
La lotta di classe dall’alto e dal basso
Liberalismo, populismo e fascistizzazione
di Eros Barone
Non dimenticarlo mai: ora non è il momento adatto per vincere, ma per combattere le sconfitte.
Bertold Brecht
1. Il mondo va a destra: perché?
È in atto uno spostamento a destra che ha dimensioni mondiali. A partire da diversi paesi dell’America Latina, dove in precedenza governava la sinistra riformista e sono ora subentrati governi di destra, il cui esemplare più importante e più famoso è quello del Brasile di Jair Bolsonaro, apologeta del nefasto regime militare e della sua sanguinosa repressione, passando attraverso la rielezione di Modi in India, di Netanyahu in Israele e di Erdoğan in Turchia, per giungere all’Australia, dove è stato riconfermato il governo conservatore, e all’Unione Europea, dove le scorse elezioni hanno segnato un deciso spostamento a destra, tornano a soffiare i venti procellosi che hanno portato all’ascesa di Trump negli Stati Uniti e ora a quella di Johnson nel Regno Unito.
Quando avviene, su scala globale, uno spostamento così massiccio e così generalizzato, sorge spontanea la domanda: perché? Del tutto fuorviante è la risposta fornita a questo proposito dagli analisti liberali borghesi, intenti meccanicamente e schematicamente a classificare le forze sociali e politiche in base ai seguenti dilemmi: contro la UE o a favore della UE, contro l’immigrazione o a favore dell’immigrazione. Questo approccio, che isola singole contraddizioni da un contesto più ampio, scambia la sostanza con la superficie, la realtà con l’apparenza, il generale con il particolare. L’analisi marxista, che tende invece a ricongiungere la superficie alla sostanza, l’apparenza alla realtà e il particolare al generale, indica con chiarezza che quelle contraddizioni sono altrettante conseguenze della crisi economica che attanaglia l’economia mondiale dal 2008. Il ciclo declinante del saggio di profitto e il ciclo ascendente della reazione, il ciclo della concentrazione monopolistica del capitale e il ciclo della proletarizzazione della piccola borghesia trovano così una corrispondenza perfetta, confermando la tesi dei sostenitori della “stagnazione secolare” e ridicolizzando quei sicofanti della borghesia imperialista che, ipnotizzati dall’andamento a ‘yo-yo’ dell’economia mondiale, esultano quando tale andamento sembra impennarsi verso l’alto e cadono nello sconforto quando il rocchetto della valorizzazione discende sempre più in basso. Né il quadro viene modificato dalla discesa degli indici della disoccupazione, poiché, anche sorvolando sulla composizione in gran parte precaria degli occupati, il confronto tra periodi differenti, essendo la percentuale degli occupati diminuita, conferma un tasso di disoccupazione ben più alto di quello che registrano le statistiche ufficiali.
Lo spostamento a destra è dunque, a livello delle sovrastrutture e, in particolare, a livello delle sovrastrutture politico-istituzionali, la risultante del quadro di crisi e disoccupazione, che caratterizza attualmente la “struttura del mondo”.
2. La situazione politica europea
In sostanza è accaduto che, in una situazione ove i partiti liberali borghesi negano l’esistenza della crisi e la sinistra più o meno ‘radicale’ è incapace di formulare un programma alternativo, l’iniziativa è passata alla destra e al suo programma anti-immigrazione. La crescita della destra a livello mondiale si può quindi ascrivere alla combinazione tra il realismo con cui essa ha riconosciuto l’esistenza della crisi e della disoccupazione, e l’uso demagogico e divisivo che ne ha fatto attribuendone la responsabilità non alle classi dominanti che detengono le chiavi del sistema socio-economico interno e internazionale, ma agli immigrati e ai loro paesi di provenienza.
Stando ai risultati delle elezioni europee (e tenendo, peraltro, conto dei limiti derivanti da un’analisi, per così dire, sintomatologica, dipendente perciò dal carattere fluido, volatile ed emotivo che è proprio della pratica elettorale, di stampo essenzialmente mediatico, che caratterizza le attuali ‘post-democrazie’), il voto risulta essersi polarizzato tra le forze europeiste, che hanno manifestato una complessiva tenuta, e le forze populiste che hanno registrato notevoli successi in alcuni paesi (segnatamente, in Italia, in Francia e in Ungheria). Il fronte europeista, dal canto suo, si è diversificato in senso nettamente reazionario, isolando i socialdemocratici e aggregandosi attorno ai Verdi e ai liberali, che oggi rappresentano la prima linea del fronte cosmopolita e antinazionalista.
Secca e inappellabile è stata, poi, la sconfitta del Partito della Sinistra europea (una vera catastrofe storico-morale) che, perdendo numerosi seggi, vede ulteriormente ridursi la sua presenza già residuale a favore dei liberali e dei Verdi, senza riuscire nemmeno ad avvantaggiarsi della flessione dei socialdemocratici. Calano quindi la Linke tedesca, France Insoumise di Mélenchon e Unidos Podemos di Iglesias. Ma calano marcatamente anche quei partiti comunisti, come il KSCM nella Repubblica Ceca e il PCP nel Portogallo, che appoggiano i rispettivi governi socialdemocratici: aspetto, questo, che dimostra in modo inequivocabile come il sostegno ai governi di centrosinistra venga pagato a caro prezzo dai comunisti.
Il calo dei socialdemocratici è in parte compensato dai Verdi che, riemergendo dalle nebbie in cui vengono relegati quando non servono alla borghesia come arma di distrazione di massa e avvalendosi del pompaggio mediatico teso a presentare come nuovo un movimento piuttosto stagionato (i Verdi esistono perlomeno da quarant’anni), hanno ottenuto, grazie anche al sostegno di un blocco economico-finanziario di stampo eco-capitalistico, un vasto consenso tra le nuove generazioni.
Infine, va rilevato l’aumento dell’affluenza al voto, elemento, questo, che dimostra l’incidenza esercitata anche a livello elettorale dalla mobilitazione reazionaria delle masse, che è in corso su scala europea.
3. La situazione politica italiana
Il voto italiano è stato, ancor più che negli altri paesi europei, un plebiscito a favore della destra più reazionaria: dal 1945, quando ebbe fine la seconda guerra mondiale, uno spostamento a destra così marcato non si era mai avuto nel nostro paese.
È stato detto giustamente che l’ascesa della Lega non ha eguali in Europa sia per la sua progressione straordinaria (dal 17% al 34% in un anno di governo), sia per la sua estensione su scala nazionale, sia per il suo radicamento nell’Italia profonda della provincia, delle cittadine, dei piccoli paesi, delle campagne. In questo senso, una volta prosciugata Forza Italia, ‘partito-azienda’ decotto come il suo fondatore, assorbito buona parte del voto in uscita dal M5S e quasi tutto il bacino elettorale delle formazioni fasciste di Casa Pound e di Forza Nuova, eccezion fatta per quello di Fratelli d’Italia, che è peraltro complementare al bacino della Lega, quest’ultima è oggi per davvero, dal punto di vista elettorale e sul piano dell’immagine, “il partito della nazione”.
Ciò nondimeno, che la Lega sia nella realtà concreta, in primo luogo, uno strumento al servizio della superpotenza imperialista USA e, in secondo luogo, un satellite dell’imperialismo russo è un dato la cui evidenza è altrettanto palmare. In effetti, Trump e Putin, mentre confliggono in diverse aree del mondo, hanno un obiettivo comune: indebolire e disgregare l’Unione Europea imperialista. E in funzione di questo obiettivo sostengono e finanziano i partiti sciovinisti, populisti e di estrema destra che, alimentando l’odio fra i popoli e tagliando l’erba sotto i piedi ai tradizionali partiti socialdemocratici e liberali, contribuiscono ad inceppare il progetto di integrazione economica e politica europea diretto dall’imperialismo franco-tedesco, ma insidiato dal tarlo roditore della legge dello sviluppo ineguale.
Sul piano nazionale, la vicenda del Metropol, ponendo in luce i rapporti fra gruppi monopolisti, come l’ENI, e la Lega, ha confermato che oggi quest’ultima è assurta a partito-guida della grande borghesia sul terreno delle politiche neoliberiste e repressive. Pertanto, la Lega ha, sì, la sua base di massa nei piccoli e medi imprenditori del nord, in settori del ceto medio e anche in strati arretrati e disorientati del proletariato; ma a livello politico, nonostante la demagogia sociale, lavora per assicurare gli interessi della grande borghesia monopolista. Da questo punto di vista, esiste un parallelismo perfetto con il fascismo storico, poiché il rapporto fra la Lega e le componenti più reazionarie del grande capitale, degli industriali e degli agrari è (non congiunturale e tattico ma) strutturale e strategico.
I Cinque Stelle, fortemente ridimensionati nei rapporti di forza con il loro alleato-concorrente di governo e incalzati dal recupero del Partito Democratico, la cui strategia è evidentemente quella di accreditarsi come unica alternativa possibile a Salvini nel quadro di un rinnovato centrosinistra, seguono una linea ondivaga e velleitaria che nasce dalla fragilità della cultura politica di riferimento, dal carattere ‘liquido’ del movimento e dalla mancanza di una solida base sociale.
In sostanza, di loro, così come, in un altro senso, del Partito Democratico, si può dire che, a pari titolo anche se in campi diversi, lavorano per il re di Prussia, che è quanto dire per il leghismo e per la fascistizzazione. Non per nulla la mobilitazione reazionaria delle masse, che rappresenta il vettore più potente della fascistizzazione, è ‘a parte objecti’ il frutto velenoso della strategia del centrosinistra e del Partito Democratico, che ha contribuito a dividere le masse e ad isolare la classe operaia, mentre ‘a parte subjecti’ è la conseguenza tanto della politica perseguita dal gruppo dirigente renziano a favore di alcuni settori del capitalismo italiano ed europeo (quelli maggiormente legati al mercato tedesco) quanto della funzione svolta dal Movimento Cinque Stelle nel favorire, alleandosi ad un partito neofascista e impantanandosi nella melma di una politica del ‘giorno per giorno’ sganciata da un progetto adeguato alla fase, un consistente deflusso dei suoi voti verso l’alleato-concorrente: due apprendisti-stregoni che stanno già facendo, e ancor più faranno, i conti con le operazioni politicamente controproducenti e socialmente dannose che hanno posto in essere.
Dal canto suo, la Lega ha riscosso un crescente consenso negli strati popolari con una propaganda anti-sistema, pur rappresentando specifici settori capitalistici. Ha utilizzato il tema dell’immigrazione come strumento di costruzione di un legame etnocentrico, alimentando il nazionalismo con una strategia perfettamente riconducibile agli interessi di quei settori delle imprese italiane maggiormente penalizzati dal mercato unico europeo. Infine, ha monopolizzato il tema della sicurezza non solo per introdurre una ulteriore stretta repressiva sulle lotte sociali e gli scioperi, ma soprattutto per sacralizzare, sul piano pratico e ideologico, la proprietà privata (e questa è la ragione principale per cui, orbitando anch’essi all’interno di questa decisiva sfera ideologica e dei relativi interessi pratici, i partiti ‘di sinistra’ sono stati, sono e saranno del tutto incapaci di rappresentare un’alternativa alla Lega).
Per quanto riguarda taluni settori, anche rilevanti, del capitalismo italiano (energia, metallurgia, meccanica, grande distribuzione ecc.), questi settori hanno scelto di appoggiare la Lega in quanto hanno bisogno della sua politica ultrareazionaria e di scissione sistematica del proletariato per cercare di frenare l’inesorabile declino dell’imperialismo italiano e conservare i rapporti sociali esistenti, per intensificare lo sfruttamento e ridurre ulteriormente salari, diritti e spese sociali, per sopprimere le libertà democratiche degli operai, intimidire e attaccare le organizzazioni di classe e le forme di lotta più decise, impedendo, in coerenza con l’imperativo della controrivoluzione preventiva, che la ribellione proletaria e popolare si diriga contro le basi del sistema di sfruttamento.
Le menzogne spacciate da Salvini e il rifiuto opposto alla richiesta di riferire personalmente in Parlamento sul caso Lega-Russia non esprimono solo il timore per le conseguenze politiche di uno scandalo che dimostra la profonda corruzione del partito che dirige (condannato, fra gli altri reati, a rifondere 49 milioni di euro allo Stato per appropriazione indebita), ma mettono anche in luce il totale disprezzo del ministro di polizia e del suo partito nei riguardi della democrazia parlamentare borghese. La vicenda costituisce un altro tassello del processo di fascistizzazione dello Stato, che procede attraverso una lotta acuta con i vecchi partiti borghesi e nello stesso campo populista, all’interno del quale il M5S è in posizione totalmente subalterna.
Il Partito Democratico viene visto, soprattutto da quando è stato rivestito, per opera della segreteria Zingaretti, in contrapposizione a Salvini, dei panni e degli orpelli della cosiddetta ‘sinistra progressista’, come una forza alternativa alla destra, ma esso è in realtà, per la sua linea e per la sua base sociale (e in parte anche per quella di massa, se si considera l’organico insediamento dell’aristocrazia operaia al suo interno), uno schietto partito liberale borghese, del tutto interno alle compatibilità economiche e alle alleanze internazionali di una media potenza imperialista quale è l’Italia. Il falso ‘maquillage’ realizzato con la segreteria Zingaretti ha cambiato, frenando in qualche misura con la truffa/ricatto del ‘voto utile’ l’emorragia di consensi elettorali, il volto e la veste esteriore, ma non la sostanza intrinseca e la funzione di classe del Partito Democratico, che sono immodificabili. Il ‘partito operaio borghese’ di engelsiana memoria continuerà pertanto la sua opera deleteria di mistificazione e di inganno, fino a quando non sarà smascherato da una crisi di portata rivoluzionaria e le masse sfruttate non ne riconosceranno la reale natura di complice e gestore dello sfruttamento capitalistico.
Poche parole bastano a liquidare i cascami della Sinistra (suo malgrado) extraparlamentare. La liquidazione della centralità dell’autonomia di classe, consumata proprio negli anni della grande crisi capitalista; la sua sostituzione con la nozione democratico-borghese di cittadinanza progressista, riverniciata con qualche sbiadita coloritura sociale; l’appoggio e la partecipazione al II governo Prodi; le sperimentazioni ‘in vitro’ di schieramenti elettorali artificiosi e sempre più rachitici (Arcobaleno, Rivoluzione civile, Lista Tsipras ecc.) hanno costituito i ‘leitmotiv’ della catabasi e della eutanasia di questo movimento spettrale. Un ennesimo fallimento delle liste comuni di carattere elettoralistico ha infine ridotto questo piccolo movimento di ceti piccolo-borghesi ad un’esistenza querula, umbratile e servile, tenuta in non cale dalla borghesia monopolista cui non serve più come agente di corruzione ideologica della classe operaia, ignorata dalle masse proletarie con cui esso non intrattiene, né cerca di stabilire, alcun rapporto, e disprezzata dalle minoranze comuniste che ancora esistono nel nostro paese e che, lentamente ma progressivamente, si stanno riorganizzando.
4. Il processo di fascistizzazione avanza
Che il processo di fascistizzazione avanzi è ormai un dato di fatto del quale va preso atto. Quando si affronta questo tema, si deve, tuttavia, prestare attenzione a non incorrere in due distinti errori. Il primo errore è quello di limitare tale considerazione agli aspetti fenomenologici: una tendenza, questa, non a caso e significativamente incoraggiata dal Partito Democratico, intento ormai da tempo in un'opera di sfruttamento dell'immaginario antifascista tanto vacua quanto ipocrita, tutta fondata sulla rimozione, precedentemente portata avanti con successo dallo stesso centrosinistra per oltre vent'anni, della consapevolezza delle radici di classe del fascismo e dell'antifascismo e quindi del contenuto di trasformazione radicale dell'ordinamento sociale che quest'ultimo, se sincero e conseguente, assume in tutto il mondo ma, in particolare, in Italia. Il secondo errore è invece quello di ricercare negli avvenimenti attuali i tratti salienti del processo che condusse storicamente all’avvento del fascismo, sempre limitandosi ad accostamenti tra le caratteristiche esteriori dei due fenomeni che, evidentemente, sono solo in parte coincidenti.
La verità è che il processo di fascistizzazione si fa di giorno in giorno più evidente, più opprimente e più capillare, e chiunque abbia una certa sensibilità ne avverte già da molto tempo la stretta. In questo senso, il governo Salvini-Di Maio è solo il punto di avvio di un ulteriore salto qualitativo. Se confrontiamo infatti la situazione della prima metà del XX secolo con la situazione attuale, risulta palese il tratto comune costituito dalla crisi strutturale del capitalismo. Il secondo elemento, però, e cioè un’alternativa rivoluzionaria in atto, è sostanzialmente assente. Inoltre, la crisi del capitalismo si produce oggi nel contesto generato da un altro evento epocale, di segno opposto a quello rappresentato dalla rivoluzione d’Ottobre: l’abbattimento del vallo antifascista di Berlino e la fine del campo socialista, cioè la vittoria della controrivoluzione.
Orbene, questa particolare situazione, in cui il vecchio sta morendo ma il nuovo non è nemmeno in gestazione per assenza di antagonismo politico organizzato e diretto da finalità rivoluzionarie, dà luogo al fenomeno della “putrefazione dei processi storici”, di cui la fascistizzazione delle relazioni sociali è il frutto. La ricognizione finora svolta ha quindi permesso di porre in luce due elementi, la crisi strutturale del capitalismo e l’assenza di antagonismo organizzato, l’uno dei quali è convergente e l’altro è radicalmente divergente rispetto alla congiuntura storica che produsse storicamente il fascismo. Da ciò si ricava una prima conclusione: l’unica minaccia immediata che incombe sul capitalismo contemporaneo sono i suoi stessi limiti strutturali e le conseguenze che il loro manifestarsi comporta. Un fenomeno di acuta reazione, nella metropoli imperialista del nostro tempo, necessariamente erediterà la lezione del fascismo storico, ma non la riprodurrà, quanto meno nei suoi aspetti apertamente dittatoriali, se non in presenza di una soggettività politica capace di minacciare il dominio della borghesia monopolista.
D’altra parte, casi quali quello dell'Ungheria di Orbán, della Polonia, dei paesi baltici e dell’Ucraina dimostrano come il tipo di potere autoritario che serve oggi al capitalismo non abbia bisogno di mettere in discussione apertamente le caratteristiche esteriori della democrazia liberale, ad esempio il multipartitismo. È opportuno, inoltre, sottolineare che il fenomeno della fascistizzazione non si realizzerà, nella metropoli imperialista contemporanea, se non entro i confini dettati dalle compatibilità tra i regimi politici nazionali e il controllo economico e burocratico da parte delle istituzioni sovrannazionali e, in buona sostanza, dei vertici della piramide imperialista. Permanendo l’assenza di antagonismo politico e sociale soggettivamente organizzato, la borghesia è dunque libera di perseguire i propri interessi di classe dominante e di fornire alla crisi economica la propria risposta, che nella presente fase storica si identifica con la svalorizzazione delle forze produttive e l’accelerazione dei processi di concentrazione e/o centralizzazione del capitale.
Sennonché una conoscenza più adeguata del fenomeno della fascistizzazione della società italiana richiede che esso venga situato all’interno di quello spazio più ampio e di quel tempo più lungo che, all’inizio di questo articolo, è stato individuato come ‘ciclo politico reazionario’. La Brexit, l’elezione di Trump, la questione migratoria, prima ancora le guerre imperialiste contro i regimi progressisti della Libia e della Siria e le ‘dittature commissarie’ imposte all’Italia e alla Grecia sono stati gli eventi che hanno gettato la luce su una tendenza più articolata che include, tra i casi più rilevanti, la crescita delle forze neofasciste in tutta Europa, la restaurazione autoritaria in molti paesi sudamericani, lo spostamento a destra dell’India e dei paesi dell’Europa dell’Est. Un siffatto ciclo politico è, al contempo, l’effetto della “crisi organica di egemonia” delle classi dominanti e della stessa ideologia liberale. Esso si è configurato via via come reazione generalizzata all’erompere dei movimenti di massa contro le politiche di austerità negli anni centrali della crisi economica. A partire da questi eventi, il nazionalismo, declinato sempre più in chiave gingoista, si è presentato, da un lato, come una scelta, entro certi limiti, vantaggiosa per le classi dirigenti e, dall’altro, come uno strumento di rivendicazione immediata nella sempre più ristretta panoplia delle classi subalterne.
Da questo punto di vista, è opportuno ed illuminante aggiungere che la fascistizzazione si configura anche come il contraccolpo generato da un altro processo: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata. Non per nulla, dalla Thatcher in poi, in Europa la diffusione del neoliberismo è stata declinata come un grande progetto volto ad estendere a tutte le classi sociali l’accesso alla proprietà privata e a tutti gli àmbiti della vita la logica patrimoniale: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata è stata quindi, nel contempo, un mezzo potente per imborghesire il corpo sociale e una strategia con cui i neoliberisti hanno compensato la progressiva distruzione di un’altra forma di proprietà – quella sociale – incarnata, in qualche misura, dai moderni sistemi di ‘welfare’.
Questa particolare angolazione analitica permette di radiografare meglio quel vasto settore della composizione sociale della fascistizzazione, il cui protagonista non è affatto l’‘escluso’ o il ‘penultimo’, bensì una sorta di ‘sotto-borghesia’ costituita da quei ceti che si sono arricchiti negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso grazie al cosiddetto “capitalismo molecolare” e sono poi rimasti esclusi dalla nuova accumulazione di ricchezza seguita alla crisi del 2007. In Italia, per citare un caso paradigmatico, le modificazioni che hanno contrassegnato la funzione e il ruolo della Lega sono state rispecchiate dai mutamenti intervenuti nel suo discorso politico e sociale con una tale fedeltà e simultaneità che si possono, da questo punto di vista, considerare esemplari.
Così, sotto questo profilo, diventa intelligibile il crescente consenso che l’ideologia reazionaria è andata riscuotendo presso i gruppi sociali più poveri, esclusi dalla politica di diffusione della proprietà: consenso che ha dato luogo, per dirla con Gramsci, alla formazione di un “blocco storico” specifico. Il fenomeno testé evocato – rappresentato dalla ‘sotto-borghesia’ e dal lato reazionario della proletarizzazione dei ceti medi – dimostra quindi che è sbagliato, in primo luogo, sottovalutare l’intensità raggiunta dalla crisi di egemonia delle classi dominanti e dalla crescita correlativa del loro “sovversivismo” (cfr. sempre Gramsci), e, in secondo luogo, disconoscere la radicalità delle strategie che le classi dominanti sono disposte ad adottare per tentare di porvi un qualche argine.
Nondimeno, occorre precisare, sempre sotto questo profilo, che la questione qui evocata riguarda solo lateralmente un fenomeno politico come Salvini, poiché il problema principale è quello concernente la dislocazione dei soggetti di tradizione liberale e socialdemocratica. A tale proposito, va detto senza ambagi che una parte significativa dei gruppi dirigenti e dei maggiori gruppi editoriali del nostro paese non rifugge affatto dall’idea di fare ricorso a misure più o meno controllate di ‘guerra civile’ pur di superare la ‘crisi di legittimità’ a cui è esposta. Questa disponibilità non nasce semplicemente dall’esigenza di sintonizzarsi con quello che è considerato come un “senso comune popolare”, né da un mero calcolo di natura elettoralistica. Quello che si delinea è infatti un progetto complessivo di ristrutturazione dei rapporti sociali in senso sempre più autoritario e sempre più repressivo.
5. Quale strategia per il proletariato?
L’assunto da cui occorre prendere le mosse per rispondere correttamente alla domanda che dà il titolo a questo paragrafo è che le classi lavoratrici sono l’unico strato sociale che abbia un interesse diretto alla salvaguardia della capacità del paese di produrre ricchezza. Questa realtà, chiaramente confermata dall’esperienza italiana della lotta di liberazione contro il nazifascismo e, segnatamente, dalla difesa armata delle fabbriche ad opera degli operai contro l’invasore tedesco, deve essere ovviamente occultata e rimossa per consentire al processo di concentrazione del capitale di tramutarsi in guerra economica perdurante per la svalorizzazione delle forze produttive nei paesi subalterni.
Al contrario, l’immaginazione politica dovrebbe ripartire proprio da qui per tendere a rompere la paranoia proprietaria: dalla memoria storica e dall’attualità socio-politica delle forme di appropriazione collettiva dei beni.
Del resto, se il fascismo è il rovescio della soppressione sistematica delle alternative di vita, non ci sono fronti popolari, democratici o costituzionali che reggano, né l’antifascismo militante può da solo invertire la rotta: vi è, invece, il bisogno di politicizzare la vita e di rilanciare l’idea del socialismo se si intende lottare per davvero contro la Santa Alleanza del potere e del denaro.
Insomma, si tratta di capire che tra la democrazia liberale e il fascismo si interpone un lungo e articolato processo – la ‘post-democrazia’ - attraverso il quale l’estrema destra e le sue idee si socializzano gradualmente e diventano non solo ‘quasi-normali’, ma anche ‘quasi-normative’. Il fascismo può quindi apparire come un’opzione accettabile con cui talune frazioni dell’apparato statale stabiliscono apertamente i loro collegamenti. Non mancano, da questo punto di vista, le prove che talune idee fasciste stanno già circolando da tempo in strutture come la polizia o l’esercito. E se non è difficile immaginare che tali strutture possano fungere da supporto per passare all’offensiva quando la situazione sarà ritenuta matura dalle classi dominanti, non bisogna mai dimenticare che la transizione al fascismo è il risultato di un lungo processo. Siccome questo processo è in corso da diversi anni, ecco perché si deve parlare della fascistizzazione prima di parlare del fascismo. Naturalmente, tale processo, che non è ineluttabile e può essere contrastato e invertito, inizia ben prima del fascismo. Va da sé che quest’ultimo può pienamente affermarsi solo quando viene meno la mobilitazione rivoluzionaria delle masse nella lotta contro la fascistizzazione e nella lotta per il socialismo. Da qui scaturisce l’importanza di non minimizzare questo processo, dando per scontato che si tratti di una breve fase transitoria.
In realtà, i partiti politici tradizionali di orientamento liberale o socialdemocratico sono impotenti di fronte all’ascesa del fascismo e non riescono in alcun modo a fermare questo processo, di cui essi, tra le altre cose, sono la causa più o meno involontaria. Solo le classi lavoratrici sono in grado di contrastare e invertire il processo di fascistizzazione. Non si tratta, come dovrebbe esser chiaro, di deificare la classe operaia, ma di prendere atto, sul piano storico, che laddove il fascismo è stato sconfitto, la classe operaia era più attiva, più unita e più organizzata.
Oggi, a differenza del passato, esistono le condizioni per ridare alla classe quel partito, quella teoria e quell’ideologia senza i quali il proletariato ha le armi spuntate. Oggi, a differenza del passato, esistono almeno le condizioni ‘negative’ per non ricercare quelle scorciatoie opportuniste che hanno determinato la dissoluzione del movimento comunista in Italia.
Un partito comunista degno di questo nome deve dunque adoperarsi per la più vasta unità dei comunisti, ma sulla base di una linea rivoluzionaria e ideologicamente coerente. Un partito comunista degno di questo nome deve adoperarsi per lo sviluppo di iniziative politiche di approfondimento, dibattito e studio sulle principali questioni strategiche che sono oggi in discussione, senza disgiungere queste iniziative dalla partecipazione alle lotte reali che si svolgono nel paese. È perciò una necessità vitale, per un partito di questo tipo, la realizzazione della massima unità, sul terreno delle lotte sociali, con le forze sindacali di classe, con le organizzazioni del movimento studentesco e con i comitati di lotta, per costruire un’opposizione sociale alle politiche antipopolari del governo, per contrastare e invertire il processo di fascistizzazione, per rendere nuovamente concreta la prospettiva del socialismo.
Nello stesso tempo, con altrettanta determinazione e chiarezza un partito comunista degno di questo nome deve respingere ogni appello all’unità con il centrosinistra. La storia degli ultimi anni ha dimostrato infatti che non esistono margini per qualsiasi riforma in favore dei lavoratori e delle classi popolari, che il potere è saldamente nelle mani dei grandi gruppi finanziari e che la collaborazione di governo con forze di centrosinistra conduce solamente al tradimento dei lavoratori. L’unità con il centrosinistra non è utile a fermare la destra, e anzi la rafforza e la radicalizza, aumentandone il consenso nei settori popolari.
Occorre quindi continuare la lotta politica e ideologica per far comprendere ai lavoratori e alle classi popolari che il Partito Democratico non è un partito in favore dei lavoratori; che non è migliorabile dall’interno; che non siamo tutti dalla stessa parte e che sulle questioni decisive il PD è il partito più rappresentativo degli interessi del grande capitale. In questo senso, occorre lavorare per contrastare il tentativo del PD di accreditare una “svolta a sinistra” che non esiste e che è solamente un espediente elettoralistico per riconquistare consensi. Allo stesso tempo, occorre spiegare che l’unità con la sinistra che cambia nome e sigla ad ogni elezione, che è pronta e prona ad accordi con il PD, porta all’immobilismo e all’estinzione; che è impossibile l’unità con chi nei fatti difende l’Unione Europea e la Nato, con chi non iscrive la propria azione nella prospettiva strategica dell’abbattimento del sistema capitalistico di produzione e di scambio.
Infine, un partito comunista degno di questo nome non può che essere internazionalista, il che significa innanzitutto contribuire alla ricostruzione internazionale del movimento comunista, già da tempo positivamente avviata.
Concludendo, la congiuntura storica in cui ci troviamo conferma che, al di là del successo a breve termine che la destra può ottenere nel mobilitare le masse intorno a un programma falso e divisivo, essa è sostanzialmente incapace di riscattarle dall’attuale condizione di disoccupazione, precarietà, incertezza del futuro e disperazione. La storia insegna infatti che, sebbene vi siano momenti nella vita di una nazione in cui il sistema esistente appare stabile e destinato a sopravvivere a lungo, tutto ciò può cambiare rapidamente, lasciando il posto a momenti in cui il sistema semplicemente non può più continuare come prima. Per il capitalismo questo momento, se non è ancora giunto, sembra però avvicinarsi giorno dopo giorno. Per quanti successi possa ottenere qui o altrove, la destra non può modificare questo dato di fatto, la fascistizzazione non passerà e l’idea del socialismo è destinata a ritrovare, arricchita dalle meditate lezioni del passato e dalla meravigliosa freschezza con cui la parte migliore della gioventù la sta riscoprendo, tutta la sua credibilità e tutta la sua forza di avvenire.






































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