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E questo sarebbe sovranismo? 

La trappola delle "autonomie differenziate"

di Piemme

Francesco Verderami, per nome e per conto dell'élite neoliberista, ci ricorda sul Corrierone di oggi che la vera sfida su cui il governo giallo-verde si gioca tutto è quella dello scontro con l'Unione europea. La pensiamo, com'è noto, alla stessa maniera. Entrambi le parti invocano il dialogo ma nessuna sembra disposta a fare sostanziali concessioni. Il rischio è che per la prima volta un paese della Ue, per di più fondatore, venga sanzionato (procedura d'infrazione per eccesso di debito). In altri termini una pistola puntata alla tempia, non più solo del governo ma del Parlamento, ergo della Repubblica e del popolo italiano.

In questo quadro risultano non solo bizzarre ma inquietanti le baruffe quotidiane tra Salvini e Di Maio. A Salvini non è bastato fare della "sicurezza" motivo di decretazione d'urgenza, né lo sgambetto in Campania ai danni dei Cinque Stelle sugli inceneritori. Ieri ha acceso una nuova miccia, quella per cui il Parlamento dovrebbe approvare già in autunno la "riforma delle autonomia regionali".

Sul tema questo blog era già intervenuto l'8 novembre lanciando l'allarme: DISFARE L'ITALIA? I DUE VOLTI DELLA LEGA.

Allarme più che giustificato ove davvero la Lega imponesse al Parlamento di consacrare il gravissimo accordo sulla cosiddetta "autonomia differenziata" firmato alla chetichella il 27 febbraio tra il governo piddino di Gentiloni (rappresentato dal sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa) ed i governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Quell'accordo faceva seguito alla farsa dei referendum del 22 ottobre del 2017 svoltisi in Veneto e Lombardia, e alla richiesta di "maggiore autonomia" dell'Emilia-Romagna con una richiesta formale.

Cosa prevede quell'accordo? Che con legge dello Stato — quella appunto che Salvini vorrebbe fosse approvata prima della fine dell'anno — possano essere attribuite (in base all'Art.116 della Costituzione dopo la sciagurata riforma del 2001) anche alle regioni a statuto ordinario ulteriori e fondamentali forme e condizioni particolari di autonomia, rispetto alla già vasta lista delle materie a legislazione concorrente (terzo comma dell’articolo 117), e all’organizzazione della giustizia di pace, alle norme generali sull’istruzione e alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. E sempre l’articolo 116 prevede già che le regioni possano prendere l’iniziativa per richiedere maggiori dosi di autonomia.

In buon a sostanza un salto nel buio di un federalismo in salsa liberista che rischia di sfasciare, più di quanto globalizzazione e Unione europea non abbiamo già fatto, lo Stato e la Repubblica. Si può discutere certo dei mali di un eccessivo centralismo statale, si può discutere della trasformazione in senso federale e democratico della Repubblica, non è ammissibile che venga trasformato in legge, in quattro e quattr'otto, un federalismo bastardo come quello contemplato nell'accordo del 27 febbraio. E non solo perché esso è di marca liberista, per la fondamentale ragione che rebus sic stantibus, essendo che l'Italia fa parte dell'Unione europea, queste "autonomie differenziate" amplificano la distanza tra Nord e Sud del Paese, accentuano le forze centrifughe, rafforzano la tendenza, non solo del del Lombardo-Veneto, ma di tutto il Settentrione, a saldarsi con la Mitteleuropa se non direttamente con la potente economia tedesca.

Mentre Zaia, dopo il referendum in Veneto, si lasciò scappare la battuta che sarebbe bello tornare al Lombardo-Veneto", Maroni ebbe a dire dopo la firma dell'accordo:

«Una giornata storica, dopo diciasette anni abbiamo firmato il primo accordo per dare più autonomia alle Regioni... È scritto, non si torna indietro, bisogna completare il percorso, si apre un nuovo corso per la Lombardia e le Regioni».

Venendo al nocciolo, ovvero in materia di finanziamenti l'ex presidente lombardo senza peli sulla lingua disse:

«Va calcolato quanto oggi lo Stato spende in Lombardia, queste risorse andranno nel bilancio della Regione: vuol dire risorse in più. Gli altri due criteri sono i costi e i fabbisogni standard che è una vecchia battaglia storica della Lega e che vuol dire che chi governa meglio ha un vantaggio perché spende meno e riceve di più dallo Stato. E poi la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali, che è una pagina storica. Finisce il sistema dei trasferimenti, le tasse pagate in Lombardia vengono a Roma e da qui tornano indietro, in parte vuol dire che le tasse pagate in Lombardia in quota importante rimarranno in Lombardia».

Non solo un cattivo federalismo, un federalismo al contrario, di chiara marca liberista.

Va bene che la partita decisiva è quella con l'Unione europea, che sarebbe bene evitare le baruffe in seno al governo su cose che risultano oggi secondarie, ma questa non lo è affatto: Quindi no, questo federalismo non deve passare.

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