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manifesto

Primarie Psoe, la rivincita di Pedro Sánchez

Luca Tancredi Barone

74mila militanti, più del 50%, ha votato per l’ex segretario. Affluenza record all’80%

Un solo risultato poteva buttare all’aria lo scacchiere politico: che l’ex segretario socialista Pedro Sánchez, defenestrato dai baroni del partito sei mesi fa, vincesse le primarie. E contro ogni pronostico, contro la quasi totalità dei maggiorenti del Psoe, contro gli editorialisti dei principali giornali, in primis l’ex filosocialista El País, contro i desiderata di Pp e Podemos, la maggioranza dei militanti socilisti, su 150mila che si sono recati a votare in urne fisiche (uno straordinario 80% del censo), ha scelto l’outsider, l’ex segretario ed ex deputato Sánchez.

Lo scontro è stato cruento. Susana Díaz, che tutti davano per vincente, contava sull’appoggio della potentissima federazione andalusa (dove è presidente regionale) e di tutti i quadri regionali, con l’eccezione della Catalogna e delle Baleari. La appoggiavano tutti gli ex segretari ed ex presidenti socialisti del governo. Il terzo candidato, l’ex presidente basco e presidente del Congresso nella breve legislatura precedente, Patxi López, ed ex alleato di Sánchez, era appoggiato dalla federazione basca.

Il trattamento che i nemici di Sánchez gli hanno riservato in questi mesi, alla fine si è rivelato un regalo. I militanti socialisti hanno scelto la vittima degli intrighi dei burocrati di partito, l’eroico deputato che pur di non votare il Sì a Rajoy si era dimesso, l’unico che, contro il suo stesso curriculum centrista, avrebbe potuto salvare l’anima a sinistra del partito. 74mila militanti, più del 50%, ha votato per lui. Meno del 40% ha votato per Díaz e quasi il 10% ha sostenuto il terzo incomodo López. Ma il dato più sorprendente, e significativo del clima che si respira nel partito, è che Díaz è stata l’unica votata da meno persone di quelle che ne avevano sostenuto, con nome e firma, la candidatura (e soprattutto in Andalusia).

Non basta: tutti i presidenti regionali socialisti in carica pro Díaz (fatto salvo il caso andaluso, dove la leader si è imposta) sono stati sconfessati dai propri militanti. Le ferite saranno difficili da rimarginare. Tra un mese si celebrerà il congresso che formalmente incoronerà Sánchez, stavolta molto più forte, e rinnoverà le cariche. Ma tutti sanno che Díaz è pronta a schierare le truppe.

Il Pp non ha mai nascosto di preferire Díaz come avversaria, percepita come assai più malleabile. Anche se fra i parlamentari, i sanchisti sono una minoranza, il Psoe ora sarà meno disponibile a scendere a patti con Rajoy, che potrebbe essere tentato da elezioni anticipate.

Anche Podemos sperava in Díaz: per certificare di essere l’unica vera sinistra. Ma i viola hanno incassato abilmente la vittoria sanchista: la prima mossa è stata mostrarsi disponibili a ritirare la mozione di sfiducia contro il Pp su cui Podemos e alleati stanno costruendo tutta la strategia politica di queste settimane: «sempre che il Psoe ne presenti un’altra». Lo aveva promesso Sánchez, vincolandola però a una «reale possibilità di successo».

Sabato Izquierda Unida e Podemos avevano riunito nell’emblematica Puerta del Sol di Madrid una grande folla a sostegno della mozione. Senza Ciutadanos è difficile (ma non impossibile) rovesciare il governo Rajoy.

Ma ora la palla è nel campo di Sánchez. Anche i catalani sono pronti a riscuotere l’appoggio massiccio che gli hanno garantito: più dell’80% di loro hanno sostenuto il leader madrileño, più che in qualsiasi altra comunità. Ieri è trapelata una versione della legge di «transitorietà giuridica», a cui stanno lavorando segretamente alcuni parlamentari catalani, che ha l’obiettivo di mettere le basi per un nuovo stato: gli indipendentisti sembrano fare sul serio e, dice il testo, sono pronti a dichiarare unilateralmente l’indipendenza se non otterranno presto un referendum. Urge qualche azione politica da Madrid. A parte Unidos Podemos, l’unico politico che aveva aperto qualche timido spiraglio era stato proprio Sánchez.

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