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Investimenti pubblici e lavoro di cittadinanza per ridurre spread e rispondere a Bruxelles

di Stefano Fassina

“La stragrande maggioranza dei Comuni italiani ha progetti canteriabili. Gli investimenti pubblici, nonostante le litanie degli editorialisti liberisti impermeabili alla realtà, sono la componente più efficace per dare ossigeno all’economia reale. Allora, metà della dotazione prevista per il cosiddetto “Reddito di Cittadinanza” andrebbe allocata su un “Piano per il lavoro”, concentrato nel Mezzogiorno, finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, delle scuole e degli ospedali; alla rigenerazione delle periferie; a un programma per l’edilizia residenziale pubblica; al finanziamento di una strategia industriale per la riconversione ecologica dell’economia.”

Che cos’è il “Lavoro di Cittadinanza“?

“Certo, un’integrazione al reddito familiare per arrivare a 780 euro mensili è estremamente rilevante per chi è in condizioni di povertà. Rispetto a tagli di trasferimenti e investimenti pubblici degli ultimi due decenni, è un salto di qualità politico e economico. Ma possiamo rassegnarci all’assistenza per milioni di persone, in specie giovani qualificati, potenzialmente in grado di contribuire attivamente alla propria comunità drammaticamente sofferente per tanti bisogni insoddisfatti?”

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L’apertura da parte della Commissione europea della procedura per violazione della regola del debito pubblico era inevitabile, dato lo scostamento dagli obiettivi del Fiscal Compact.

Le conseguenze possono essere, indirettamente, ossia attraverso i tassi di interesse, molto rilevanti.

Non è una “letterina a babbo Natale”. Ma gli obiettivi del Fiscal Compact sono insostenibili e dannosi ai fini della riduzione del debito pubblico. Da qui dobbiamo partire per una adeguata valutazione economica e politica: le regole del mercato unico e dell’eurozona, a partire dallo Statuto della Bce, sono insostenibili per tutti, non sono per l’Italia: l’estremismo mercantilista Made in Germany impone svalutazione del lavoro, carenza strutturale di domanda interna, diseguaglianze territoriali e sociali, ritorsioni protezioniste, crescita stentata e anemica e, inevitabilmente, conseguenze negative sulla sostenibilità del debito pubblico.

La ribellione dei popoli, in particolare delle classi medie, attraversa tutto il continente, anche la Germania felix raccontata dalla propaganda ufficiale: i partiti al governo da due decenni attraverso la “Grande Coalizione” sono al loro minimo storico e, insieme, sotto al 50% dei voti (a quanti sbandierano il successo elettorale dei “Grünen” nelle recenti elezioni in un paio di importanti Länder va segnalato che, al di la delle fantasiose interpretazioni italiane sulla loro natura, intercettano soltanto la metà dei voti persi da Cdu-Csu e Spd. L’altra metà va, purtroppo, innanzitutto a AfD, partito ultra-nazionalista).

Sarebbe utile per tutti i Paesi membri che la Commissione e il Consiglio Ue affrontassero tali nodi strutturali, portati all’attenzione dei governi europei dal ministro Savona nel documento “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa“. Siamo a ridosso delle elezioni europee, ma il confronto-scontro tra Italia e “gli altri” deve avere lo sfondo giusto per provare a rompere l’isolamento. È lo sfondo per riconoscere le ragioni della forzatura necessaria al Fiscal Compact, a maggior ragione in una fase di rallentamento dell’economia europea e di dazi in aumento: provare a rispettare le regole aggraverebbe le condizioni della nostra economia e complicherebbe la sostenibilità del nostro debito pubblico.

Tuttavia, forzare le regole non implica avere mani libere. Rileva la qualità delle forzature. Il governo, date le condizioni della nostra finanza pubblica, la mobilità dei capitali e la portata deflativa del mercato unico, non può permettersi di andare avanti come nulla fosse. Allora, che fare per evitare Scilla, la consueta subalternità politica e i conseguenti danni economici all’Italia, e Cariddi, l’avvitamento soffocante via spread?

È necessario confermare l’obiettivo del 2,4% di deficit su Pil, ma è altrettanto necessario correggere il DDL Bilancio ora in Commissione. In che direzione? Larga parte dell’extra deficit va spostata su investimenti pubblici, in piccole opere, in particolare nel Mezzogiorno.

La stragrande maggioranza dei Comuni italiani ha progetti canteriabili. Gli investimenti pubblici, nonostante le litanie degli editorialisti liberisti impermeabili alla realtà, sono la componente più efficace per dare ossigeno all’economia reale. Allora, metà della dotazione prevista per il cosiddetto “Reddito di Cittadinanza” andrebbe allocata su un “Piano per il lavoro”, concentrato nel Mezzogiorno, finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, delle scuole e degli ospedali; alla rigenerazione delle periferie; a un programma per l’edilizia residenziale pubblica; al finanziamento di una strategia industriale per la riconversione ecologica dell’economia.

Alla dotazione del Piano, andrebbero aggiunte parte delle risorse dedicate ai sussidi ambientalmente dannosi. Così, si avrebbe a disposizione una cospicua dotazione pluriennale per generare reddito da lavoro e affrontare tante “emergenze” infrastrutturali, ambientali e sociali.

Oltre al Piano per il lavoro, una quota delle risorse per il Reddito di Cittadinanza andrebbe utilizzata, in particolare nel Sud, su programmi per il “Lavoro di Cittadinanza”. Cos’è? È l’opzione, prevista in un emendamento di Liberi e Uguali al DdL Bilancio, alternativa cittadino al Reddito di Cittadinanza. È riservato a chi ha i requisiti richiesti da tale intervento. È un programma di lavoro promosso e gestito da Comune e associazioni di cittadinanza attiva, ma selezionato attraverso un bando nazionale. L’importo spettante per la prestazione di Lavoro di Cittadinanza è pari all’importo massimo del Reddito di Cittadinanza al quale si aggiunge la contribuzione previdenziale ordinaria.

È finanziato, per un miliardo l’anno, dal Fondo per il Reddito di Cittadinanza. A carico dei Comuni, le spese organizzative. I programmi finanziabili possono ricomprendere ristrutturazione di immobili pubblici da adibire a case di quartiere, dove organizzare attività gratuite per bambini e anziani, in orari scoperti rispetto ai turni di lavoro; supporto allo studio; corsi di lingua, piccola manutenzione del verde pubblico; attività sportive; catalogazione e digitalizzazione degli archivi di musei e biblioteche civiche.

Da un “Governo di cambiamento”, in particolare dal M5S, andrebbe rigettato il mantra liberista che spiega la disoccupazione come mismatching tra domanda e offerta di lavoro. Nel Mezzogiorno, ma anche in generale nel resto del Paese, non vi è domanda di lavoro (da parte delle imprese) inevasa.

I “Centri per l’Impiego” vanno radicalmente riorganizzati e potenziati, ma anche se a Reggio Calabria si raggiungesse la capacità operativa in campo a Amsterdam, i disoccupati calabresi avrebbero soltanto un trasferimento monetario sempre senza lavoro, come ha sottolineato lo Svimez nel suo ultimo agghiacciante rapporto.

Certo, un’integrazione al reddito familiare per arrivare a 780 euro mensili è estremamente rilevante per chi è in condizioni di povertà. Rispetto a tagli di trasferimenti e investimenti pubblici degli ultimi due decenni, è un salto di qualità politico e economico. Ma possiamo rassegnarci all’assistenza per milioni di persone, in specie giovani qualificati, potenzialmente in grado di contribuire attivamente alla propria comunità drammaticamente sofferente per tanti bisogni insoddisfatti?

La discussione in Commissione del DdL Bilancio è appena cominciata. È nell’interesse dell’Italia correggere la composizione della manovra e confermare il quadro di finanza pubblica votato dal Parlamento e “bocciato” dalla Commissione europea. Soltanto così, si può dare credibilità alla via della crescita per ridurre il debito pubblico e abbattere lo spread. Soltanto così, in particolare nel Mezzogiorno, si può promuovere lavoro e contrastare la povertà.


Pubblicato da huffingtonpost
https://www.huffingtonpost.it/stefano-fassina/investimenti-pubblici-e-lavoro-di-cittadinanza-per-ridurre-spread-e-rispondere-a-bruxelles_a_23596723/?utm_hp_ref=it-blog

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