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contropiano2

L'”ammazza stati” bussa alla nostra porta

di Redazione Contropiano

In calce un articolo di Guido Salerno Aletta

jbkjnskxnkabjscvbjbjsdMettiamo da parte rapidamente la sceneggiata politica tra vecchi e nuovi complici sulla “scoperta” che l’Unione Europea sta per varare una “riforma del Mes” (il Meccanismo europeo di stabilità) che certamente impatterà in modo devastante l’economia nazionale, il risparmio dei cittadini e il sistema bancario. Tutto in un colpo solo.

Ha aperto i fuochi Salvini, ha fatto sponda l’imbarazzante Di Maio, li ha stanati Giuseppe Conte con una velenosa “chiamata di correo” (“Oggi abbiamo scoperto che c’è un negoziato che è da un anno in corso: il delirio collettivo sul Mes è stato suscitato dal leader dell’opposizione, lo stesso che qualche mese fa partecipava ai tavoli discutendo di Mes, perché abbiamo avuto vertici di maggioranza con i massimi esponenti della Lega – quattro incontri – e ora c’è chi scopre che era al tavolo ‘a sua insaputa’).

In sintesi: l’Italia ha dato il suo consenso di massima a questa “riforma” già a giugno (governo gialloverde) e l’ha confermata pochi giorni fa (governo giallorosa). Tutti d’accordo e al servizio dell’Unione Europea quando siedono al governo, tutti all’oscuro e contrari quando fingono di fare l’opposizione, come patetici leoni da tastiera.

Chiusa la parentesi ridicola, occupiamoci ancora un volta del merito di questa “riforma”, visto che ieri è stata oggetto sia di un illuminante editoriale di Guido Salerno Aletta – pubblicato dall’Agenzia TeleBorsa, non da un oscuro blog nazionalista – sia dell’audizione di Vladimiro Giacché presso la Commissione Finanze del Senato.

Il primo esamina da par suo le conseguenze finanziarie immediate dell’adozione della nuova normativa: “perdite astronomiche ai risparmiatori ed agli investitori sui titoli di Stato, ed un guadagno certo e sicuro agli speculatori”. Come altre volte, ripubblichiamo il suo editoriale qui di seguito.

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orizzonte48

ESM (2): la volontà del popolo italiano? Tabula rasa

Un popolo di "pagatori" per il moral hazard altrui

di Quarantotto

Moral Hazard1. Per capire, senza essere trascinati nel gorgo delle grandiose costruzioni inerziali della propaganda orwelliana (adeguatamente testabile ogni giorno), abbiamo bisogno di punti di riferimenti.

Cioè di chiare enunciazioni circa i fondamenti istituzionali, cioè i contenuti normativi fondamentali, la cui "interpretazione autentica" fornisce l'indicazione della volontà politica e degli interessi economici che caratterizzano il dover essere della società in cui ci si trova assoggettati. Sudditi, non cittadini dotati della benché minima capacità giuridica di esercitare diritti politici, il primo dei quali è l'elettorato attivo e passivo, che possano in qualche modo determinare l'indirizzo politico fondamentale e quindi l'esistenza di un'autorità di governo che ne risponda secondo le regole della democrazia.

E il primo di questi riferimenti, parlando di sostenibilità, "rischio" e ristrutturazione del debito pubblico, non è ciò che potremmo pensare noi, - che, per definizione non conta nulla, essendo ridotti a vuota forma i diritti politici - ma quello che dicono loro, €SSI, senza alcuna remora.

 

2. Ci riportiamo all'intervento di Benoît Cœuré(sul sito BCE, datato 3 novembre 2016) già riportato qui, p.6.1. (Keynote address by Benoît Cœuré, Member of the Executive Board of the ECB, at Harvard University's Minda de Gunzburg Center for European Studies in Cambridge, MA, 3 November 2016). Sempre negli USA si manifesta il "meglio" di certe dottrine economiche...):

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letture

Anschluss. L’annessione

intervista a Vladimiro Giacché

Vladimiro Giacchè: Anschluss. L'annessione. L'unificazione della Germania e il futuro dell'Europa, DIARKOS 2019, € 18.00

german markDott. Vladimiro Giacché, Lei è autore del libro Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa edito da Diarkos: a trent’anni dal crollo del Muro di Berlino, la riunificazione tra le due parti della Germania può dirsi compiuta?

No. Sussistono tuttora marcate differenze sotto il profilo economico e sociale: basti pensare che un lavoratore dell’Est riceve uno stipendio pari a poco più dell’80 per cento di un lavoratore dell’Ovest e che la disoccupazione è tuttora superiore del 50 per cento a quella dell’Ovest, nonostante un’emigrazione che ha interessato milioni di cittadini della ex Germania Est. Molte città e paesi, soprattutto nelle aree rurali, si sono spopolati. Una ricerca dell’istituto di ricerca tedesco Ifo uscita nel luglio scorso ha reso noto che, mentre la parte occidentale della Germania ha oggi più abitanti di quanti ne abbia mai avuti, la parte orientale è tornata ad avere gli abitanti che aveva nel 1905. Queste differenze si riflettono anche in un voto molto differente da quello espresso nei Länder dell’Ovest, e che penalizza in particolare i partiti di governo.

Ancora di recente un sondaggio ha evidenziato che i cittadini dell’Est si sentono cittadini di serie B. È difficile dar loro torto. Ma soprattutto, col passare del tempo, è sempre più difficile addebitare quelle differenze a “quello che c’era prima”. Non soltanto perché dalla caduta del Muro sono ormai passati 30 anni, e perché Kohl aveva promesso “paesaggi fiorenti” all’Est in due-tre anni. Ma per un motivo più sostanziale: perché gran parte del fossato che non si chiude tra Est e Ovest è stato scavato con l’unificazione, per il modo in cui essa è stata realizzata. L’unificazione politica è del 3 ottobre 1990.

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I vecchi padroni della “nuova” Unione Europea

di Claudio Conti

In calce un articolo di Guido Salerno Aletta

jbksnbjssnnbfbksfCome si smontano interi Paesi per acquisirne il controllo, sia sul piano industriale che diplomatico. L’Unione Europea è nata per questo. O perlomeno è diventata l’espressione “semi-statuale” di un processo guidato da grandi gruppi multinazionali, che si appoggiano – per le normali necessità geopolitiche e militari, di cui non intendono accollarsi i costi – su Stati “forti”.

Francia e Germania sono in questo schema i punti di riferimento obbligati, specie da quando è iniziato il travaglio della Brexit, che può tradursi in un maggior grado di autonomia dell’”Europa” rispetto all’influenza statunitense.

Come se non bastasse, la crisi economica è tornata a bussare alle porte continentali, con la Germania inopinatamente “ultima della classe”, alle prese con la fine di un modello di sviluppo mercatilista, orientato dalle esportazioni, prosperato sui bassi salari e la precarietà contrattuale.

Il frutto avvelenato di quel modello di sviluppo – le “politiche di austerità”, incardinate in trattati come il Fiscal Compact – è noto: nessun governo europeo gode più del consenso popolare. Ed anche se alle ultime elezioni europee la crescita della forze nazionaliste di destra è stata meno esplosiva di quanto temuto, il contemporaneo indebolimento della “grosse koalition” continentale (tra democristiani e “socialdemocratici”) rende molto più fragile il governo politico delle tensioni.

Lo si è visto con le difficoltà nella formazione della Commissione Europea. Il candidato predestinato – Frans Timmermans, “socialista” olandese – è stato bocciato. E lo stesso è accaduto con la “riserva”, il democristiano tedesco Manfred Weber. La scelta è infine caduta sul ministro della difesa tedesco, Ursula Von der Leyen, che a sua volta si è vista bocciare ben tre “ministri” europei da lei proposti. Al punto da costringere Margrete Vestager, confermata “commissario alla concorrenza”, ad ammettere che questa legislatura europea non sarà governata come in passato, ma attraverso una serie di patti ad hoc con i “sovranisti”.

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contropiano2

Il puzzle europeo perde il collante

di Dante Barontini

jhbkdnflnkbkvnflkmfklPuò sembrare curioso, in giorni monopolizzati dal voto in Umbria e dalle sue indubbie conseguenze politiche per l’Italia, girare lo sguardo sulla crisi dell’Unione Europea. I malevoli diranno: “ma ciavete la fissa…”

E invece ci sembra proprio che sia diventato impossibile capire perché il “malessere popolare” prende direzioni così folli (la Lega in Italia, Afd in Germania, Le Pen in Francia, ecc) se non si fanno i conti fino in fondo con la governance continentale, le politiche che questa ha imposto e che vorrebbe portare avanti senza grandi mutamenti, con i disastri provocati nelle economie e quindi nella “coesione sociale” dei diversi paesi.

Non solo di quelli euromediterranei, a questo punto, visto che anche la Germania è quasi ufficialmente in recessione.

La polarizzazione estrema del voto in Turingia – dove vincono la sinistra (non tanto) estrema con Die Linke e l’ultradestra più estrema con Afd – sono apparentemente in contraddizione con il voto umbro (tutto a destra, niente a sinistra, qualcosa – ma in tracollo – al centro).

La differenza ci sembra evidente: in Turingia (Germania Est, ex Ddr) è ancora viva la memoria di uno “stato sociale” magari non ricchissimo, ma certamente più egualitario della giungla liberista attuale, e c’è almeno un partito che dice di perseguire politiche sociali di redistribuzione, localmente guidato anche da dirigenti che non hanno rinnegato ogni cosa (non dappertutto è così, per la Linke).

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orizzonte48

Il "nuovo"ESM, tra la vecchia soluzione del "trattamento Grecia" e la sfida tedesca all'Ital€xit

di Quarantotto

123 1508441. Il quadro generale della congiuntura italiana nei suoi possibili sviluppi di breve e medio termine.

Cerchiamo di approfondire l’evoluzione della situazione italiana dentro l’eurozona all’incirca nei prossimi due anni (indicativamente). E cioé, appunto, entro un breve periodo in cui si acutizzino i fattori recessivi esogeni (crisi strutturale e geopolitica, - cioè neo-multilaterale-, della globalizzazione asimmetrica) e endogeni all’eurozona (ulteriore consolidamento fiscale, pro-ciclico, determinato dagli obiettivi di pareggio strutturale di bilancio derivanti dal modo in cui viene calcolato l’output-gap dal working group che supporta le prescrizioni impartiteci dalla Commissione Ue).

Nell’appunto sull’applicazione dell’art.65 TFUE, la situazione italiana (attuale) viene riassuntivamente così descritta :

L’Italia attualmente si trova:

a) impossibilitata comunque a promuovere politiche di crescitadi c.d. “piena occupazione” (effettiva), e anzi obbligata, dal fiscal compact e dalle sue linee guida applicative (qui, p.3), a perseguire un aggiuntivo e forte consolidamento fiscale, induttivo di una probabile recessione che si aggiunge alla forte stagnazione “esogena” attualmente in corso;

b) impossibilitata, di conseguenza, anche a svolgere le politiche anticicliche(qui, pp. 5-8) la cui necessità e urgenza si manifesta a causa della fase di stagnazione-recessione in cui, anzitutto, la Germania si trova, “trascinando”, di conseguenza anche il nostro sistema produttivo che ne è divenuto, per notori motivi, strettamente dipendente;

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coniarerivolta

Quantitative Easing: la lotta di classe al tempo dello spread

di coniarerivolta

queramboNel Consiglio Direttivo di settembre la Banca Centrale Europea (BCE) ha deciso di riprendere il programma di acquisti netti di titoli finanziari (Asset Purchase Programmes) meglio noto come QE, ovvero il famigerato Quantitative Easing. Con il QE la banca centrale espande la liquidità a disposizione del sistema economico con lo scopo dichiarato di ripristinare il corretto meccanismo di trasmissione della politica monetaria: si suppone che la liquidità immessa allenti le tensioni sui mercati finanziari e consenta dunque all’economia reale di tornare sui binari della crescita. La banca centrale inonda il sistema di liquidità acquistando titoli finanziari, in prevalenza titoli di Stato dei paesi dell’area euro: tramite questi acquisti, i titoli finiscono nella pancia della banca centrale mentre il denaro, il prezzo pagato per acquistare quei titoli, entra nel sistema economico.

Attraverso questo meccanismo, la BCE ha introdotto nell’economia europea tra i 60 e gli 80 miliardi di euro ogni mese dal marzo 2015 al dicembre scorso, quando il programma di acquisti netti è stato provvisoriamente concluso, nell’ipotesi che tre anni di stimoli monetari fossero stati sufficienti a rivitalizzare il sistema finanziario e produttivo dell’area euro. Invece, il primo semestre del 2019 ha mostrato evidenti segni di stagnazione, con la produzione in calo persino nel cuore pulsante dell’Europa, in Germania, e l’inflazione al di sotto delle aspettative. Insomma, gli effetti positivi del QE sull’economia europea non si sono mai visti, nonostante la massiccia iniezione di liquidità messa in atto dalla BCE a partire dal 2015. Il Presidente della BCE, Mario Draghi, ha sostanzialmente ammesso questo fallimento, ma ovviamente ne imputa ad altri la responsabilità: secondo Draghi la politica monetaria sta facendo tutto ciò che è in suo potere per rilanciare l’economia europea, ma senza un briciolo di politica fiscale espansiva da parte della Germania diventa impossibile evitare il baratro di un’altra recessione.

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seminaredomande

Liquidità BCE

Nella palude dell'UE

di Francesco Cappello

4225234Draghi reimmetterà 20 miliardi al mese (creati dal nulla) nel circuito economico

Per statuto non può immetterli direttamente nell’economia reale in forma di investimenti pubblici, sostegno alle imprese, alle famiglie ecc… mette quindi delle condizionali nella “speranza“ che stavolta possano raggiungere il target desiderato. Nella Unione Europea è stata introdotta l’idea criminale che gli investimenti pubblici in deficit siano da evitare perché causerebbero debito. Ne sono conseguite pratiche malsane che stanno portando allo smantellamento della casa comune. Si fa avanzo primario dal ’92. Si spende cioè meno di quanto si incassi sotto forma di tasse così che rimanga sempre qualcosa da destinare al pagamento del servizio al debito. Non si investe nei servizi pubblici, che vengono piuttosto taglieggiati, si risparmia sulla previdenza, le infrastrutture al collasso vengono abbandonate al loro destino, si svende il patrimonio comune nel tentativo di far cassa, i trasferimenti dello Stato ai comuni sono stati ridotti al lumicino viceversa questi ultimi sono stati incoraggiati a diventare esattori delle tasse locali. Si fanno concessioni di sfruttamento coloniale del territorio svenduto, spesso a multinazionali straniere che fanno i loro comodi operando con finalità estrattive di ricchezza. Tali concessioni, compensate con due briciole e tre posti di lavoro… sono generalmente fatte passare per salvifici investimenti stranieri.

È vero che fare investimenti pubblici in deficit crea debito? No. Chi fosse interessato veda qui (1) [Ancora meglio se si riprendesse ad usare, in parallelo all’euro, moneta a non debito come si dirà più avanti]. Sappiamo che nel settore pubblico il vincolo di ideale saldo zero (spese=entrate fiscali) e in generale il Fiscal Compact, che nel 2012 ha sovvertito la costituzione economica (nuovo art. 81), ci impediscono qualsiasi politica fiscale espansiva (1).

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campoantimp2

L'euro-dittatura getta la maschera

di Leonardo Mazzei

Cosa ci dice la vergognosa risoluzione anticomunista del parlamento di Strasburgo

sovieticos final guerraQuando si parla di totalitarismo eurista, ci si riferisce solitamente al retroterra ordoliberista da cui sgorgano quelle regole e quei "trattati europei" (in realtà dell'Ue) che imprigionano tanti popoli e nazioni del continente. Ma, come i carabinieri, l'ordoliberismo in campo economico non cammina da solo, andando invece a braccetto con una più ampia visione totalitaria del mondo. Da qui l'incredibile e vergognosa risoluzione adottata giovedì scorso dal parlamento europeo.

Una risoluzione obbrobriosa sotto ogni punto di vista, scritta male, con concetti fasulli ripetuti senza fine, basata su falsificazioni madornali, dove non si sa neppure se sia più la malafede che l'ignoranza, dove si tratta di storia come se si scrivesse una sentenza in un tribunale di quart'ordine. E tuttavia una risoluzione illuminante, con la quale fare i conti fino in fondo. Una risoluzione che ci dice alla perfezione cosa sia davvero l'Unione Europea.

I nostri critici che si vorrebbero di "sinistra" ritengono che l'Ue, per quanto imperfetta, sia comunque meglio del sovranismo, che per loro è sempre nazionalismo, dunque - da una semplificazione all'altra - inevitabilmente fascismo. Per loro lo scandalo (vedi, ad esempio il Manifesto) sta nel fatto che il Pd ha votato come Orban. Ora, a parte il fatto che il Pd in Europa governa - governa! - con il partito di Orban, la questione decisiva qui è un'altra. Ed essa risiede nella pretesa, questa sì totalitaria, di ostracizzare definitivamente chi si colloca fuori dalla cornice del pensiero dominante. In breve: o si è liberali, meglio se liberisti, oppure si deve essere cacciati ai margini della società. Da qui la riscrittura del passato, l'apologia delle forze e dell'ideologia che dominano il presente, l'ipoteca che si vorrebbe mettere sul futuro.

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Il Nord sbuffa, sotto il peso della crisi tedesca

di Guido Salerno Aletta

kfmvmohvubrejksdtIl dibattito politico è pesantemente viziato dalla ricerca del consenso facile. “Vincono” quasi sempre i falsari di bassa lega, perché è difficile controbattere le stronzate propagandistiche discutendo di dati, strutture produttive, scelte strategiche (anche di collocamento internazionale). Ci vorrebbero molte lauree a testa per esprimere pareri non campati in aria.

Quindi le “emergenze” che riescono ad assumere centralità sono quelle che non esistono, o vengono create ad arte, per solleticare il pensiero corto, le reazioni da Napalm51. Gli immigrati, ma solo quelli di pelle scura, sono il bersaglio preferito, perché facile da indicare. Se questi inviti arrivano da forze rappresentate in Parlamento, automaticamente si promuove l’instupidimento di massa, in una corsa sempre più veloce verso il fondo.

Naturalmente, non si può pensare di contrastare questa deriva nazi-imbecille con il finto “buonismo” rivestito in slogan altrettanto semplici ma di presa infinitamente minore. Bisogna sapere come sta messo questo paese, quali comparti reggono e quali no, quali regioni soffronto di più la crisi, quali figure sociali ne sono investite inmisura maggiore e quali se ne rendono conto meglio.

Bisogna studiare la situazione, altrimenti si dicono fesserie. Magari di buona volontà e piene di comprensione umana, ma efficaci come preghiere in tempo di guerra.

Dietro gli slogan ci sono organizzazioni politiche labili, fatte soprattutto di “contoterzisti” senza alcuna progettualità di lungo periodo. A muovere queste organizzazioni sono interessi strutturati, molto diversi tra loro e, in parte, indifferenti anche agli slogan che i “propri campioni” usano quotidianamente.

Interessi che “badano al sodo”, ovvero alle politiche economiche possibili (con grande competizione sulle poche risorse disponibili all’arbitrio politico nazionale), all’occupazione delle postazioni politiche che possono determinarle (governo, autorithy, regioni, comuni metropolitani e non).

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Vincoli di bilancio UE

La Germania è in crisi, l’Italia ne approfitti

Marco Biscella intervista Sergio Cesaratto

Le economie dei Paesi Ocse sono in frenata e per FT a Bruxelles si studia un nuovo Patto di stabilità più soft. E’ il momento giusto per dare una svolta keynesiana

merkel summit ucraina lapresse 2018Nel giorno in cui l’Ocse segnala il rallentamento del Pil dell’area nel secondo trimestre (+0,5% rispetto al +0,6% dei primi tre mesi del 2019) con una frenata che tocca tutti i principali Paesi, soprattutto quelli europei, Germania compresa (-0,1%, contro un +0,4%) e l’Italia ancora fanalino di coda con la sua crescita zero, il Financial Times ha ieri rilanciato l’indiscrezione (in parte poi smentita dalla portavoce Ue) che la Commissione europea voglia riscrivere il Patto di stabilità e crescita per renderlo più soft. Secondo il quotidiano economico inglese, a Bruxelles starebbe girando un documento, per ora tecnico e informale, che prevede la riscrittura delle regole di bilancio e l’allentamento dei vincoli. È forse venuto il momento di riscrivere il Patto di stabilità e di crescita in chiave più espansiva? “Verrebbe da dire: finalmente e se non ora quando – risponde Sergio Cesaratto, professore di economia politica all’Università di Siena – perché l’Europa ha contribuito a destabilizzare l’economia mondiale. Ma il processo non sarà agevole, i segnali sono ancora timidi, soprattutto in Germania, e l’Italia, alle prese con la crisi di governo, rischia di lasciarsi sfuggire la grande occasione di poter indirizzare la riforma delle regole Ue”.

* * * *

Procediamo con ordine. Innanzitutto, perché l’Europa ha destabilizzato l’economia mondiale?

Perché finora è stata guidata da un modello di crescita basato sulle esportazioni, un modello che la Germania ha adottato, costringendo un po’ gli altri Paesi ad andarle appresso. Deflazione salariale e austerity hanno significato, e significano, che l’unico sbocco di un euro debole sono i mercati esterni alla Ue, oggi alle prese con tensioni commerciali che ne frenano la capacità di assorbimento, a partire da Usa e Cina. Quindi questo sarebbe il momento opportuno per dismettere il modello tedesco, ripensandolo e orientandolo più sulla domanda interna. Il che significa più giustizia sociale, attraverso salari più alti e spesa pubblica.

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sollevazione2

Il partito dell'Italexit

di Moreno Pasquinelli

Nella crisi sistemica il naufragio del governo giallo-verde apre una nuova fase politica. Che fase è? E soprattutto, che si deve fare affinché la protesta popolare sfociata nelle elezioni del 4 marzo 2018 non si disperda? DentroProgramma 101è in corso una discussione di cui questo contributo di Pasquinelli è frutto. Lo sottoponiamo all'attenzione dei lettori come di tutti i patrioti

xIMG 1056.jpg.pagespeed.ic.V0wfhgtyvzBrexit

Una settimana fa il ministro conservatore britannico per la Brexit, Steve Barclay, nel disperato tentativo di riguadagnare terreno, ha firmato la legge che cancella l'European communities Act - Chapter 68, la legge del 1972 che sanciva l'adozione delle leggi europee da parte del Regno Unito. "Un passo storico per il ritorno dei poteri legislativi da Bruxelles al Regno Unito", così recita il comunicato del governo britannico. L'annullamento dell'European communities Act entrerà in vigore il 31 ottobre, data in cui la Gran Bretagna lascerà l'Unione europea, con o senza accordo.

Un atto politico di un Paese indipendente deciso a riguadagnare la propria sovranità. Sottolineo "atto politico" perché da anni il campo sovranista italiano — a dimostrazione di quanto sia penetrata in ogni dove la concezione economicistica tipica dei capitalisti — discetta, fino al limite del funambolismo tecnicistico, su miracolistiche misure di carattere economico e monetario che potrebbero essere adottate a Trattati europei vigenti, cioè senza uscire dalla Unione europea e dall'eurozona.

Quando non si tratta di velleitari escamotage, queste misure sono presentate come "Piano A" di un governo sovranista e popolare che decide di adottarle e, ove Bruxelles lo vieti, allora, e solo allora, si dovrebbe procedere per l'uscita ("Piano B").

 

A mali estremi, estremi rimedi

Il problema del "Piano A - Piano B" è che con ciò ci si immagina che tra il governo sovranista e l'Unione possa darsi un negoziato all'acqua di rose, ecumenico, rispettoso della correttezza che distingue gli amici. Come la vicenda della Brexit insegna si tratta di un'idea campata per aria. Tutto depone per il contrario: i nemici della nostra sovranità ricorreranno ad ogni mezzo per impedire al Paese di sfuggire alla gabbia in cui siamo reclusi.

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Una gabbia distorta che produce mostri

di Claudio Conti

photo 1532214950507 92ba44a2f6f7Una gabbia, costruita pure male. L’Unione Europea, scriviamo spesso,ha il curioso “dono” di produrre i problemi e le diseguaglianze che dice di voler superare. Naturalmente, diciamo anche questi risultati contrari alle dichiarazioni programmatiche dei “leader” sono ampiamente volute dai paesi più forti dell’area, che hanno tutto da guadagnare dall’indebolimento ulteriore di quelli già deboli (quelli mediterranei, in primo luogo). Del resto, una volta costruito un mercato comune è “normale” che il deficit di qualche area sia il surplus di qualche altra.

Averne la conferma dai migliori analisti dei giornali economici dovrebbe riempirci di soddisfazione, invece ci fa rabbia. Perché se i fatti sono così chiari è davvero sorprendente che si faccia tanto lavoro per nasconderli, in primo luogo da parte di chi dice di essere “democratico” o addirittura “di sinistra”.

Questo editoriale di Guido Salerno Aletta precisa ancora una volta, nei dettagli “tecnici” (ma non incomprensibili) quel circuito i per cui più risparmi sulla spesa pubblica, più ti indebiti, più chiudono attività economiche, più si riducono i consumi e si blocca la mitica “crescita”. Che sarebbe a parole l’obbiettivo per cui vengono promosse le politiche di austerità

Qual’è il problema? Che se si impongono le stesse politiche economiche e monetarie a paesi con struttura economico-finanziaria diversi (e i 27 della UE sono tutti diversi tra loro) il risultato sarà – è, dopo quasi 30 anni dagli accordi di Maastricht – una asimmetria maggiore, non minore.

Aver posto il livello del debito come primo e quasi unico parametro guida per le “raccomandazioni” della Commissione Europea ha generato il “paradosso italiano”. Un paese che da quasi 30 anni diminuisce la spesa pubblica, tanto da avere ogni anno un avanzo primario (lo Stato spende meno di quello che incassa con le entrate fiscali), ma che vede il proprio debito aumentare altrettanto costantemente.

Perché accade? Perché oltre alla spesa per le amministrazioni, beni, servizi, investimenti, ecc, lo Stato deve pagare gli interessi annualmente maturati sul debito agli investitori che comprano i “nostri” titoli di Stato. E siccome questi interessi sono più alti della media europea (c’è uno spread, detto altrimenti), ecco che uno Stato virtuosissimo, il più “risparmioso” d’Europa, ne esce ogni anno più malconcio.

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L’Unione bancaria europea e i problemi delle banche italiane

di Vladimiro Giacché*

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo di Vladimiro Giacché sulla crisi bancaria italiana uscito sul sito dell’Institute for New Economic Thinking, con delle modifiche non sostanziali da parte dell’Autore, che ha anche aggiunto alcune note sul tema delle Banche di Credito Cooperativo

jgvkknaljoaerL’obiettivo con cui l’Unione bancaria europea è nata era quello di ridurre la balcanizzazione finanziaria dell’Eurozona. La balcanizzazione – la frattura del sistema bancario transfrontaliero che avviene quando creditori nervosi si ritirano verso i sicuri porti nazionali – è stata percepita a ragione come uno dei maggiori pericoli per la stabilità e la sussistenza stessa della moneta unica.

Infatti, all’indomani della crisi finanziaria, gran parte delle ricerche disponibili evidenziavano come il sistema – che sino al 2008/2009 si presentava così interconnesso da essere apparentemente inestricabile – si era andato ridisegnando secondo linee “nazionali”. I prestiti transfrontalieri nell’eurozona erano crollati all’incirca alla metà dei valori pre-crisi, e ingenti capitali erano stati rimpatriati da molte banche e investitori nei paesi core (Germania e Francia). I prestiti nei paesi cosiddetti periferici (Grecia, Irlanda, Spagna, Italia e Portogallo) nel frattempo tornavano ad essere sostanzialmente nazionali. Questo, politicamente, era imbarazzante, ma anche pericoloso, poiché rendeva tecnicamente possibile la fine della moneta unica.

Peggio ancora, questa situazione creava un problema ulteriore non meno grave: un circolo vizioso potenzialmente distruttivo tra rischio di credito e rischio sovrano – cioè il rischio che una nazione potesse essere spinta alla bancarotta.

 

Un obiettivo, tre pilastri

L’idea originale era che un’unione bancaria avrebbe ristabilito un mercato bancario e finanziario integrato attraverso tre pilastri: 1) un sistema unico di vigilanza bancaria 2) procedure di risoluzione che limitassero il rischio di contagio in caso di crisi, e 3) una garanzia europea sui depositi tale da spezzare il nesso tra rischio Paese e rischio bancario.

Questa la teoria. Nella pratica, l’unione bancaria ha generato enormi asimmetrie e condizioni competitive inique in tutta l’Eurozona. Queste asimmetrie hanno colpito in particolare il sistema bancario italiano, in un modo che contribuisce a spiegare gli avvenimenti degli ultimi anni.

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Nadia Urbinati, “Utopia Europa

di Alessandro Visalli

medieval crusadersUn altro libro di occasione, nel quale un’intellettuale di fama si presta alla difesa di ufficio della causa europea in vista delle elezioni. Non servirà a fermare la Lega, ma forse questo alzare gli stendardi compatta l’esercito un poco attempato e certamente molto demoralizzato della sinistra.

A questo fine il testo ripercorre nella prima parte, la più interessante, la storia della lunga costruzione europea, mettendo in evidenza la fonte inaspettata (per una sinistra che ormai ha dimenticato tutto) delle sue radici, ma nella seconda si mette la cotta di maglia e va alla guerra.

Come capita a chi fa il suo mestiere, professoressa di teoria politica alla Columbia University, tutta la ricostruzione si muove sulle nuvole del pensiero, non tocca il volgare terreno degli interessi, tanto meno geopolitici. Quindi può dire, entro le regole della sua disciplina, che l’Europa è il prodotto delle idee degli “illuministi” e dei “cattolici” e che queste si muovono attraverso il protagonismo dei paesi sconfitti (e dunque, necessariamente, con l’autorizzazione dei vincitori, che sarebbe altrimenti curioso il progetto più ambizioso della storia europea nasca da chi ha meno potere e meno sovranità). Sono due i piani che propone: la creazione di una polis pacifica e democratica, e il rispetto delle sfere di influenza. Ma l’ordine è palesemente invertito, il fatto rilevante del primo dopoguerra è evidentemente la divisione dell’Europa sconfitta e ridimensionata in due sfere di influenza nette, quella americana e quella sovietica. Il progetto di una “polis” pacifica (ovvero disarmata e subalterna) è l’ideologia di copertura e insieme la necessità pratica del progetto della parte americana[1], ovvero parte della tradizionale politica dell’indirect rule anglosassone e strumento della riduzione dello sforzo e del costo di protezione e di controllo. Lo dice, del resto, anche la nostra politologa: “il progetto nacque anche in funzione antisovietica” (solo che “anche” è di troppo).

Certo non è del tutto infondato che l’idea di un’unificazione europea fosse più antica, e radicata in utopie settecentesche, poi rialzata negli anni venti (anche se non solo da intellettuali antifascisti), e poi tanti altri, l’elenco è lungo. E, se ci si sposta agli anni trenta, coinvolge anche gli stessi nazisti (ma questo è politicamente scorretto e meglio non insistervi).