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mondocane

Il Sistema contro le anomalie. Le anomalie contro il sistema

di Fulvio Grimaldi

Terza parte

Bilderberg - Prodi: Crisi e M5S dalla padella alla brace. Argentina: El pueblo unido

Hong Kong vetrina spaccataRidicolo andare a votare a ottobre, ma come si può fare un accordo insieme ai Democratici, cioè il partito più a destra d’Italia?” (Alessandro Di Battista)

I laboratori della Cupola: Italia

Anticipando lo sconquasso civile, culturale, politico e sociale che il salviniano Russiagate – che resta lo strumento strategico della Cupola per volgere a suo favore turbolenze e anomalie - sta gestendo, a controllo della crisi, c’è solo da ribadire con Trapattoni “non dire gatto se non l’hai nel sacco”. Perché, finchè le Ong globaliste, collise-colluse con Salvini, operano in maniera talmente smaccata, da deportatori, pirati, provocatori, sequestratori di deportati, contro esclusivamente il nostro paese, è ancora il panzone da Pieni Poteri nel Papeete a tenere in mano la carta moschicida su cui far appiccicare consensi. Se la Cupola gli permette di andare a elezioni. Ma anche no. Un Salvini mandato all’opposizione dall’ircocervo PD-5Stelle (coalizione che osano chiamare giallo-rossa, mentre non arriva neanche al giallo-rosé), sai come si diverte a vedere sminuzzare la maggioranza degli opposti e contrari in vista della Finanziaria, dell’Iva e dell’arrivo della recessione che già lumeggia dagli Stati Uniti!.

Per il resto, lo spettacolo in Chigi, Senato, Camera, è da Antellane di Plauto. Ne ricordate i personaggi? Maccus (mangione sciocco), Pappus (vecchio stupido), Bucco (il fanfarone e parlatore petulante) e Dossennus (gobbo astuto). Ne riconoscete gli interpreti attuali?

Per sommi capi, ecco gli schieramenti l’un contro l’altro armato: di qua rosari, sangue di San Gennaro, santini di Padre Pio, di là il papa. Nel segno delle più inoppugnabili delle superstizioni. Stato laico! E poi i borborigmi nelle Camere: una congerie parlamentare che non ci si fa capaci di come possa essere arrivata su quegli scranni. Gente che urla quattro belinate e poi viene abbracciata come fosse Cicerone; una corporazione di cicisbei, toy-boy, pupazzi che scattano ai fili di capibanda e, pestando da settimane acqua marcia nel mortaio dei talkshow e tg, si fa passare per giornalisti.

 

Colpo finale all’anomalia

Dal Colle alla Suburra e dal Colle all’Olimpo, dai cripto destri imperiali della “sinistra” (centro-ultra-“manifesto”) ai destri confessi global-papisti, la spinta è una sola: all’inciucio! all’inciucio! Ridotta in briciole dalla Lega l’anomalia 5 Stelle, con le sue fisime sociali e ambientali (insopportabili in particolare ai “sinistri”, con tale Roberto Ciccarelli,“il manifesto”, coerentemente da sempre fustigatore degli obiettori di coscienza sull’11 settembre), si tratta ora di ruminarne i resti nel più storicamente collaudato tritacarne PD.

E quali sono i nomi più significativi che galleggiano su questa morta gora? Nientemeno che quello del Grande Vecchio, l’uomo del “governo Ursula” con qualche detrito berlusconiano (in nome dell’accoppiata Von der Leyen-Lagarde, cui gli sciagurati di Di Maio hanno insufflato la vita), il traghettatore del nostro paese nella Vergine di Norimberga rinominata UE-Euro, colui cui era stato affidato il patrimonio produttivo italiano (IRI, cosa buona fatta dal fascismo: E che ora gli imbecilli finti-antifascisti mi sbranino) e che se l’è giocato alla roulette delle privatizzazioni. E poi addirittura il presidentello della Camera, a rinnovare i fasti acculturati e di spessore intellettuale del vicepremier grillino, “di sinistra” come lo è il giornale che predilige. Uno a cui i dati granitici su migrazioni e Giulio Regeni, che gli ho elencato in una lettera aperta, hanno fatto un baffo, polverizzando una mia fiducia nella sua buonafede che a tutti i 5 Stelle per definizione riservavo. Galleggia anche, più ai margini, l’ormai ex-presidente del Consiglio. Lo tengono in superficie i suoi Si Tav, Si Guaidò, Si Nato, Si Ursula, Si Padre Pio.

 

Programma PD-M5S? Quale programma?

Programma? “Io credo che dobbiamo entrare in una stagione nella quale dobbiamo avere il coraggio di riaprire stagioni di innovazioni delle politiche senza nessuna paura di aprire una discussione su dove questo paese debba andare” (Nicola Zingaretti, fine luglio, mentre regalava coste ai balneari e centri storici ai palazzinari)). Ma, secondo voi, uno che si esprime così ha un programma? C’è da rivalutare il livello intellettuale di Antonio Razzi. Sono tutti così da quelle parti. La linea politica gli arriva da gente come Jeffrey Sachs, economista post-Friedman della Columbia University, dal partito di Repubblica, o, nel suo piccolo, da Stefano Feltri, vicedirettore del FQ e reduce dall’ultima cupolata di Bilderberg: governo PD-M5S e fate quel che volete, purchè si prosegua a prosciugare il sotto e impinguare il sopra. Dunque migrazioni, Grandi Opere, innovazione, Green New Economy rigorosamente turbocapitalista.

 

Di Russia si tratta

Il tutto nel quadro geopolitico che ha per punto d’arrivo il mondialismo, passando per la conquista dell’Eurasia che esige la distruzione di Russia e Cina. Quindi, Russiagate a più non posso. Chi, per quanto si professi amerikkkano, si avvicina al Metropol di Mosca, è perduto. Chi poi azzarda, illudendosi di piacere contemporaneamente a Trump e Putin, di dire no alla stella polare della Cupola, von der Leyen, quella che vede la Russia come i filistei vedevano Sansone e rimprovera alla sua Merkel il Nord Stream, vede il futuro come Armstrong diceva di vedere la Terra. Vero Salvini?

 

Hong Kong, mission impossibile di far sparire gli angloamerikani

Degli arcobalenghi (copyright Cesare Allara) di Mosca, Hong Kong, Lampedusa, articolati in battaglioni di milizie di terra, mare e aria, a seconda dei fronti scelti dal mondialismo per togliere di mezzo le anomalie, s’è detto nelle due precedenti parti del “trittico”. Dopo che mezzo mondo s’è dovuto accorgere che gli arcobalenghi di Hong Kong, con le loro esplicite bandiere coloniali e l’inno americano, erano manovrati dal consolato Usa, il “manifesto”, con una paginata del sinofobo Pieranni, e le piattaforme high tech, sono corsi ai ripari: hanno fatto strage di account disobbedienti, ovviamente “vicini a Pechino”, che avevano “osato diffamare i manifestanti pro-democrazia”, hanno ripiegato negli armadietti Cia le bandiere UK e USA fatte svettare dai manifestanti, a ragazzotti sfascia parlamento e aeroporto di HK hanno fatto giurare “Noi gestiti dagli americani? Ma quando mai! La nostra libera stampa plaude. Lo chiamate paradosso? Orwell ci prospettava un Ministero della Verità che, al confronto, è Pulitzer.

Basti aggiungere che la logora ripetizione della contestazione pre- e post-elettorale in Russia, è cozzata contro il dato che non esiste nazione in Occidente il cui governo abbia il collaudato, reiterato, documentato consenso per colui che ha riscattato il paese dall’ignominia e devastazione (lo dice uno che sulle posizioni di Putin in materia di Medioriente ha qualche riserva). E anche di rilevare una volta di più lo squallore deontologico, morale, e di grammatica politica, di un coacervo mediatico, tutto dello stesso segno reazionario, servilmente atlantista, quando assume e rilancia da Hong Kong la propaganda dei virgulti del consolato Usa che, alla manifestazione filocinese e anti-colonialista di mezzo milione, ha provato a opporre l’indomani il milione e mezzo della risposta arcobalenga. Dal bollettino parrocchiale del TG3 fino allo Spectre televisivo di Murdoch valevano le cifre degli organizzatori, non i 170mila delle autorità, per definizione cinesemente false e bugiarde. Ovviamente nelle cronache che difende la nostra FNSI e cui sovrintende l’OdG, con i No Tav o i Gilet Gialli vale il contrario. Noblesse oblige.

 

Argentina, un tango per l’America Latina?

Nell’articolo precedente avevamo chiuso così:

La derrota, el fracaso della controffensiva imperialista in Argentina potrebbe indicare un cambio del vento. Fra poco si voterà in Bolivia e Uruguay. Il Venezuela resiste. Il Nicaragua, a dispetto di Cia e “manifesto”, ha vinto, tra alti e bassi Cuba sta lì, il Messico avanza, nel Brasile e nel Honduras degli epigoni dell’Operazione Condor e dei narcogoverni golpisti la terra si scuote sotto il passo di popoli de piè.

L’Argentina, che nelle elezioni del 12 agosto ha frantumato l’illusione turbo-neoliberista di Mauricio Macri, epigono dei generali e nuovo Carlo Menem, inventato da Usa, FMI, BM e sponsorizzato dall’UE, ha deciso che 4 anni di interruzione neoliberista e compradora del processo di riscatto, iniziato con la rivolta del 2001, possono bastare. Dal 75% della produzione destinata ai bisogni interni, si era passati a una cifra quasi uguale riservata alle esportazioni e al lucro delle imprese. Macri ha fatto agli argentini, indebitandoli per altri miliardi FMI, quello che Eltsin aveva fatto ai russi, la Repubblica Federale alla DDR, la Troika alla Grecia, Clinton a Haiti, le Ong al Sud del mondo. Un rinnovato dilagare della povertà, la ricolonizzazione a basso costo da parte delle multinazionali Usa e UE, l’aumento vertiginoso dell’economia informale e della disoccupazione, micidiali aggiustamenti fiscali a favore dei ricchi, investimenti predatori di vampiri domestici ed esteri con conseguente totale svendita di sovranità. E, ciliegina, tentativi alla Bolsonaro e Temer, di incastrare Cristina con golpe giudiziari.

 

Col popolo de piè hai voglia a mettere in campo Ong e media

Ma nè le Ong della colonizzazione, nè la guerra mediatica che, qui come in tutto l’Occidente, si conduce contro il popolo, hanno potuto niente contro una mobilitazione di popolo dalle radici profonde e dalla presenza quotidiana in piazza, in fabbrica, nei campi, nell’istruzione. Né è venuto lo schianto del macrismo, con quasi il 48% al peronismo del “Frente de Todos”, dell’accoppiata per presidenza e vicepresidenza, Alberto Fernandez e Cristina Fernandez Kirchner, contro il 33% di “Juntos por el Cambio” di Macri. Oltre 15 punti. E la vittoria, per la prima volta nella provincia di Buenos Aires di un peronista nettamente antiliberista, Alex Kicillof, sulla macrista storica, Maria Eugenia Vidal. A Macri, emulo dello svenditore Carlos Menem nel dissanguamento del paese a beneficio di un crocchio di licantropi addestrati nei soliti campi-scuola bancari del Nord, a malapena sono rimaste le roccaforti reazionarie della capitale e di Cordoba. Gli ci sono voluti meno di 4 anni per demolire quanto due mandati Kirchner erano riusciti a ricostruire e per riprecipitare il paese nella catastrofe menemiana. Un capolavoro FMI-BM-CIA.

 

Carota e bastone

Erano le primarie dei candidati alle elezioni generali del 27 ottobre. In vista delle quali ora si tenta un trafelato ricupero con i bonus che Macri, monetizzando la disfatta, distribuisce sotto forma di aumenti salariali, sussidi, tagli di tasse (ricavati da nuovi debiti con il prontissimo FMI: 50 miliardi da spremere poi dalle vene dei cittadini) e con la rappresaglie intimidatrici di un inferocito sistema finanziario internazionale (fuga di capitali, terrorismo mediatico, svalutazione galoppante del peso a vantaggio del dollaro, ovviamente a spese della ricchezza nazionale e dei salari e risparmi dei cittadini che si ritrovano con un 60% di beni in meno).

L’accoppiata peronista di sinistra (Cristina)-peronista “moderato” (Alberto) è stata imposta dalla necessità di costituire un fronte il più ampio possibile per sconfiggere la potenza globalista che ha espresso Macri. Non per nulla gli integerrimi della sinistra non hanno superato il 3%. E’ dovuta anche agli intrighi giudiziari, tipo Sergio Moro (giudice che ha incastrato Lula ed è stato premiato da Bolsonaro con il ministero della Giustizia), con cui Macri ha provato a neutralizzare quelli che molti chiamano la “nuova Evita”: Come presidente non sarebbe immune da procedimenti giudiziari, da vice sì. C’è da sperare che nella rimessa de piè dell’Argentina, sostenuta dalla mobilitazione popolare (qualcosa che vede paralleli in Brasile, Venezuela e Honduras), possa riaffermarsi quanto Cristina ha saputo fare nei suoi mandati precedenti.

 

Patria Grande, cambia il vento?

Intanto dovrebbe ricostituirsi quella solidarietà da Patria Grande dell’America Latina che Hugo Chavez aveva innescato e che Cristina aveva sostenuto. L’effetto Argentina non si potrà non far sentire nei confinanti Bolivia di Evo Morales, presidente sempre in cima ai sondaggi, e Uruguay, dove la spinta popolare dovrebbe sostituire le mistificazioni Pepe Mujica (finto sinistro, neoliberista e alleato militare degli Usa) e Tabarè Vasquez, finalmente con una svolta autenticamente antimperialista. Ci sono paesi latinoamericani nuovamente percorsi da rivolte popolari di grande forza e lunga durata, che nulla hanno da invidiare, tantomeno le ragioni spurie, a quelle di Hong Kong. Ve ne hanno parlato il vostro “manifesto”, il vostro Corriere, il vostro FQ?

 

Il narco-hub di Hillary

In Honduras, l’hub bananiero e narcos imposto col golpe di Obama e Hillary nel 2009 contro Manuel Zelaya (il mio documentario “IL RITORNO DEL CONDOR” lo racconta, insieme a una fantastica resistenza popolare che, in dieci anni, non si è mai intererotta) è messo in crisi fortissima dalla mobilitazione sempre più di massa, a cui il movimento studentesco dell’Università Autonoma (UNAH) ha dato forza fisica, organizzativa e direzione politica. Eletto con brogli scandalosamente scoperti , il presidente, fantoccio Usa, Juan Orlando Hernandez, cerca di tenere un paese che gli sfugge attraverso una repressione militare e assassini in serie di attivisti, sindacalisti, difensori dei veri diritti umani. Ricordo la mia amica Berta Caceres, leader della resistenza indigena e antimperialista, assassinata da sicari delle multinazionali il 2 marzo del 2016. Ne potete ritrovare la bella figura nel mio documentario.

Non sono da meno le manifestazioni contro il deforestatore e genocida fascistoide Bolsonaro in Brasile, mentre in Venezuela siamo a otto mesi dal fallito golpe di Trump, rivelatore essenzialmente solo dell’infimo servilismo della cancellerie europee al pur evidente gangsterismo dei fuoriditesta di Washington. I rapporti di forza non sono cambiati e il presidente Maduro si avvia all’elezione della nuova assemblea nazionale potendo contare su un paese compatto, al di là delle incredibili sofferenze inflitte con le sanzioni, a un’opposizione smarrita, divisa, in disarmo. Ma anche sulla forse decisiva alleanza militare con la Russia, sancita nei giorni scorsi a Mosca dai rispettivi ministri della Difesa, Padrino e Shoigu, e che sancisce mutua assistenza e l’ospitalità nei rispettivi porti di navi da guerra. Un accordo che dovrebbe far riflettere Trump, quando medita il blocco navale del Venezuela. Le cui motivazioni si collegano però all’altro blocco, che va costruendo nel Golfo Arabo-Persico.

Devastando il sottosuolo e le acque statunitensi con il metodo del fracking per cavare petrolio, gli Usa sono riusciti a diventare autosufficienti sul piano energetico e, addirittura, a permettersi dell’export. Il fracking è la procedura d’estrazione più costosa, per cui occorre che restino artificialmente alti i prezzi di un petrolio che, in altri paesi, emerge quasi spontaneamente dal terreno. Quindi grandi produttori amici, come sauditi ed emiratini, sapranno conformarsi, mentre quelli non sottoposti, Iran e Venezuela, dovranno smettere di produrre ed esportare. Una delle meno esaminate ragioni dell’aggressione Usa è questa.

Aggressioni, colpi di Stato, guerre, sanzioni che, tutto sommato, non è che gli vadano tanto bene. Anzi, sono tutti falliti, o in corso di fallimento, anche se i nostri informatori provano a distrarci con Hong Kong. Venezuela, Corea del Nord, Iraq, Siria, Egitto, Afghanistan, Yemen, Georgia e dai e dai….. Ovunque gli è andata buca. Forse il vento sta davvero cambiando.

Ma stiamo calmi.

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