalla centrale nucleare ukraina di Zaporizhzhia dove, secondo fonti ukraine (le uniche prese in considerazione), i russi starebbero letteralmente minando le attrezzature della centrale.
Non c’è dubbio che la sorte degli impianti nucleari ukraini, data la guerra in corso, è cosa che desta serie preoccupazioni nell’opinione pubblica mondiale, ma soprattutto europea che certamente non può dimenticare i giorni terribili vissuti nel 1986 quando la nube di Chernobil investì buona parte dell’Europa centro orientale, ma anche della Bielorussia e del territorio russo confinante.
Perciò, quando i russi all’inizio della guerra occuparono militarmente il sito di Chernobil (febbraio 2022) l’incubo di quella catastrofe si ripropose in tutta la sua gravità, con l’aggravante che ai primi di marzo paracadutisti russi circondarono la centrale nucleare di Zaporizhzhia, che annovera sei reattori nucleari ed è la più grande concentrazione nucleare di tutta l’Europa.
Perché compiere una mossa così azzardata, sapendo che avrebbe oltremodo alimentato le critiche all’operato della Russia già condannata unanimemente per aver invaso uno stato sovrano?
La ridda di ipotesi che fin dall’inizio furono sviluppate dai mezzi di informazione europei convergeva, con qualche sfumatura, nell’attribuire ai russi l’intenzione di minacciare l’intera Europa attraverso una forma di deterrenza terroristica avente per oggetto la distruzione o il danneggiamento di siti nucleari. A nessuno venne in mente di prendere in considerazione l’ipotesi che l’occupazione di Chernobil e Zaporizhzhia avesse uno scopo non distruttivo, ma protettivo, forse per la consumata abitudine, tutta occidentale, di considerare i russi gente spietata e senza scrupoli.
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Mille e una setta
Pierluigi Fagan
L’islam è un sistema basato sul concetto di unicità, quindi di unità ma da quando è nato ad oggi, non ha fatto altro che dividersi al suo interno. Altresì vorrebbe essere un sistema in cui il religioso è l’ordinatore primo, quello a cui il sociale, l’economico, il militare ed il politico sono subordinati ma da tempo ormai si assiste, in diversi casi, all’inversione della subordinazione. Ne nasce una certa dinamica, un movimento che è difficile da leggere e capire, soprattutto per noi occidentali che usiamo un ben diverso sistema di immagine di mondo.
Arrivano in questi giorni, due notizie che segnalano un certo movimento nella tettonica a placche dell’islam. La prima è stata inspiegabilmente ignorata in occidente ed è il pronunciamento (fatwa), di un certo numero di ulema sunniti, riunitosi a Grozny in Cecenia, a fine Agosto. La seconda è la polemica al calor bianco tra sauditi ed iraniani a proposito della gestione del tradizionale hajj, il pellegrinaggio rituale a Mecca e dintorni, il quinto pilastro della fede islamica, che si terrà il prossimo 10 settembre.
Partiamo da quest’ultima. Com’è noto, l’Arabia Saudita è sunnita e l’Iran è sciita ma l’hajj è precetto tanto dei sunniti che degli sciiti. Teheran ha esplicitamente lanciato l’idea di togliere ai sauditi la gestione dell’hajj.
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Cgil: la svolta c’è. A destra
di Dino Greco
Seguiamo sempre con particolare interesse i fatti del movimento sindacale italiano. Ed in modo speciale ciò che si muove dentro la più grande e prestigiosa delle organizzazioni dei lavoratori, la Cgil, che ha appena concluso i lavori del suo XVI congresso. Quest’attenzione, mista a speranza, dipende dalla convinzione che lì resiste ancora un punto di coagulo del lavoro proletario potenzialmente capace di produrre azione collettiva, conflitto sociale e consapevolezza di sé: come classe e - almeno nelle espressioni più mature - come soggetto politico. Non è cosa trascurabile, nello scenario cupamente degenerativo della politica e nello zoppicante barcamenarsi della sinistra italiana. Eppure, l’accumulo di temi, di domande e problemi irrisolti che reclamavano un serio sforzo di elaborazione non hanno per nulla trovato, nel semestre di dibattito precongressuale e, soprattutto, nel suo esito finale, una risposta convincente.
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Il mio dissenso
Rossana Rossanda
Non è un incidente se il manifesto, che si definisce ancora «quotidiano comunista», ha elegantemente glissato sul ventesimo anniversario del 1989; non per distrazione, ci strillano da vent'anni che la distruzione del muro di Berlino segnava la fine del comunismo, «utopia criminale». Noi su quella «utopia» ambiziosa eravamo nati, ed eravamo stati i primi a denunciare nella sinistra che con essa avevano chiuso da un pezzo i «socialismi reali». Li denunciavamo nell'avversione del partito comunista e nella scarsa attenzione delle cancellerie e della stampa democratiche. Il movimento del '68 ne aveva avuto un'intuizione, ma non il tempo né la preparazione per andare oltre.
Avevamo aggiunto che almeno dalla crisi del 1974 l'egemonia dell'occidente non mirava più alla messa a morte del comunismo, ma a quella del compromesso socialdemocratico nella sua veste keynesiana. Questo ammetteva che il conflitto tra capitale e lavoro era intrinseco al sistema e per evitare involuzioni fasciste occorreva garantire il lavoro dipendente e una parte consistente di beni pubblici. Se no anche la società europea sarebbe andata, nell'ipotesi migliore, a quella che non Lenin ma Hannah Arendt aveva definito un'americanizzazione fondata sulla libertà politica e la schiavitù sociale.
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Guida ragionevole alla mente quantistica
di Peppe Liberti*
Le strane proprietà del mondo quantistico possono essere utili per descrivere e simulare i processi cerebrali?
Una delle cose che più fanno saltare la mosca al naso ai fisici è aver a che fare con chi sostiene che la meccanica quantistica, la migliore teoria che abbiamo a disposizione per descrivere le proprietà delle particelle, degli atomi e delle molecole, possa spiegare anche la nostra mente. Quest’idea ha la sua origine nelle riflessioni e nelle indimostrate ipotesi di alcuni tra i più grandi scienziati del secolo passato (Wigner, Von Neumann, Bohm e così via) ma è stata amplificata ogni giorno di più dal numero immane di sciocchezze veicolate da strampalati guru dei nostri tempi, da gente come Deepak Chopra per esempio, il celeberrimo neuroendocrinologo indiano, esperto di medicina ayurvedica e terapie alternative, e in genere da tutti quelli che provano a giustificare le loro credenze irrazionali facendo largo e ingiustificato uso della parola “quantistico”.
La meccanica quantistica, del resto, è una teoria strana e per molti aspetti paradossale, e fornisce una descrizione delle cose assai diversa dalla realtà a cui siamo abituati. Per esempio nel mondo degli “oggetti quantistici” non si può misurare nulla senza influenzare l’esito della misura: chi osserva – lo sperimentatore – dà sempre noia all’osservato e diventa così parte integrante dell’esperimento. Per alcuni, Eugene Wigner in particolare, ciò rappresenterebbe la prova che è la stessa mente di chi osserva che influenza, in qualche indecifrabile maniera, l’esito dell’osservazione.
A invertire il collegamento tra mente e meccanica quantistica ci ha pensato più di recente Roger Penrose, matematico e fisico britannico, che è arrivato ad affermare che la mente è quantistica e che è proprio questa la ragione per cui gli esseri umani possono fare cose che nessun computer classico sarà mai in grado di fare. Gli argomenti che ha portato a sostegno della sua tesi non hanno persuaso la stragrande maggioranza dei ricercatori.
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Mario Monti nuovo premier. Verso l'economia del "suicidio deliberato"?
di Paolo Ermani
La nomina a nuovo premier del neosenatore a vita ed ex commissario europeo Mario Monti chiude il ventennio berlusconiano ma rappresenta un ulteriore passo verso il rafforzamento di una politica economica votata alla crescita senza freni "che significa solo dare ancora più soldi e risorse a chi vuole continuare a devastare il Paese e il pianeta per comprarsi il cinquantesimo panfilo. E sono praticamente tutti d'accordo".
Dal cilindro è uscito Mario Monti.
Se mentre fino ad ora c'era comunque un Berlusconi a cui non dava retta quasi più nessuno, inviso addirittura ai mercati e ai mercanti, se non altro perché troppo spudoratamente rivolto ai suoi interessi e soprattutto piaceri, ecco che si profila all'orizzonte il grande timoniere che mette più o meno d'accordo tutti.
Nominato dai mercati e mercanti europei, Monti è visto come l'Arcangelo Gabriele, colui che farà piazza pulita e rimetterà le cose a posto cioè farà qualsiasi cosa per il rilancio dell'economia intesa come crescita, senza farsi distrarre da donnine allegre e addormentarsi durante gli impegni istituzionali. Si profila quindi lo scenario peggiore, cioè dove tutti o quasi sono d'accordo.
Recentemente infatti uno degli aspetti più negativi di questo periodo infausto, non sono stati solo gli infiniti scandali emersi dall'ombra ma anche uno scandalo al sole dove imprenditori e sindacati nel settembre scorso hanno sancito un accordo per agevolare la crescita. Un brivido di terrore è corso lungo la schiena di chiunque ha a cuore le sorti delle persone e dell'ambiente. Imprenditori e sindacati assieme per dire a gran voce che bisogna assolutamente ripartire a tutta velocità. Ma ripartire per fare cosa?
Prendiamo in esame due settori tradizionalmente trainanti dell'economia ai quali l'intero paese si è genuflesso per anni e anni e che ne hanno tragicamente cambiato il volto: l'industria automobilistica e l'edilizia.
Secondo questa Santa Alleanza imprenditori/sindacati per la crescita ripartire significherebbe ad esempio produrre ancora più automobili e farne acquistare sempre di più.
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Materialismo dialettico e meccanica quantistica relazionale
In difesa di Lenin
di Andrea Evangelista
L'empiriomonismo
Nell'ultimo libro1 del fisico Carlo Rovelli c'è un capitolo, il V, dal titolo: La descrizione non ambigua di un fenomeno include gli oggetti a cui il fenomeno si manifesta - Dove ci si chiede cosa implichi tutto ciò, per le nostre idee sulla realtà, e si trova che la novità della teoria dei quanti non è poi così nuova. I primi due paragrafi del capitolo sono dedicati alla disputa tra Alexander Bogdanov e Vladimir Lenin. Vi si racconta come, dopo che Bogdanov ebbe pubblicato la sua opera in tre volumi2 , Lenin pubblicò la sua nota opera filosofica Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria3, con l'obiettivo di criticare (ferocemente per Rovelli) l'empiriocriticismo, usando per la filosofia di Bogdanov il termine usato da Ernst Mach, il fisico e filosofo austriaco del XIX secolo (ispiratore di entrambe le grandi rivoluzioni della fisica del XX secolo, padrino di Wolfgang Pauli e filosofo preferito di Schrödinger riporta Rovelli).
Rovelli illustra il pensiero di Mach:
Mach insiste che la scienza si deve liberare da ogni assunzione «metafisica». Basare la conoscenza solo su ciò che è «osservabile». [...] La conoscenza non è quindi vista da Mach come dedurre o indovinare un'ipotetica realtà al di là delle sensazioni, ma come la ricerca di un'organizzazione efficiente del nostro modo di organizzare le sensazioni. [...] Per Mach non vi è distinzione tra mondo fisico e mondo mentale: la «sensazione» è ugualmente fisica e mentale.
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Senza la firma del Mes l’Italia non avrà più aiuti dalla Bce
L'ultima mossa tedesca
Federico Ferraù intervista Alessandro Mangia
Sarà la Banca centrale europea a determinare l’ingresso dell’Italia nel Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Ecco come
L’Italia, grazie al governo Conte, entrerà – o meglio, dovrà entrare – nel Mes per non vedersi rifiutare gli acquisti di Btp dalla Banca centrale europea. È un rovesciamento di prospettiva: finora gli avversari del vincolo esterno si sono opposti al Mes contando sugli acquisti della Bce. C’è la Bce, dunque il Mes non ci serve. Ma se la Bce dovesse interromperli? Lo scenario è l’ingresso dell’Italia nel Mes come contropartita degli acquisti: il nostro paese dovrebbe entrare nel Meccanismo europeo di stabilità per consentire la prosecuzione degli acquisti illimitati. Con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, cominciamo dalla fretta che Christine Lagarde ha messo ieri alla Commissione. La presidente della Bce ha chiesto di approvare rapidamente il Bilancio 2021 e il Recovery Fund. Come dire, sbrigatevi, perché il gioco non può continuare.
* * * *
Da Lagarde è arrivata una sorta di “fate presto” con il Recovery Fund. È così decisivo?
Beh, decisivo per chi? Bisogna distinguere. Ci sono paesi messi meglio e paesi messi peggio. Noi, naturalmente, siamo tra quelli messi peggio. Se pensa che solo una settimana fa Visco ha preannunciato un calo del 13% sul Pil, si ha la misura della situazione.
Obiezione: a che cosa ci servono i prestiti di Recovery Fund e Mes se la Bce sta facendo gli “straordinari”?
A rigore non dovrebbe servire a nulla. La Bce sta facendo quello che avrebbe fatto la Banca d’Italia prima del divorzio Ciampi-Andreatta del 1981. Che è poi quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo. Solo che lo deve fare di nascosto, coprendosi dietro cortine fumogene.
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La pedagogia del coding
di Salvatore Bravo
Gli oratores sono al capezzale del capitalismo assoluto: la pedagogia ed i pedagogisti sono parte essenziale della sovrastruttura che contribuisce ad eternizzare il capitale. Il pensiero computazionale è l’ultima strategia per introdurre l’intelligenza di Stato attraverso una serie di pratiche metodologiche. Si vuole orientare l’intelligenza, che notoriamente è al plurale nelle sue forme, verso un modello organico al capitalismo. Il pensiero computazionale è molto più che una procedura di analisi, esso struttura, standardizza la personalità, la quale deve procedere e muoversi nel quotidiano secondo le procedure algoritmiche. L’introduzione-imposizione è organizzata con un artificio ideologico, ovvero si afferma di voler affinare la creatività, che il pensiero computazionale è imprescindibile per rivoluzionare in senso creativo la didattica e le personalità. Naturalmente è il cavallo di Troia, con cui riaffermare le pratiche del mercato all’interno della scuola e ridimensionare, fino a rendere complementare la formazione dell’essere umano, in sua vece vi è l’addestramento al mercato. Se fosse stato autentico l’intento di sollecitare la creatività, la scuola per tradizione ha innumerevoli potenzialità già in atto in tal senso: la lettura del classici, la traduzione, il dialogo quale buona pratica, le discipline artistiche.
Pensare come una macchina
Le macchine informatiche per risolvere problemi scompongono, analizzano le varie fasi, per individuare la soluzione finale. Si tratta di problemi empirici che presuppongono un orientamento lineare. L’azione della scomposizione, astrazione, generalizzazione sostanzializzano la logica del problem solving, per cui il soggetto macchina è interno alla realtà empirica, il suo l’orizzonte deve limitarsi ad una gittata limitata, deve agire all’interno di un cono poietico. L’essere e la macchina si avvicinano, la differenza qualitativa si assottiglia in favore della differenza quantitativa sempre più limitata.
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Il consumatore perfetto: l’operazione è riuscita, il paziente è morto
di Michele Berti
Francia 2018. Il fenomeno dei gilet gialli, ormai, sta facendo discutere mezzo mondo e lo farà dibattere ancora per molto tempo. Si possono assumere numerosi punti di vista su queste manifestazioni popolari, intersecando inevitabilmente i più disparati livelli di elaborazione. Una prima considerazione da sottolineare è che il movimento dei gilet gialli conferma le potenzialità del momento populista, ovvero il momento in cui si forma realmente una catena equivalenziale, il momento in cui una rivendicazione vera e presente nella società, legata a una singola domanda inevasa, riesce a unire molte altre istanze in un fragoroso noi/voi che non è ancora politico, ma ha la potenza giusta per diventare un cantiere di trasformazione con sedimentazioni importanti e significative nella società.
Ogni grande risultato “populista” a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha le proprie radici nella mobilitazione. Podemos, il Movimiento 15-M; la stessa France Insoumise deve alle Nuits Debout del 2016 il risultato elettorale sorprendente alle presidenziali. In linea con quanto affermato da Mélenchon, nella mobilitazione l’esperienza politica si fa pratica e genera nuove figure e nuovi modi per rivendicare ciò che una ricomposta coscienza collettiva desidera ottenere. Tutto questo funziona! Lo vediamo in Francia nuovamente in questi giorni.
La traduzione politica di questi slanci e la gestione poi del consenso e del potere, quando arriva, molte volte però porta a cocenti delusioni in chi aveva sperato in un rapido cambiamento radicale.
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Il lavoro? Sempre più irregolare
di Marta Fana
Affrontare il tema del lavoro irregolare presenta ampi margini di complessità legati sia alla natura del fenomeno, che per definizione si sottrae alle informazioni ufficiali, sia alle variegate modalità con cui si presenta.
Stando alle definizioni ufficiali, utilizzate dall’Istat, le unità di lavoro irregolare sono quelle «relative a prestazioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia lavoristica, fiscale e contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative»[1]. Dal quadro d’insieme, riportato dall’Istituto Nazionale di Statistica e aggiornato fino al 2014, emerge che il contributo al pil del lavoro irregolare ammonta a 77,2 miliardi di euro, corrispondente a circa il 5,3% del valore aggiunto totale. A questi dati corrisponde una stima di 3 milioni 667mila unità di lavoro irregolare, di cui 2 milioni 595mila relative a posizioni di lavoro subordinato e 1 milione e 72mila a lavoro indipendente (o autonomo).
L’irregolarità aumenta rispetto ai primi anni della crisi (2011) di oltre 100 mila unità, effetto probabilmente dovuto alla tendenza delle imprese a ridurre il costo del lavoro al fine di non essere espulse dal mercato e allo stesso tempo alla disponibilità dei lavoratori ad accettare un rapporto di lavoro anche non regolare per evitare una contrazione drastica del reddito dovuta alla disoccupazione.
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Oltre il “momento Kindleberger”, contro l’austerity globale
Gerald Epstein*
Articolo in sostegno della Lettera degli economisti italiani contro l'austerity distruttiva nella zona euro
L’espressione “momento Minsky” è entrata nel linguaggio comune quando, all’apice della “fase 1” della crisi finanziaria, nella metà del 2008, alcuni giornalisti e persino gli economisti mainstream scoprirono che in realtà esisteva una convincente teoria che ci avrebbe aiutato a comprendere il disastro finanziario che minacciava di portare al crollo l’economia mondiale. Da allora entrammo nel “momento Keynes”: i politici e gli economisti, negli Stati Uniti, in Europa, in Asia e anche nei “templi ” del neoliberismo - come il Fondo Monetario Internazionale - riscoprirono l’assoluta necessità di politiche fiscali espansive per contenere le forze deflazionistiche che stavano conducendo l’economia mondiale in una “stretta mortale”. Per un breve periodo, i governi adottarono politiche fiscali keynesiane senza precedenti, per cercare di interrompere la spirale economica deflazionistica e, per certi versi, ebbero un temporaneamente successo. Ma ora le forze ortodosse, in Europa e negli Stati Uniti, stanno cercando di seppellire Keynes ancora una volta e resuscitare politiche liberiste reazionarie – rispolverando le teorie e il lessico del passato – invocando brutali misure di austerità per ristabilire la “fiducia” nei mercati finanziari. E ciò, essi dicono, condurrà alla ripresa dell’economia globale attraverso tassi d’interesse più bassi, maggiori investimenti e più elevata occupazione. Questi politici e gli economisti che li sostengono fanno queste affermazioni impassibili, a dispetto del fatto che furono questi mercati finanziari e queste politiche economiche a condurci alla più grande calamità economica globale dopo la Grande Depressione.
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Lettera aperta al quotidiano comunista “Il manifesto”
di Piotr
Amici del Manifesto, vi leggo e conosco fin dalla nascita del vostro esperimento e ancora molto recentemente ho collaborato con voi su questioni internazionali. Vorrei quindi esprimere con tutta franchezza il mio dissenso rispetto alla linea che state tenendo su temi importanti.
Il manifesto del 24 giugno 2009.
1. Apertura sull’Iran. Titolo: “Scelta di sangue”; fondo: “Sfida al potere” ripreso poi a pagina 8.
Cosa succede in Iran?
Qual’è l’ampiezza della supposta rivolta? Qual’è la sua composizione sociale?
E’ vero o non è vero, come si è insinuato, che dietro a Mousavi ci sia Brzezinski, cioè uno dei migliori geostrateghi statunitensi - quello che ha incastrato l’URSS in Afghanistan trasformando quel Paese e soprattutto i suoi abitanti in esca per topi?
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Contro lo statalismo liberista
di Emiliano Brancaccio
General motors e Chrysler reclamano 40 miliardi di dollari dall’Amministrazione Obama per non fallire, e proprio al fine di ottenere gli agognati fondi pubblici annunciano quasi 50.000 tagli ai posti di lavoro, la più grande ondata di licenziamenti nella storia americana. E’ proprio il caso di dire che viviamo in tempi gattopardeschi, nei quali il liberismo viene messo sotto accusa solo dalla cintola in su.
Da un lato viene ormai da più parti invocata la protezione statale di singoli settori produttivi o addirittura il passaggio da mani private a mani pubbliche di pezzi importanti del capitale finanziario e industriale. Ma dall’altro lato non abbiamo assistito al minimo ripensamento riguardo ai processi di erosione dello stato sociale o alla completa soggezione alle leggi del mercato nelle quali versa la grande maggioranza dei lavoratori subordinati. Senza nemmeno accorgercene, siamo insomma piombati nell’epoca dello statalismo liberista, un ossimoro niente affatto rassicurante con il quale saremo costretti a misurarci per un tempo non breve.
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“Venezia”
di Elisabetta Teghil
… e adesso s’è rivà el momento de dirghe basta e de cambià… Giudeca, canzone di Alberto D’Amico,1973
Ho passato a Venezia una parte di tutte le estati della mia vita fino a vent’anni. Poi i tamburi di rivolta sono stati coinvolgenti e totalizzanti e non c’è più stato spazio neanche per Venezia. Mi è rimasto per sempre stampato nelle mie sensazioni l’odore dell’acqua salsa dei canali, il rumore delle onde leggere che sbattono sulle rive, il risuonare dei passi, nella calli lontane dal turismo, della vita quotidiana di una città che va sempre a piedi. Ora, quando, per qualche motivo, ci torno mi ritrovo a camminare inconsapevolmente con piede leggero quasi a non volere pesarci su. Da anni ormai, Venezia è sommersa dall’acqua alta in maniera più violenta e continuativa che mai, la sua laguna è percorsa da navi da crociera più alte del campanile di San Marco per non parlare delle petroliere che vanno e vengono da Marghera, è invasa da masse debordanti di turisti. Ma al di là delle belle parole, delle frasi fatte e delle vesti stracciate, di Venezia non gliene importa niente a nessuno. Non importa niente ai politici locali e nazionali perché altrimenti in tutti questi anni avrebbero fatto ben altre leggi e preso ben altri provvedimenti, non importa ai turisti che si riversano in ondate, questa volta umane, incontenibili e che, se fossero coscienti di quello che fanno, a Venezia non ci dovrebbero venire, non gliene importa niente neanche alla maggior parte dei veneziani perché <fin che ghe semo noi, no che non va zò>. D’altra parte il capitalismo è un modello economico basato sul profitto e nella sua attuale fase neoliberista, caratterizzata da un delirio di onnipotenza, tutto è merce, il turismo è merce, le navi da crociera sono merce, il Mo.s.e. è business, Venezia è merce, è una gallina dalle uova d’oro e le faranno fare le uova d’oro finché non stramazzerà per terra.
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Noterelle per un populismo democratico
Sirio Zolea
Qualche settimana fa, cogliendo l’occasione del momento di attenzione rivolta all’esperienza della France Insoumise, avevo provato in termini generalissimi a delineare alcuni aspetti che potrebbero essere peculiari di un’esperienza populista democratica e progressista in Italia. Vorrei adesso spendere qualche altra pagina per ipotizzare i fili che potrebbero andare a comporre la trama del tessuto di un discorso populista progressista rivolto al nostro Paese: altrimenti detto, provare a immaginare in cosa potrebbe consistere una proposta politica populista e progressista con caratteristiche italiane. Se il grande merito del gruppo raccolto attorno a questo sito risiede nell’essere stati i primi a teorizzare organicamente la possibilità e finanche l’opportunità di intraprendere una simile strada in Italia, la possibilità virtuosa di una sua trasformazione in un fenomeno popolare risiede nella doppia condizione da un lato della traduzione dell’analisi e del metodo populista in una proposta politica e in un disegno di Paese idonei a mobilitare le migliori energie della Nazione in un progetto articolato volto alla rottura politica e sociale, dall’altro lato (ma non approfondirò tali temi in questa sede) nel suo strutturarsi in una forma organizzativa capillare e adeguata e nel suo rapportarsi selettivamente con altre esperienze, già esistenti o in nuce, che si sviluppino in direzioni compatibili, al fine di congiungere le forze.
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Pubblica istruzione, tra capitale umano e capitale sociale
Andrea Zhok
Derek Bok (Harvard University)
1. Abbiate fiducia!
È divenuto costume ricorrente dei Presidenti del Consiglio italiani invocare una maggiore ‘fiducia’ come chiave di crescita e sviluppo. Dagli inviti berlusconiani all’ottimismo, da tradursi in spesa liberale al ristorante, al refrain renziano della fiducia nel paese contro i ‘gufi’ che remano contro, è tutto un prodigarsi a rafforzare l’autostima italica nel nome dei poteri taumaturgici della ‘fiducia’. Questi appelli alla ‘fiducia’ sono tuttavia, probabilmente, dovuti ad un’impropria comprensione del nesso tra ‘fiducia’ e progresso economico.
In una certa accezione la fiducia è realmente uno dei fattori cruciali nella crescita economica e nello sviluppo sociale di un paese, tuttavia questa fiducia non è un tratto psicologico soggettivo, come se bastasse una pillola di antidepressivo, ma un tratto cognitivo e una funzione sociale. La fiducia di impatto economico dipende dalla capacità cognitiva di affrontare la realtà circostante (capitale umano) e dal buon funzionamento delle relazioni sociali (capitale sociale).
In sociologia prende il nome di capitale sociale, la capacità di instaurare relazioni sociali costruttive e di lungo periodo. Ridotti tassi di corruzione ed elevato rispetto delle regole sono corollari tipici di un alto livello di capitale sociale. La distruzione del capitale sociale è da sola in grado di annichilire un’economia ed una società. Un esempio di Joseph Stiglitz può aiutare a comprendere la natura del capitale sociale: all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, il potere coercitivo centrale in Uzbekistan venne meno, mentre il paese si trovava in una condizione di elevata disgregazione sociale.
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