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comidad

L'impazienza della lobby della deflazione

di comidad

Il Buffone di Arcore ha condotto la sua carriera politica all’insegna della polemica contro la magistratura, nonostante ogni evidenza contraria per ciò che riguarda le sue fortune personali. Lanciato in politica nel 1994 dagli esiti dell’inchiesta giudiziaria passata alla Storia come “Mani Pulite”, il Buffone è stato rilanciato nel 2008 da un’altra inchiesta giudiziaria che segnò la fine del secondo governo Prodi: l’inchiesta contro l’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella e sua moglie; un’inchiesta che poteva vantare, come unico fondamento oggettivo, la facies lombrosiana dello stesso Mastella.

Il Buffone ha quindi indirettamente contribuito al consolidarsi della mitologia politicorretta della magistratura come potere “indipendente”. Forse grata di ciò, la magistratura ricambia con un ennesimo favore al Buffone, riconsegnando nelle sue grinfie un Salvini ridotto finanziariamente in mutande. La Lega aveva appena tentato di affrancarsi dalla dipendenza del contratto finanziario che la legava alle sorti del Buffone, che immediatamente una sentenza della Cassazione, del tutto priva di agganci nella legge e nel buonsenso, l’ha fatta piombare in una dipendenza ancora peggiore.

Il fatto di lasciare alle destre la polemica contro i giudici, ha condotto le “sinistre” a sorvolare sul rapporto organico che la magistratura ha stretto con le multinazionali. Le sentenze a favore delle multinazionali non si contano nemmeno più. Ultima è arrivata la sentenza che dà torto ai “riders” nel rivendicare il proprio rapporto di lavoro dipendente nei confronti delle multinazionali del caporalato digitale. Il cavillo in base al quale questo rapporto di dipendenza è stato negato, riguarda la discrezionalità dei “riders” nell’accettare o meno una commissione. In realtà questa discrezionalità è parte integrante del rapporto di dipendenza, poiché sta al singolo “rider” di valutare la possibilità di accettare o meno una consegna in base alle condizioni di distanza e di traffico. La multinazionale si avvale quindi anche della funzione di informazione sul campo svolta dai “riders”, in base alla quale distribuire le consegne nel modo più tempestivo ed efficiente.

Nella vicenda della sentenza contro la Lega, c’è da considerare anche l’altro lato della medaglia, cioè che un Salvini già prossimo ad esaurire le sue cartucce propagandistiche potrebbe nuovamente rivendicare a pieno titolo il ruolo di capopopolo e di alternativa ad un sistema che per questo lo perseguita. Il mantra politicorretto secondo cui “le sentenze vanno rispettate” consegna infatti governo e parlamento nelle mani di una burocrazia la cui formazione e riproduzione rimangono oscure, al di là del paravento dei concorsi. L’ideale del politicorretto sarebbe una politica eternamente minorenne e perennemente sotto la tutela della magistratura e delle organizzazioni sovranazionali come il FMI e l’OCSE, ma è chiaro che questo ideale provoca sempre più insofferenza.

Già si colgono le avvisaglie di una nuova offensiva propagandistica delle destre contro i giudici; solo che ripercorrono le solite narrative delle diatribe tra destra e “sinistra” e delle “toghe rosse”. In realtà il governo ha avversari insospettabili e non solo per la questione del presunto Decreto “Dignità” del ministro Di Maio, ma soprattutto per il rifiuto di operare manovre “correttive” sui conti pubblici.

La lobby della deflazione ha dimostrato di avere adepti insospettabili, come Confindustria, la quale di fronte alla prospettiva di un rallentamento della crescita, ha proposto una manovra finanziaria per tagliare nove miliardi nel bilancio. La crescita rallenta, quindi rallentiamola ancora di più comprimendo la spesa e facendo cadere la domanda interna. Un’associazione di “industriali” che si schiera con la deflazione?

Il capitalismo in questa fase ha messo in secondo piano la produzione e predilige la finanziarizzazione; le associazioni degli industriali si adeguano. Da decenni in effetti Confindustria non è più una lobby industriale ma una lobby finanziaria camuffata e, come tutte le lobby finanziarie, trova i propri vantaggi nella deflazione che mantiene non soltanto inalterato il valore dei crediti ma soprattutto, attraverso la pauperizzazione crescente, favorisce la finanziarizzazione dei rapporti sociali, l’indebitamento di massa. La lobby della deflazione ha il suo principale punto di riferimento nella Germania; ma la lobby della deflazione non è la Germania. Si tratta di una lobby internazionale con i suoi adepti anche in Italia; ciò a riprova del fatto che il nazionalismo non è soltanto brutto e cattivo, ma è un falso problema.

Le timidezze del ministro Tria in sede europea, le schizofrenie del decreto “Dignità”, i mancati investimenti per le ricostruzioni post-terremoti, dimostrano che l’attuale governo del “cambiamento” non è in grado di cambiare nulla. Ma anche se questo governo non facesse assolutamente niente, “rischierebbe” comunque tra un anno o due di andare a riscuotere i vantaggi della probabile morte naturale della moneta unica a causa dell’uscita della Francia.

Ciò spiega la fretta e l’impazienza della lobby della deflazione, che cerca di spingere il governo sulla strada dei tagli e del rigore di bilancio, cioè di una recessione che scongiuri sin da ora gli effetti positivi della fine dell’euro. I pochissimi componenti del governo intenzionati a fare sul serio troveranno vita sempre più difficile, come dimostra anche il caso dell’inedito asse Di Maio-Confindustria per screditare il Piano B di Paolo Savona.

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