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Panafricanismo e comunismo

Selim Nadi intervista Hakim Adi

img 3 small480Parallelamente alla storia dominante dei partiti comunisti europei, incentrata sulla classe operaia metropolitana, è possibile rintracciare la traiettoria sotterranea di quei militanti comunisti e panafricani, minoritari nei loro partiti, ma sostenuti da Mosca nel periodo tra le due guerre. Si tratta di un epoca nella quale i giovani partiti comunisti sono dominati, per quanto riguarda la metropoli, da Bianchi e, nelle colonie, da coloni. Al fine di combattere l’opportunismo e lo sciovinismo, più o meno espliciti, di questi militanti, l’Internazionale comunista procedette alla strutturazione di una serie di organizzazioni transnazionali, incaricate di coordinare l’attività rivoluzionaria circa la «questione nera»: Sudafrica, colonie dell’Africa nera, segregazione negli Stati Uniti, ecc. Hakim Adi racconta in questa intervista una storia inedita, ovvero quella di un originale incontro tra comunismo, nazionalismo nero e panafricanismo.

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Come definiresti il panafricanismo?

Il panafricanismo può essere considerato, al contempo, come un’ideologia e come un movimento sfociante dalle lotte comuni degli afro-discendenti, tanto in Africa quanto nella diaspora africana, contro lo schiavismo, il colonialismo così come contro il razzismo anti-africano e le diverse forme di eurocentrismo che lo accompagnano. I termini «panafricano» e «panafricanismo» non sono emersi fino alla fine del XIX e l’inizio del XX secolo, ma era già presente una forma embrionale di panafricanismo nel XVIII secolo, in organizzazioni abolizioniste come la British-based Sons of Africa, gestita da ex-schiavi africani quali Olaudah Equiano e Ottobah Cugoano, che riconoscevano la necessità per gli africani di unirsi al fine di difendere interessi comuni.

Il panafricanismo ha assunto differenti forme in diverse epoche, ma la sua caratteristica fondamentale è consistita nel riconoscimento del fatto che gli africani, quelli del continente come quelli della diaspora, devono far fronte a forme comuni di oppressione, sono impegnati in una lotta comune per la liberazione e, dunque, condividono un destino comune. Il panafricanismo, quindi, riconosce la necessità dell’unità tra africani al fine di liberarsi, ma anche il desiderio di unità del continente africano. In generale, difende l’idea secondo la quale gli africani della diaspora condividono un’origine comune con quelli del continente, riconoscendo ai primi il diritto al ritorno nella loro patria d’origine.

In Pan-Africanism and Communism, non mi sono occupato principalmente all’epoca in cui il movimento panafricano era guidato da personalità come Garvey o Du Bois. Da parte del Comintern tale panafricanismo era percepito in maniera critica, come essenzialmente riformista e incapace di condurre alla liberazione africana. Ciò nondimeno, il Comintern, sotto l’influenza dei comunisti neri, adotto aspetti del panafricanismo, in particolare l’idea per cui gli africani condividevano forme di oppressione ed erano impegnati in una lotta comune. Ugualmente, difendeva l’idea di Stati Uniti socialisti d’Africa. È inoltre doveroso ricordare che, nel periodo tra le due guerre mondiali, alcuni leader panafricani erano anche, si pensi a George Padmore, membri dell’Internazionale comunista.

 

In quale misura la Rivoluzione d’ottobre del 1917 ha avuto un impatto sull’Africa e la diaspora africana? Perché la Rivoluzione russa ha avuto una tale influenza sull’Egitto e il Sudafrica?

La Rivoluzione d’ottobre è stata probabilmente il principale avvenimento politico del XIX secolo, dimostrando non solo la possibilità per gli operai di sollevarsi con una rivoluzione, ma anche la loro capacità di prendere il potere, stabilendo e mantenendo un’inedita forma di potere statale. La Rivoluzione russa ha anche portato il paese fuori dalla guerra imperialista, ha rivelato i trattati segreti tra le grandi potenze e i rapporti tra colonialismo, imperialismo e guerra. Ancora, ha dimostrato che anche coloro che vivono in una società relativamente arretrata possono emanciparsi. Poiché questa rivoluzione ha scosso il mondo e rovesciato l’ordine stabilito, incentrato sul capitale, non poteva mancare di avere un impatto profondo su tutti gli oppressi, particolarmente su quelli che riconoscevano quanto la loro oppressione fosse prodotto dell’ordine sociale esistente. Di conseguenza, vi era la speranza che il bolscevismo si estendesse e che l’ordine stabilito venisse rovesciato in alte parti del mondo. Il sostegno ai cambiamenti rivoluzionari era più evidente tra i settori del radicalismo statunitense come l’African Blood Brotherhood, ma è chiaro che la Rivoluzione russa ha suscitato le speranze di molti, compresi coloro che avevano combattuto durante la guerra, come Lamine Senghor in Francia. Tra gli oppressi dall’ordine coloniale europeo la Rivoluzione russa ha aperto nuove prospettive, poiché l’Impero russo comportava nazioni e nazionalità oppresse che potevano oramai liberare se stesse. L’assenza di oppressione nazionale in quella che si avviava a divenire l’Unione Sovietica fece una forte impressione su numerosi visitatori, compresi gli afroamericani Langston Hughes e W.E.B. Du Bois. Quest’ultimo, dopo un viaggio in Unione Sovietica, ebbe a dichiarare nel 1926, «se è questo il bolscevismo, allora io sono bolscevico».

Nel continente africano la Rivoluzione d’ottobre ha esercitato un’influenza significativa, specialmente laddove il movimento anticoloniale e la classe operaia erano maggiormente sviluppati. In Egitto il movimento anticoloniale e i movimenti operai si portarono ad un ulteriore livello dopo gli avvenimenti rivoluzionari del 1919. La Rivoluzione d’ottobre ha avuto un influenza significativa su coloro che hanno creato le condizioni per la fondazione del partito socialista egiziano nel 1921, il quale diverrà partito comunista nel 1922. In Sudafrica, come in Egitto, gli operai stranieri hanno svolto un ruolo chiave, introducendo il marxismo e le prime organizzazioni socialiste erano prevalentemente composte di europei. Ciò nonostante, la forza e la militanza degli operai africani hanno creato le condizioni per la fondazione di organizzazioni rivoluzionarie comprendenti tutti gli operai, come l’International Socialist League, fondata nel 1915, e l’Industrial Workers of Africa. Dunque, la Rivoluzione d’ottobre ha avuto un impatto significativo su quanti già si organizzavano tra gli operai sudafricani, portando alla fondazione, nel 1921, del Partito comunista del Sudafrica.

 

Qual è stato il ruolo di Lenin nel dibattito sulla «questione nera» sviluppatosi all’interno dell’Internazionale comunista?

Negli Stati uniti la specifica oppressione cui dovevano far fronte gli afro-discendenti, e le modalità attraverso le quali liberarsene, sono arrivate alla posterità come «questione nera». Non è secondario che questa definizione sia stata adottata dal Comintern, non solamente in riferimento alla liberazione degli afroamericani, ma ugualmente in relazione al tema dell’oppressione degli africani in Sudafrica e di quella coloniale, tanto nel continente africano quanto nella diaspora, inclusi paesi come la Francia e la Gran Bretagna. Il Comintern ha quindi iniziato a vedere tale «questione» in una prospettiva panafricana, vale a dire come se gli africani dovessero affrontare problemi comuni e i loro destini fossero, in qualche modo, legati. Un approccio mantenuto, con alcune riserve, fino al suo settimo congresso, nel 1937.

Lenin diede inizio alla discussione sulla questione nera negli Stati Uniti durante il secondo congresso del Comintern, nel 1920, quale parte integrante di un interesse globale nei confronti di tutte le nazioni e colonie oppresse, in linea col suo «Primo abbozzo sulle questioni nazionale e coloniale». Si trattava di come i partiti comunisti avrebbero sostenuto coloro che lottavano contro l’ordine coloniale e l’oppressione nazionale, poiché Lenin e altri propugnavano una lotta unitaria tra operai dei paesi capitalisti più sviluppati e popoli oppressi contro il nemico comune: l’imperialismo. L’analisi dell’imperialismo proposta dal leader bolscevico, così come l’esperienza della Rivoluzione d’ottobre, avevano dimostrato che una rottura rivoluzionaria del sistema imperialista non era possibile esclusivamente nei paesi capitalisti avanzati dell’Europa, ma ovunque la catena dell’imperialismo si presentava come più debole. Questa analisi, al pari dell’interesse di Lenin per la «questione nera in America», significavano che, per la prima volta, i comunisti percepivano le lotte degli oppressi da un punto di vista globale, e la necessità di organizzarle come altrettanto rilevante delle lotte operaie nei paesi economicamente sviluppati.

 

Potresti soffermarti sule critiche formulate nei confronti dei partiti comunisti france se e britannico nel corso del quinto congresso del Comintern (giugno 1924)?

Perché un partito comunista fosse riconosciuto come tale e potesse unirsi all’Internazionale comunista, doveva aderire ai cosiddetti 21 punti. Uno dei quali proclamava:

Un atteggiamento particolarmente esplicito e chiaro sulla questione delle colonie e dei popoli oppressi s’impone a quei partiti nelle cui nazioni la borghesia possiede delle colonie ed opprime altre nazioni. Ogni partito che desideri far parte dell’Internazionale comunista è tenuto a denunciare i trucchi e gli artifici dei «suoi”» imperialisti nelle colonie nell’intento di aiutare ogni movimento di liberazione coloniale non solo a parole ma coi fatti, ad esigere l’espulsione dei suoi imperialisti da queste colonie, ad inculcare nei lavoratori del loro paese un atteggiamento sinceramente fraterno verso i lavoratori delle colonie e delle nazioni oppresse e a condurre agitazioni sistematiche tra le truppe del loro paese contro ogni oppressione dei popoli delle colonie.

In altre parole, i partiti comunisti europei avevano anche la responsabilità di impegnarsi nelle attività anticoloniali. Ancora, vi era una particolare responsabilità circa la presa in carico della questione nera, concernente l’Africa e i Caraibi, e l’agitazione tra le persone di origine africana e caraibica nei paesi della metropoli come Gran Bretagna e Francia. Nello stesso periodo, l’Internazionale comunista tentava persino di organizzare un «Congresso nero mondiale» e si aspettava che i partiti britannico e francese si assumessero la loro parte di responsabilità. Tuttavia, questi partiti erano relativamente giovani e inesperti, e non avevano che tenui legami con le colonie o con le popolazioni di origine coloniale residenti in Europa. Avevano, inoltre, altre priorità e problemi. Così questi partiti divennero oggetto di critiche da parte del Comintern, così come dall’interno dei propri ranghi, in particolare riguardo alla riluttanza a chiedere persino la fine dell’ordine coloniale, il che mostrava come anche i comunisti potessero essere influenzati dallo sciovinismo e dal razzismo prodotti dall’imperialismo. Per certi aspetti, si potrebbe affermare che il PCF era più attrezzato rispetto al suo omologo britannico, poiché aveva dato vita all’Unione intercoloniale, organizzava militanti dell’Africa, dei Caraibi e dell’Indocina, oltre ad vantare un proprio comitato di studi coloniali. Inviò, inoltre, delegati delle colonie, come Ho Chi Min, al quinto congresso dell’Internazionale comunista. Ciò nondimeno, questo non ha risparmiato al PCF le critiche, specie da parte di questi stessi delegati e di altri, i quali notavano che la questione nera non era stata neanche discussa al congresso del partito.

 

Potresti ritornare sulla fondazione dell’International Trade Union Committee of Negro Workers (ITUCNW)? In quale misura la creazione di tale organizzazione era legata all’incapacità dei «partiti comunisti occidentali a fronteggiare adeguatamente la “questione nera”»? (William L. Patterson, citato nel tuo volume Pan-africanism and Communism, p. 43-44)? Nel tuo testo «The Comintern and Black Workers in Britain and France 1919-37» (in Caroline Bressey e Hakim Adi (a cura di) Belonging in Europe – The African Diaspora and Work), scrivi che sino alla «sua dissoluzione nel 1937, l’ITUCNW lamentava costantemente la mancanza di sostegno e di lavoro da parte dei partiti comunisti europei, suggerendo che si poteva fare molto di più», potresti approfondire questo punto?

Il Comintern aveva istituito anche un’Internazionale sindacale rossa (ISR o Profintern), la quale era fondamentalmente un’organizzazione sindacale finalizzata a fornire un’alternativa rivoluzionaria, nonché combattere l’influenza della Federazione sindacale internazionale, all’epoca sotto la direzione politica dell’Internazionale operaia socialista. L’ISR si occupava anche della questione nera, in particolare delle modalità attraverso cui organizzare gli operai neri in paesi come gli Stati Uniti, il Sudafrica, ma anche la Gran Bretagna, la Francia e le loro colonie. A questo proposito, l’ISR era assai critica di fronte all’inattività che percepiva nei partiti comunisti, lenti nel mettersi a lavoro in questo senso. Questo risaliva ad una serie di ragioni, compresa l’attività frazionistica all’interno dei partiti statunitense e francese, e un’inappropriato orientamento politico in Sudafrica e Gran Bretagna. Simili critiche si amplificavano, ed erano particolarmente evidenti, nelle schiere dei comunisti afroamericani. È proprio in tale contesto che prese piede la decisione di fondare, nel 1928, l’nternational Trade Union Committee of Negro Workers (ITUCNW), la quale avrebbe dovuto aiutare i partiti comunisti ad adempiere le proprie responsabilità circa la questione nera. L’ITUCNW era guidata dal comunista afroamericano James Ford ed esistette sino al 1937. Come già detto, l’organizzazione era stata creata per lavorare coi partiti comunisti, sotto la direzione dell’ISR e dell’Internazionale comunista, ma non disponeva che di poche-risorse proprie, in breve il suo processo decisionale era affidato agli individui, fattore che ne rendeva il lavoro difficile limitandone l’influenza. Nel 1930, sotto i suoi auspici venne organizzata una conferenza internazionale, la pubblicazione regolare di un bollettino in francese e inglese l’instaurazione di legami con operai in Africa, Caraibi ed Europa. Tuttavia, avendo l’organizzazione base in Europa, le sue attività erano limitate da mancanza di personale e risorse, così come a causa dell’operato, anch’esso limitato, dei grandi partiti comunisti europei, in particolare quelli francese e britannico, ma anche belga e olandese, i quali non erano in grado di organizzare efficacemente in quelle colonie prive di una sostanziale presenza europea.

 

Chi era James La Guma? Qual è stato il suo ruolo nella lotta contro il razzismo in Sudafrica? Cosa era la «Native Republic Thesis» e perché il Partito comunista del Sudafrica vi si opponeva?

James La Guma (1894-1961) era un comunista sudafricano, padre dello scrittore, e a sua volta militante comunista e dell’ANC [African National Congress, n.d.t.], Alex La Guma. Originario di una famiglia proveniente dal Madagascar e dalla Francia, James era un organizzatore operaio, tra i primi leader della Industrial and Commercial Worker’s Union, nonché membro dell’ANC. La Guma si unì al Partito comunista del Sudafrica (CPSA) nel 1925, e venne scelto come delegato in occasione del congresso fondativo della Lega contro l’imperialismo tenutosi a Bruxelles nel 1927. A seguito di questo importante avvenimento, La Guma ebbe modo di viaggiare in Germania e Unione Sovietica, dove gli venne chiesto di produrre un resoconto sul CPSA. Quest’ultimo, all’epoca, lottava per africanizzarsi e allontanarsi dalle sue origini di organizzazione composta principalmente da operai europei. L’orientamento politico, circa il quale vi era comunque una certa confusione, era oggetto di discussione così come le modalità di lotta contro le divisioni preesistenti tra operai bianchi e neri in seno al movimento dei lavoratori in generale. Prendendo come punto di partenza il resoconto di La Guma, insieme ad altre informazioni, il Comintern intervenne in questi dibattiti. Nello specifico, dichiarando che il CPSA doveva divenire un partito prevalentemente africano con vertici prevalentemente neri e, inoltre, organizzarsi intorno alla rivendicazione di una repubblica nera indipendente; in altri termini, la lotta principale era ritenuta quella in direzione dell’indipendenza nazionale, allo scopo che la maggioranza degli africani potesse emanciparsi e gli operai bianchi si impegnassero in tale battaglia, intesa quale precorritrice di qualsiasi lotta per il socialismo. Questo orientamento antimperialista veniva difeso da La Guma, ma inizialmente la maggioranza dei membri del CPSA, convinta che la lotta per il socialismo e il ruolo della classe operaia bianca dovessero essere centrali, vi si opponeva. La posizione del Comintern era ben diversa, ponendo l’accento sulla natura antimperialista della lotta e mostrando come la maggioranza della popolazione sudafricana non fosse composta né da operai né da bianchi. È evidente il ruolo fondamentale svolto da La Guma in questo periodo e, alla fine, il CPSA finirà per accettare l’orientamento politico emergente dalla discussione col Comintern.

 

In che modo il Partito comunista degli Stati Uniti – e in particolare i comunisti afroamericani – interagirono con la Universal Negro Improvement Association (UNIA) di Marcus Garvey?

L’UNIA venne fondata una prima volta nel 1914, in Giamaica, poi rifondata a New York nel 1916. Si trattava di un’epoca di rinascita politica e culturale afroamericana, che avrebbe condotto anche alla creazione di altre organizzazioni come l’African Blood Brotherhood, culminando in quella che entrata nella memoria come Harlem Renaissance, esercitando un’importante influenza in Africa e nella diaspora, in particolare sui primi anni della negritudine e sui movimenti internazionalisti neri in francia. L’UNIA sviluppò un programma per l’Africa e la diaspora nel quale si esigeva la fine delle discriminazioni e della segregazione, così come l’autodeterminazione. Un’organizzazione che promuoveva l’orgoglio razziale, soprattutto l’orgoglio per l’Africa e la sua storia, in un’epoca di razzismo anti-africano e virulento eurocentrismo. La rivendicazione più celebre di Marcus Garvey è «l’Africa agli africani, qui e all’estero», uno slogan che testimoniava di un forte sostegno al progetto di ritorno in Africa, difeso da alcuni esponenti della diaspora. In breve, l’UNIA aveva inizialmente un orientamento anticoloniale e si opponeva persino alla Società delle nazioni. L’organizzazione affermava avere quattro milioni di membri all’inizio degli anni Venti, nonché pubblicazioni in grado di influenzare milioni di persone in Africa, Caraibi, Nord America, europa e altrove. L’UNIA viene generalmente riconosciuta come una delle più grandi organizzazioni panafricane mai esistite. Alcuni comunisti e organizzazioni afroamericane, come l’African Blood Brotherhood (ABB), intrattenevano rapporti assai stretti con l’UNIA, riconoscendo che includeva personalità progressiste con le quali era possibile cooperare. Benché Garvey riconoscesse l’importanza di Lenin, salutando positivamente la fondazione dell’Unione Sovietica, egli rimaneva ostile al comunismo, quindi gli sforzi compiuti dall’ABB e dai comunisti statunitensi al fine di lavorare con l’UNIA si rivelarono infruttuosi. Il partito comunista propose il proprio sostegno quando MArcus Garvey venne arrestato sulla base di false accuse di frode postale, tuttavia, nel momento in cui il suo programma divenne meno progressista, negli anni Venti, il Comintern percepì Garvey e l’UNIA come «dirigenti traditori» (misleaders) delle masse afroamericane di altri, cercando di deviare queste ultime da quelle lotte più passibili di condurre alla liberazione. Ciò nondimeno, vi era il riconoscimento che alcuni elementi del nazionalismo afroamericano erano importanti. L’idea di un certo tipo di nazione afroamericana, la quale aveva il diritto di autodeterminarsi, rimaneva una componente importante della politica comunista negli Stati Uniti, e costituiva un elemento fondamentale della cosiddetta «tesi della Black Belt», concernete i diritti della maggioranza afroamericana della popolazione negli stati del sud, tesi sostenuta in particolare da Harry Haywood e adottata dal Comintern negli anni Trenta.

 

Come spiegare la forza dello «sciovinismo bianco» nel partito comunista cubano degli anni Trenta, nonostante il 90% della popolazione fosse afro-cubana? Quali erano le specificità di questo partito riguardo alla lotta al razzismo?

L’espressione «sciovinismo bianco» veniva utilizzata dal Comintern per descrivere gli atteggiamenti reticenti al cercare soluzioni alla «questione nera», o che non l’affrontavano col dovuto vigore. Dunque, un’espressione generica utile a coprire una molteplicità di attitudini criticabili presenti non solamente nel partito comunista cubano, ma anche in altri. Inizialmente, la situazione a Cuba era la medesima che in Sudafrica, ovvero, non vi erano che pochi afro-cubani nel partito e, per tanto, vennero prese misure al fine di porre rimedio a tale problema, sollevando la questione del tipo di sfruttamento cui erano soggetti gli afro-cubani, e di come tutto ciò si legasse alla lotta di classe a Cuba, nonché a quella antimperialista contro il dominio statunitense. La stima del 90%, di fatto, si riferisce alla provincia Oriente, nella quale gli afro-cubani costituivano la maggioranza e il partito comunista aveva deciso che la questione del diritto all’autodeterminazione si poneva concretamente. Che ci si trovasse o meno di fonte ad una nazione afro-cubana particolare è da vedere, ma l’importante è che i comunisti tentarono di trovare una soluzione a un problema specifico, riconoscendo come una simile rivendicazione fosse già stata avanzata da degli afro-cubani.

L’altro problema era che il razzismo contro gli afro-cubani era evidente nell’insieme della società e che, sin tanto che nessun provvedimento veniva assunto, si sarebbe manifestato ugualmente in seno al partito comunista. Misure che vennero quindi prese dal partito, come un intenso sforzo mirante a reclutare più membri afro-cubani e, alla metà degli anni Trenta, alcuni dei leader avevano tale provenienza, si pensi a Lazaro Pena. Laddove vi era «sciovinismo bianco», venivano presi provvedimenti, esattamente come nel partito degli Stati Uniti. A Cuba, simili questioni non erano legate esclusivamente alla popolazione afro-cubana, ma riguardavano anche i lavoratori immigrati provenienti da Haiti e Giamaica.

 

Il Comintern prestava attenzione ai Caraibi e all’America Latina? Vi era una specificità della questione nera in queste aree del mondo?

Il Comintern si interessava della rivoluzione in tutti i paesi, compresi America Latina e Caraibi. Ciò nondimeno, pur essendo l’ITUCNW responsabile dei Caraibi anglofoni e francofoni, fatta eccezione per un breve periodo, che vide l’impegno del comunista afro-cubano Sandalio Junco, l’organizzazione non aveva alcuna responsabilità riguardo a Cuba, Repubblica Dominicana o altre regioni del Sud America. Una responsabilità che venne affidata alla Confederacion Sindical Latinamericano. Una prima serie di misure venne assunta e i progressi più importanti ebbero luogo, senza dubbio, in Brasile. È il motivo per cui in Pan-Africanism and Communism non mi concentro sul Sud America, fatta eccezione per alcune osservazioni concernenti Cuba e Brasile.

Ovviamente, non vi erano partiti comunisti nelle colonie britanniche e francesi, il che rendeva il lavoro di organizzazione politica estremamente difficile, sebbene fossero stati compiuti degli sforzi al fine di organizzare coloro che guidavano i movimenti operai in paesi come la Giamaica, la Guiana britannica e Trinidad, così come in Guadalupe. Non mancavano i legami tra comunisti, come nel caso di Andre Aliker in Martinica e Jacques Roumain ad Haiti, quest’ultimo in esilio in Francia per alcuni anni, prima della sua prematura scomparsa. Oltre a vari contati nei Caraibi, l’ITUCNW operava anche con organizzazioni e singoli, tanto in Gran Bretagna quanto in Francia. Un importante attività venne intrapresa e l’ITUCNW poteva contare su forti legami con organizzazioni operaie in Guiana britannica e Trinidad in particolare. Il punto più rilevante è che il Comintern mirava ad organizzare ovunque nel mondo e questo includeva Caraibi e America Latina.

 

In quale modo l’ITUCNW coniugava la questione coloniale in Africa con la minaccia del fascismo e della guerra negli ani Trenta?

Il lavoro dell’ITUCNW poneva l’accento principalmente sull’instaurazione di legami col nascente movimento operaio, ma anche con i movimenti anticoloniali in alcune parti del continente, in particolare in Africa occidentale e meridionale. L’ITUCNW, per quanto possibile, svolgeva direttamente quest’attività, specie attraverso la distribuzione dl suo giornale Negro Worker, ma anche tramite individui e organizzazioni in Gran Bretagna e Francia. Questa pubblicazione era illegale in gran parte delle colonie africane e veniva regolarmente confiscata dalle autorità sudafricane, organizzarsi era dunque un compito estremamente difficile. In alcune occasioni, attivisti dell’ITUCNW venivano inviati in diverse parti dell’Africa. Prima della metà degli anni Trenta, l’organizzazione era ansiosa di combattere quello che percepiva come «social-riformismo» influenzato dall’Internazionale operaia socialista. Secondo il suo orientamento generale l’ordine coloniale doveva essere abolito e ciò doveva avvenire per mezzo delle organizzazioni e delle lotte operaie, nonché delle masse popolari nelle colonie. Benché si riconoscesse l’esistenza di differenze tra le lotte nelle diverse colonie, la politica dell’ITUCNW non era molto sviluppata, a parte il Sudafrica dove lavorava in stretto rapporto con il CPSA. Detto questo, in quest’ultimo paese, vi erano problemi dovuti ai vertici del CPSA, i quali perseguivano una politica ristretta e settaria, isolando spesso il partito da coloro che si aspirava ad organizzare.

L’approccio dell’ITUCNW, dell’ISR e del Comintern subiva l’influsso della situazione mondiale e si concentrava, in Africa e nella diaspora, sull’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia fascista, nel 1935. Quest’ultima vicenda suscitò una condanna a livello globale, conducendo ad un rinvigorimento della lotta antimperialista in Africa, Caraibi e altrove. L’ascesa del fascismo e il pericolo della guerra, inoltre, avevano condotto il Comintern a riconsiderare il proprio atteggiamento nei confronti dell’Internazionale operaia socialista, dunque a cercare di formare un fronte unico di tutte le organizzazioni operaie, così come un ampio fronte antimperialista nelle colonie. Tutto ciò avrebbe anche portato a un ripensamento circa la necessita dll’ISR, il quale finirà per essere disciolto. Ridefinizione e riorientamento del Comintern strettamente legati al suo settimo congresso, nel 1935, allorquando la guida delle organizzazioni venne rinnovata e affidata a Dimitrov.

Nel corso di questo periodo, l’ITUCNW stabilì una solida sede legale a Parigi, tentando di rafforzare i propri legami con le organizzazioni nelle colonie in Africa occidentale e Sudafrica. La sua attività principale consisteva, senza dubbio, nel suo coinvolgimento nelle continue proteste contro l’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia, benché fosse ugualmente implicata in quelle contro le richieste tedesche di redistribuzione delle colonie africane. In breve, l’ITUCNW non aveva modificato la propria politica nei confronti del colonialismo delle grandi potenze europee, ma riconosceva, al contempo, la minaccia crescente rappresentata da fascismo e guerra, mobilitandosi contro queste ultime. È degno di nota, per esempio, che in Francia, l’Union des Travailleurs Nègres, affiliata all’ITUCNW, abbia adottato una posizione critica rispetto alla politica coloniale del governo del Fronte popolare mentre, allo stesso tempo, il PCF sosteneva l’esistenza del medesimo esecutivo.

 

Perché nel 1924 venne creato il Comité de défense de la race nègre (CDRN) è come mai è importante che ponesse l’accento sulla sua indipendenza rispetto al Partito comunista francese (PCF)? Quale fu l’evoluzione di quest’ultimo riguardo alla «questione nera»? Quali le differenze, nel periodo fra le due guerre, tra il PCF e il Partito comunista della Gran Bretagna (CPGB) circa tale questione?

Il CDRN venne formato nel 1926 ed era più o meno affiliato al PCF. Venne fondato da Lamine Senghor e altri, in parte a causa della loro insoddisfazione a proposito di quello che percepivano come un approccio poco convinto, da parte del PCF, alla «questione nera». Ad esser significativo è il fatto che i primi leader del CDRN mantenevano il proprio sostegno al Comintern e alle sue politiche, ma deploravano che queste non venissero adeguatamente implementate dal PCF. L’altro punto importante è che si trattava di un’organizzazione panafricana integrante gli abitanti dell’Africa e delle Antille. Non era ostile alla dottrina comunista, ma tentava di mantenere la propria indipendenza organizzativa. È probabile che un simile approccio abbia contribuito all’incremento dei membri ma, per buona parte della sua esistenza, il CDRN rimase finanziariamente dipendente dal PCF, ed era percepito come un’organizzazione comunista dalla polizia. Nei fatti, riuscì a combinare elementi del marxismo a diverse forme di panafricanismo, un approccio mantenuto dalla successiva Ligue de défense de la race nègre (LDRN), fondata nel 1927.

In generale, è possibile affermare che a prendere di petto la «questione nera» furono organizzazioni come il CDRN, la LDRN e, più tardi, l’Union des Travailleurs Nègres. In ognuna di queste, i comunisti provenienti dall’Africa e dalle Antille svolsero un ruolo fondamentale. Si trattava di organizzazioni affiliate all’ITUCNW dalla quale, nei primi anni Trenta, erano anche in qualche modo finanziate, divenendo lo strumento principale tramite cui il Comintern esercitava la propria influenza nelle colonie francesi, in particolare in Africa. Il PCF cercò di organizzare vittime del colonialismo per mezzo di tali organizzazioni, ma non ebbe che un successo limitato sino al 1934. In ogni caso esse rimasero attive ed erano dotate di pubblicazioni proprie diffuse anche nelle colonie. Tuttavia, durante questo periodo, il PCF subiva critiche per la sua incapacità nel produrre progressi tangibili sulla «questione nera», specialmente in occasione della grande rivolta avvenuta in Congo nel 1928.

In Gran Bretagna, invece, l’organizzazione anticoloniale era prevalentemente nelle mani della Lega contro l’imperialismo, in rapporto con l’Africa e i Caraibi, e con la sua organizzazione affiliata, la Negro Welfare Association (NWA), fondata nel 1931. La NWA aveva un segretario di Barbados, Arnold Ward, ma era politicamente diretta da comunisti britannici, il che condusse ad una serie di problemi organizzativi. Il CPGB non ebbe organizzatori africani e caraibici affidabili sino alla fine degli anni Trenta, si può dunque affermare che il suo lavoro non fu altrettanto solido di quello dell’omologo francese. Vi erano alcune responsabilità per il partito sudafricano, ma il suo ruolo a tal riguardo era comunque inefficace. Il grosso dell’organizzazione politica in Africa e nei Caraibi britannici veniva preso in carico dall’ITUCNW, associato alla Lega contro l’imperialismo e alla NWA. Il Partito comunista britannico, quindi, subiva anch’esso forti critiche per la sua inattività.

 

Perché l’ITUCNW venne dissolta? In quale modo la «questione nera» si è evoluta, all’interno del Comintern, a seguito di tale esito?

L’ITUCNW venne dissolta nel 1937, a seguito di lunghe discussioni e deliberazioni. La ragione principale era che l’accento, allo scopo di prender in carico la questione nera, venne posto sui partiti comunisti, ma anche, in parte, perché la maniera in cui l’ITUCNW era stato stabilito, con risorse limitate e un orientamento prevalentemente sindacale, non lo rendeva un’organizzazione efficace nelle nuove condizioni della fine degli anni Trenta. Bisogna, inoltre, tenere conto che l’orientamento panafricano non si prestava ad incoraggiare la lotta in diverse regioni e paesi. L’ISR venne dissolto nello stesso periodo e il Comintern nel 1943, durante la Seconda guerra mondiale.

Nel periodo precedente lo scoppio della guerra, l’obiettivo principale del Comintern consisteva nell’opposizione al fascismo e alle riparazioni di guerra, ma il suo interesse per la questione nera si protraeva in diversi paesi. In Gran Bretagna, si verifico una fiammata di attività tanto da parte della NWA, affiliata all’ITUCNW, che del CPGB. Negli Stati Uniti, il lavoro si sviluppo tramite l’operato del National Negro Congresses e grazie a organizzazioni come il Council on African Affaires, guidato da Paul Robeson e altri. Anche per quanto riguarda la Francia, durante il periodo del Fronte popolare, si ebbero dei progressi per il movimento comunista nei Caraibi, la legalizzazione dei sindacati nelle colonie africane e l’emergere di un’organizzazione comunista in Senegal. In effetti, l’influenza del comunismo, in quest’epoca, progredì in Africa e nei Caraibi, come dimostrano le carriere di personalità come Robeson e Césaire.


Nella foto in alto Lamine Senghor al congresso della Lega contro l’imperialismo e l’oppressione coloniale, Bruxelles 1927

Hakim Adi (Ph.D. SOAS, London University) è autore di West Africans in Britain 1900-1960: Nationalism, Pan-Africanism and Communism (Londra, 1998); coautore di (con Marika Sherwood) di The 1945 Manchester Pan-African Congress Revisited (Londra, 1995) e Pan-African History: Political Figures from Africa and the Diaspora since 1787 (Londra, 2003). Si è occupato ampiamente della storia politica moderna dell’Africa e della diaspora africana, in particolare degli africani in Gran Bretagna. Inoltre, ha scritto tre libri di storia per bambini. Attualmente sta lavorando ad un documentario sulla West African Students’ Union http://www.wasuproject.org.uk. Il suo ultimo volume, Pan-Africanism and Communism: The Communist International, Africa and the Diaspora, 1919-1939, è stato pubblicato dalla Africa World Press nel 2013. Nel 2014 il suo libro per bambini The History of the African and Caribbean Communities in Britain è stato ristampato per la terza volta.

Link all’intervista originale in francese Période

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