Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

la citta futura

La Francia, l’Argentina, il Venezuela e noi

di Renato Caputo

Nuovi scenari e nuove sfide si aprono per la sinistra di classe in Italia alla luce delle recenti elezioni in Francia, Argentina e Venezuela. È necessario comprendere i limiti e gli errori, anche inconsapevoli, che hanno portato le sinistre di queste nazioni a delle sconfitte che avranno conseguenze nefaste sui loro paesi e più in generale sugli equilibri internazionali. La tragedia ha senso solo se si conclude con la catarsi, ossia con la capacità del pubblico, attraverso la compassione e il terrore dinanzi alla sconfitta dei personaggi in cui si impersona, di non ripeterne gli errori superandone i limiti

ea3d3fde3158404e736694c1ce93ec41 LI risultati dei ballottaggi delle regionali francesi hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a molti, la destra radicale del Fronte nazionale non è riuscita a conquistare nessuna regione trovandosi dinanzi dove era più forte un fronte delle altre principali forze politiche in nome dei valori della Repubblica. La rotta della “sinistra” di governo è stata inoltre arginata in cinque macroregioni dalla ricostruzione dell’unità delle “sinistre”. In tal modo i valori repubblicani appaiono salvi, l’incubo che pareva mettere in discussione lo stesso processo di unificazione europea sembra esorcizzato. Così già prima dei ballottaggi anche in Italia si sono levate le voci dei sindaci eletti grazie all’unità delle “sinistre” che auspicano, per evitare il grave errore di una separazione fra “sinistra radicale” e “sinistra moderata”, che favorirebbe i populisti di destra, un’alleanza elettorale con il Pd. Tale soluzione è stata al momento scartata dai principali esponenti di “Sinistra italiana”, in quanto resa impraticabile dalla volontà di Renzi di rompere i ponti alla sua sinistra, per costruire con forze di destra il Partito della nazione. Ciò non toglie che, a loro avviso, quandunque e ovunque prevalga invece lo spirito del centro-sinistra sia necessario sfruttare l’occasione per rilanciare la prospettiva ulivista. A tale scopo vi sarebbe bisogno di costruire una “sinistra di governo”, che favorisca la ricostruzione dell’alleanza con la sinistra moderata e il centro democratico per sconfiggere anche in Italia i populismi.

Print Friendly, PDF & Email

radicamenti

Terrorismo e guerra: conflitto di civiltà o strategia imperiale del caos?

di Lorenzo Dorato

isis army 700x430E' ormai trascorso quasi un mese dagli attentati di Parigi! La distanza temporale consente di osservare con maggior lucidità i fatti e il contesto politico che li circonda.

La forza dell'evento è stata con tutta evidenza enorme, sia per la sua estrema brutalità oggettiva, sia per la gigantesca enfasi mediatica dedicata cui si accompagna l'alto livello di allerta esasperato in queste settimane dalle autorità politiche di molti paesi europei.

A ciò si è aggiunta la concatenazione convulsa e contraddittoria di reazioni internazionali e più di recente il cruento episodio della strage di San Bernardino in California dai contorni ancora assai poco chiari.

Uno scenario confuso che lascia spiazzati e rivela il caos politico internazionale in cui da ormai molti anni siamo immersi.

In questi giorni è stato possibile misurare il tenore delle reazioni espresse dal governo francese e dai governi dei vari paesi europei e di tutto il mondo. Lo scenario internazionale che si sta delineando è decisamente fosco e vede simultaneamente apparenti azioni concertate da parte di un’immaginaria e retorica alleanza internazionale anti-terrorismo e la realtà di una guerra più o meno silente tra potenze giocata a colpi di provocazioni (la più clamorosa delle quali è stata sicuramente l’abbattimento dell’aereo russo da parte della contraerea turca).

Print Friendly, PDF & Email

la citta futura

Ttip e Tppa: accerchiare la Cina

di Maurizio Brignoli

Viaggio nella crisi. Parte VIII. Uno scenario importante dello scontro interimperialistico in atto si sta in questo momento giocando nella realizzazione di alcuni grandi trattati sovranazionali in cui la strategia statunitense punta a realizzare l’accerchiamento della Cina, la subordinazione dell’Ue e l’isolamento della Russia, con tutta una serie di conseguenze nel processo di ulteriore subordinazione della classe lavoratrice in tutto il mondo

1e05225eed30502e1f4540fba2cfd9c6 LAccordi di libero scambio, barriere non tariffarie e Isds

Lo scontro interimperialistico fra i principali attori (Usa, Ue, Cina, Russia) si va sempre più delineando attraverso un processo di potenziale “concentrazione imperialistica” attorno ad alcune aree imperialistiche sovranazionali. Scontro a livello transnazionale con un grande processo di ricollocazione della divisione internazionale del lavoro. Le trattative relative al Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) e al Trans-Pacific partnership agreement (Tppa) sono espressione rilevante di questo scontro. Per comprenderne la reale portata e gli obiettivi questi accordi vanno collocati all’interno della strategia statunitense di scontro con la Cina. 

Il Ttip ha come obiettivo di realizzare l’unione di due delle economie più ricche al mondo e delle rispettive aree valutarie, quella del dollaro e quella, maggiormente in difficoltà, legata all’euro. Le consultazioni Usa-Ue sono iniziate più di due anni fa, ma lo scontro interimperialistico all’interno dello stesso Ttip è forte, nonostante gli Usa abbiano cercato di sfruttare il momento di debolezza dell’Ue per la realizzazione di un progetto che torna soprattutto a loro vantaggio. Le trattative sono segrete e condotte dai funzionari della Commissione europea e da quelli del Ministero del commercio statunitense con le lobby delle grandi multinazionali. 

Gli obiettivi finali del Ttip (e dello speculare Tppa) sono riassumibili fondamentalmente in tre punti principali: 

Print Friendly, PDF & Email
linterferenza

L’Europa e le terre bruciate

Michele G. Basso

usa middle eartSi parla, spesso a sproposito, di liberismo, mentre è in corso la più complessa operazione protezionistica di tutti i tempi. Gli Stati Uniti, autonominatisi protettori del libero commercio, in realtà hanno quasi sempre mantenuto tariffe doganali altissime e le hanno abbassate quando l’Europa era in macerie per la seconda guerra mondiale. Se nel 1945 avevano l’assoluto predominio militare, finanziario, industriale, hanno visto eroso questo vantaggio, e cercano di conservare la supremazia con ogni mezzo, sabotando rivali attuali o futuri. Non c’è, nella classe dirigente statunitense, distinzione tra falchi e colombe, perché – a parte differenze di linguaggio, più diplomatico in Obama e nella sua fazione – lo scopo è sempre l’egemonia USA. Anzi, troviamo frammenti di verità nei discorsi dei “cinici”, come Brzezinski o Luttwak, piuttosto che nelle suadenti espressioni dei presunti pacificatori.

Era chiaro, per chi non ha mai creduto a Obama, che il “pivot to China” era una formula propagandistica. Altrimenti, come spiegare questa notizia di “Il Sole 24 Ore?

“Il Fondo monetario ha approvato oggi l’inclusione dello yuan, la moneta cinese, nel paniere delle valute di riserva. La decisione è stata presa dal consiglio esecutivo, che riunisce i rappresentanti dei Paesi membri dell’istituzione di Washington, e ha aggiunto lo yuan a dollaro, euro, yen e sterlina come componente dei diritti speciali di prelievo, la valuta di riserva dello stesso Fmi.”... “…l’inserimento dello yuan nei dsp ha alcune importanti conseguenze pratiche: dovrebbe infatti produrre un graduale flusso di fondi sullo yuan da parte delle banche centrali, dei fondi sovrani e delle altre istituzioni multilaterali, flusso che in parte è già cominciato (una settantina di banche centrali hanno investito parte delle loro riserve ufficiali in yuan). La sola riallocazione di un 1% delle riserve internazionali sullo yuan significherebbe un flusso di 80 miliardi di dollari l’anno”.(1)

Se gli USA fossero stati contrari, la Cina sarebbe ancora in attesa.

Print Friendly, PDF & Email
militant

La Siria, lo Stato Islamico e la “guerra all’Europa”/prima parte

di Militant

le radici del disordine mediorientaleSubito dopo gli attacchi del 13 novembre abbiamo pensato di prenderci un po’ di tempo per provare a scrivere qualcosa di più “ragionato” su quello che era accaduto a Parigi. Man mano che buttavamo giù gli appunti ci siamo accorti, però, che era impossibile provare a smontare il meccanismo bellico che si era attivato senza provare a spiegare la funzione di “mostro provvidenziale” che svolge oggi lo Stato Islamico in medioriente. Però non si possono comprendere le peculiarità del Califfato senza tener conto della guerra siriana, semplicemente perchè senza il conflitto in Siria l’IS non esisterebbe. E a sua volta non si possono individuare le ragioni profonde della guerra che dal 2011 ha mietuto più di 200 mila morti, senza aver chiare le mire e le ambizioni di potenze regionali e globali che in quella guerra giocano un ruolo decisivo. E poi c’è anche il fallimento dei processi di decolonizzazione, la globalizzazione liberista, la crisi… insomma quello che doveva essere un post è diventato una cosa troppo lunga per essere proposto tutto in una volta. Per cui abbiamo deciso di pubblicarlo a puntate e farlo diventare, alla fine del percorso, un “documentino” scaricabile che (speriamo) possa aiutare a contestualizzare i fatti.

***

I. Le radici del disordine mediorientale

Nello spiegare un evento passato o presente le argomentazioni addotte dai media non seguono mai un filo logico o una ricostruzione fedele di quanto accaduto, ma preferiscono fornire versioni che fanno sempre più leva sull’emotività degli spettatori, seguendo lo schema di quello che Losurdo, in un suo recente lavoro, definisce giustamente “il terrorismo multimediale dell’indignazione”. L’opinione pubblica viene “bombardata” (nemmeno troppo metaforicamente) di immagini e informazioni che non forniscono alcun apporto nella comprensione dei fatti e il cui unico scopo risulta essere quello di incanalare questa indignazione nei confronti del nemico di turno, innalzato per l’occasione al rango di “male assoluto”.

Print Friendly, PDF & Email
peacelink

Un mese dopo gli attentati a Parigi...

Il silenzio perdura

Patrick Boylan

21045 a42468Ieri, ad un mese dagli attentati a Parigi, l'elettorato francese ha punito il governo Hollande per le falle nella sicurezza nazionale – ma solo relativamente. Ha concesso il 27% dei voti alla destra securitaria di Marie Le Pen alla prima tornata (un record), ma non abbastanza voti alla seconda per vincere in nessuna delle 12 regioni in ballo. Il partito di Hollande ha vinto in cinque, quello di Sarkozy in sette.

Eppure il tandem Sarkozy/Hollande è direttamente responsabile per le orrendi uccisioni compiute al Club Bataclan e in altri quattro luoghi a Parigi il 13 novembre 2015.

Infatti, i due Presidenti francesi, insieme agli USA, alla Turchia e ai paesi del Golfo, hanno creato e armato i jihadisti operanti prima in Libia e poi in Siria, i quali poi hanno addestrato e foraggiato gli attentatori di Parigi. Non solo, ma hanno importato in Libia e in Siria questi loro orrendi mercenari per rovesciare con la violenza i governi dei due paesi, seviziando o tagliando la testa a chiunque – militare o civile – sostenesse Gheddafi o Assad. Il che vuol dire gran parte della popolazione: infatti, malgrado quanto asseriscono i mass media occidentali, nel 2011 gli anti-Gheddafi risultavano maggioritari solo nelle piazze delle grandi città; e oggi gli anti-Assad non sono più maggioritari nemmeno lì.

Le azioni di Sarkozy e di Hollande, dunque, sono un crimine secondo tutte le norme internazionali. Non si coltivano la democrazia e il rispetto per i diritti umani in una società giudicata oppressa, importando tagliagole e fomentando la guerra.

Print Friendly, PDF & Email
la citta futura

Compiti dello Stato nella fase transnazionale

di Maurizio Brignoli

La creazione delle grandi istituzioni sovranazionali del capitale si può far partire dalla fondazione nel 1944 del Fmi e della Bm espressione di quel processo di perdita progressiva di una parte della sovranità degli stati

82dbf6cae1772ebce3f61a4b34447ba4 LFinita la seconda guerra mondiale, quindi nella fase multinazionale, lo stato (del capitale) non svolge più un intervento diretto, attraverso la partecipazione alla proprietà e alla produzione industriale, per realizzare la socializzazione delle perdite come nella precedente fase di crisi, ma non per questo riduce la sua attività economica che ora è indirizzata a un aumento della spesa collegato al processo di accumulazione del capitale e funzionale al processo di produzione e circolazione del plusvalore. Attraverso il finanziamento della ricerca scientifica e tramite l’istruzione pubblica, che fornisce forza-lavoro sempre più qualificata, lo stato favorisce le premesse per la realizzazione di forme sempre più intensive di lavoro. Lo stato sviluppa poi il welfare che non trasforma certo lo stato in un organismo neutrale nella lotta di classe, ma ha lo scopo di creare un moderno neocorporativismo.

Nella fase transnazionale il rapporto di esclusività fra capitale nazionale e stato è superato. Compito dello Stato diventa quello di svolgere un’opera di mediazione fra i diversi capitali in lotta, appoggiare il capitale finanziario dominante che opera sul suo territorio e porre in atto le direttive che vengono da Fmi e Bm. Terminata la fase espansiva e iniziata l’ultima crisi muta anche il ruolo dello stato borghese che non deve più utilizzare gli strumenti “keynesiani” e il mantenimento del welfare per moderare il conflitto di classe (pratica del resto non più perseguibile data la fine della fase espansiva).

Print Friendly, PDF & Email
militant

I limiti di un processo politico antimperialista

Riflessioni sulla sconfitta elettorale in Venezuela

di Militant

venezuela 4La vittoria delle destre golpiste in Venezuela è un problema che riguarda soprattutto la sinistra latinoamericana, ma offre diversi spunti di riflessione anche per ragionare sui limiti della sinistra in quanto tale, per sinistra intendendo qui ovviamente quella di classe e non le propaggini liberiste oggi al potere in Italia e nel resto d’Europa. Insomma il (grandioso) processo bolivariano antimperialista soffriva di limiti politici già evidenti prima della sconfitta elettorale, dei limiti che niente hanno a che fare con le critiche che le sinistre “euroimperiali” muovevano ad esso, ma su cui pure toccherà ragionare per il futuro e in vista della riconquista del potere in Venezuela. L’unica premessa a tale discorso è che noi, come sinistra europea, niente possiamo insegnare a quella latinoamericana oggi al potere, e anzi avremmo dovuto in questi anni umilmente prendere esempio di un processo popolare, partecipato e di classe capace di partire dalle masse diseredate delle periferie metropolitane e dalle campagne contadine per giungere al governo e da lì incrinare l’egemonia imperialista nella regione. Se pure delle criticità sono presenti e vanno giustamente evidenziate, quello che invece non va fatto è spiegare “come si fa” a una sinistra che in un ventennio ha guidato un intero continente, nella sua veste socialdemocratica o più schiettamente socialista (ad eccezione della Colombia terrorista).  

La sinistra bolivariana è stata sconfitta elettoralmente, e proprio il dato elettorale rappresenta la principale contraddizione interna ad un processo rivoluzionario.

Print Friendly, PDF & Email
la citta futura

La fase superiore dell’imperialismo

Dalla fase multinazionale a quella transnazionale

di Maurizio Brignoli

Le mutazioni strutturali che caratterizzano il passaggio dalla fase multinazionale a quella transnazionale dell’imperialismo, insieme all’ultima crisi di sovrapproduzione, hanno comportato una modificazione dei processi produttivi volta a scardinare la resistenza di classe, la trasformazione dello stato nazionale e la sua subordinazione agli organi sovranazionali del capitale transnazionale e un riacutizzarsi dello scontro interimperialistico

imperialismo12Il passaggio all’attuale fase transnazionale dell’imperialismo, che incomincia agli inizi degli anni ‘70 con l’esplosione dell’ultima crisi di sovrapproduzione, è caratterizzata da importanti trasformazioni strutturali rispetto a quella precedente. La fase multinazionale (1945-1971) si distingue per la realizzazione di forme di integrazione sovranazionale del capitale monopolistico finanziario (Fmi, Bm, Gatt), capaci di garantire stabilità nella lotta fra i concorrenti e di subordinare le istituzionali nazionali rendendo il capitale finanziario autonomo dalle economie nazionali. Direzione e proprietà del capitale multinazionale sono in una nazione, ma gli investimenti sono fatti in molti paesi differenti. Il capitale statunitense impone la sua forza sul mercato mondiale grazie agli investimenti diretti all’estero (ide) delle sue multinazionali e domina, attraverso i suddetti organismi sovranazionali, la comunità finanziaria internazionale, mentre la ricostruzione post-bellica gli garantisce un’egemonia sul mercato mondiale.

La forma multinazionale permette al capitale produttivo, attraverso anche un controllo finanziario centralizzato, di superare i limiti del mercato nazionale tramite un’integrazione delle fasi produttive, di circolazione e di realizzazione del plusvalore; è così possibile una localizzazione più adeguata degli impianti e il superamento della frammentazione della produzione mondiale. La ristrutturazione del sistema capitalistico basata su un’integrazione del mercato mondiale, determina il grande sviluppo dell’economia mondiale (fra il 1948 e il 1971 la produzione annua mondiale mantiene una crescita media del 5,6%), siamo in quella che Eric Hobsbawm chiama “età dell’oro” del capitalismo. Grazie a questa fase espansiva di accumulazione del capitale è possibile realizzare, tramite i sistemi di welfare state, una strategia che punta a integrare il proletariato cercando di favorire un compromesso fra le classi.

Print Friendly, PDF & Email
illatocattivo

Punk Islam

Dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre

Il lato cattivo

«Homo sum, humani nihil a me alienum puto»1

218Il «minimo sindacale» e... il resto

Difficile, in queste ore, sfuggire alle banalità e alle petizioni di principio. Molte cose, dal giorno degli attentati di Parigi del 13 novembre, sono state dette e scritte. Per fortuna non sono mancati coloro che, con parole forti, sisono sollevati contro l'asfissiante cantilena del clash of civilisations. E non solo fra i «radicali». Con buona pace tanto di Hollande che di Al-Baghdādī, nessuno scontro fra civiltà eterogenee e irriducibili l'una all'altra è in corso, ma nient'altro che uno scontro intestino, che mostra una volta di più la plasticità di un modo di produzione – quello capitalistico – che sebbene trovi nella democrazia parlamentare la sua traduzione politica più adeguata, è capace di adagiarsi, almeno in via contingente, su quasi tutte le forme di governo, di organizzazione politica e di ideologia, masticando, digerendo e rimettendo in circolazione ogni tipo di materiale o sedimentazione storico-sociali. La brutalità dello Stato Islamico (Daesh) è il segreto il Pulcinella di tutte le avanguardie della nostra «grandiosa, non commestibile civiltà» (Bordiga), di cui esso mette in spettacolo un buon compendio fatto di scheletri nell'armadio: fa cadere le teste sulla pubblica piazza come il Terrore giacobino del 1794; distrugge monumenti storico-artistici come la Gran Bretagna, nel febbraio 1945, devastò Dresda2, capitale del barocco mitteleuropeo; cerca di piegare nemici e detrattori colpendo sul loro suolo patrio la popolazione civile (gli esempi analoghi sarebbero infiniti, ma per farne uno poco citato, si pensi ai numerosi attentati realizzati dall'Irgun Zvai Leumi3).

Print Friendly, PDF & Email
federicodezzani

Pecunia nervus belli: il tramonto del’ISIS senza più petrolio

di Federico Dezzani

caccia russi 300x225“Il denaro è il nervo della guerra” diceva Cicerone, aforisma da accompagnare con “la guerre nourrit la guerre”: le risorse conquistate nella campagna militare alimentano la macchina bellica che si autofinanzia costantemente. È ormai chiaro che fosse questa la strategia alla base del Califfato: i proventi del petrolio immesso illegalmente sul mercato internazionale erano reinvestiti nella “jihad” dell’ISIS, coll’obbiettivo di destabilizzare Siria ed Iraq. I bombardamenti russi, fermando il contrabbando di greggio, minano l’intero progetto: ne segue la corsa di Washington ed alleati in Medio Oriente prima che il conflitto si chiuda con una strategica vittoria russo-iraniana. Il rilancio è pressoché sicuro.

***

Negare sempre e comunque

La reazione americana alle prove sui traffici di petrolio tra Turchia e Califfato ricorda quella del marito colto in flagrante con un’avvenente amante: negare sempre e comunque, anche l’evidenza. L’ingrato compito di smentire l’inconfutabile 1 è toccato al colonnello Steve Warren, portavoce a Baghdad dell’operazione Inherent Resolve formalmente impegnata nei bombardamenti contro l’ISIS:

“Let me be very clear that we flatly reject any notion that the Turks are somehow working with ISIL. That is preposterous and kind of ridiculous. We absolutely, flatly reject that notion.The Turks have been great partner to us in the fight against ISIL. They are hosting our aircraft, they are conducting strikes, they are supporting the moderate Syrian opposition. They’ve been good partners here. Any thought that the Turks, that the Turkish government is somehow working with ISIL is just preposterous and completely untrue.”

Assurda e ridicola: così il portavoce statunitense definisce l’accusa che i Turchi contrabbandassero petrolio con l’ISIS, lucrando sulle sventure dei vicini e alimentando la destabilizzazione della regione.

Print Friendly, PDF & Email
pandora

Lo Stato Islamico e la globalizzazione neoliberista

di Alessio Aringoli

flagLo scopo di questo articolo è principalmente quello di mettere in discussione alcuni luoghi comuni concettuali, molto presenti nel dibattito sullo Stato Islamico (che, d’ora in poi, nomineremo Isis – Islamic State of Iraq and Syria, perché con questo sigla è più conosciuto, sebbene la stessa sigla inglese più corretta, da più di un anno, sarebbe semplicemente Is – Islamic State) in particolare in riferimento al rapporto tra l’Isis e l’Islam e a una corretta valutazione della natura storica e della forza geopolitica dell’Isis.

 

1. L’Islam non è l’Isis. Questa affermazione non si fonda solo sulla, pur rilevante, constatazione empirica che solo una minoranza degli islamici aderisce alla versione wahabita-salafita dell’Islam e una ancora più minuscola minoranza degli islamici riconosce Al Baghdadi quale legittimo Califfo. Ci sono almeno tre fondamenti rilevanti e che non possono essere ignorati:

A) La corrente wahabita-salafita è molto recente nella storia islamica. Il wahabismo-salafismo si propone quale ipotesi di “riforma” dell’Islam nel senso di una sua “purificazione”, in primo luogo dagli influssi occidentali, ma in generale da tutte le strutture ermeneutiche che pure hanno una lunga tradizione nella civiltà islamica. Il punto più rilevante della teologia wahabita-salafita è la centralità della concezione (presente anche in molte altri correnti dell’Islam) secondo cui il Corano sarebbe “increato”, ovvero non sarebbe stato creato da Allah, ma sarebbe co-originario ad Allah stesso. Assegnare a questa concezione una assoluta e radicale centralità ha condotto e conduce a condannare qualsiasi attività ermeneutico-interpretativa. Naturalmente l’operazione ha una valenza ideologica, poiché nei fatti i wahabiti-salafiti propongono una precisa interpretazione del Corano e della tradizione islamica, che tuttavia presentano come non questionabile, in virtù della suddetta non interpretabilità del Corano.

Print Friendly, PDF & Email
linterferenza

La guerra in casa

Toccherà anche a noi, se non ci opponiamo al militarismo

Michele G. Basso

Un monarca prussiano del 18° secolo disse, ed era una cosa molto intelligente: “Se i nostri soldati capissero perché ci battiamo, non si potrebbe più fare una sola guerra.”
(Lenin, “Successi e difficoltà del potere sovietico”)

3a wwQuando, nel 1991, l’Italia prese parte alla guerra del Golfo, sotto la guida di Bush padre, scendemmo in piazza, a protestare davanti alle prefetture, infischiandoci dei permessi, ridendo dei pochi minuti di sciopero proclamati dalla CGIL. Ufficialmente, anche il PCI –PDS (Cambiava nome in quei giorni) si disse contrario, con l’eccezione della corrente migliorista – in cui spiccava il “comunista” preferito da Kissinger, Giorgio Napolitano – ma si guardò bene dallo sviluppare un’agitazione di massa. Un cacciabombardiere italiano fu abbattuto, i due militari, Bellini e Cocciolone, furono catturati. Cocciolone fu mostrato in TV, piuttosto malconcio. Qualche giorno dopo, in molti muri delle nostre città, fu affisso il suo ritratto, con la scritta: “ Mamma, ho perso l’aereo”.

Oggi non c’è una vera reazione visibile al militarismo, a parte gruppi relativamente ristretti. Questo anche perché le operazioni militari spesso vengono nascoste dai media. Giornali e TV, quando parlano della guerra in Libia del 2011, dicono che fu un errore, e accusano Francia e Gran Bretagna, come se Italia e Stati Uniti non vi avessero partecipato. Questo è possibile perché vi fu una pesante cortina di omertà sui bombardamenti italiani, presentati al pubblico tv dal ministro La Russa come operazioni di ricognizione. L’Italia fu mostrata come una verginella, che non vedeva l’ora di sostituire al bruto Gheddafi dei sinceri democratici.

Rarissime le notizie sull’attività del contingente italiano in Afghanistan, ancor meno sui nostri istruttori in Iraq.

Come capire il presente, nonostante la crescente mistificazione? C’è un’immensa esperienza del passato sulle guerre. Molti, persino nell’estrema sinistra, non ne tengono conto, perché -pensano – le nuove tecniche militari avrebbero cambiato la natura della guerra.

Print Friendly, PDF & Email
infoaut2

Migranti, Turchia e UE: il Bataclan è già lontano…

Infoaut

profughi2Nei giorni scorsi si è svolto l’atteso Summit europeo sulla questione migrazioni, con la Turchia di Erdogan invitato speciale a poche ore dall’assassinio di Tahir Elci, presidente del Foro di Diyarbakir (capitale di fatto del Kurdistan turco), per le strade del quartiere di Sur e dell’abbattimento di un Jet russo durante un’operazione militare avviata nel quadro della nuova “alleanza” sul terreno tra Russia e Francia. Il Bataclan è già lontano. Al Summit i primi ministri dei paesi UE, Valls in testa, hanno accolto con affettatissimo imbarazzo un partner prezioso e necessario per fermare il flusso migratorio che interessa l’Europa con nuova intensità a partire da quest’estate, in particolare attraverso la rotta che dall’Iraq e dalla Siria, colpite dalle violenze dello Stato Islamico e dei rispettivi governi, passa per la Turchia, la Grecia e quindi i Balcani, fino a puntare su Germania, Scandinavia e Inghilterra.

Mentre si bombarda Raqqa per “vendicare” le vittime di Parigi, si chiede alla Turchia di impedire alle vittime degli islamisti a Raqqa (o a Mosul, o a Singal) di mettersi in salvo dalle persecuzioni dello stesso Is (o da eventuali “danni collaterali” dei bombardamenti…). Le vittime europee vanno vendicate, sia pur con operazioni aeree che molto sanno di propaganda, mentre quelle orientali vanno chiuse entro i confini dei propri massacri o della propria oppressione. Già, perché l’eventuale “chiusura dei rubinetti” delle migrazioni, da parte della Turchia, non coinciderà certo con la disponibilità turca a tenere milioni di profughi entro i suoi confini, ma sarà la probabile premessa per un giro di vite anche rispetto agli ingressi in Turchia (dove la popolazione, come in Europa, non fa certo i salti di gioia rispetto all’arrivo di milioni di richiedenti asilo).

Print Friendly, PDF & Email
inchiesta

Libertà, fraternità, uguaglianza

Quello che resta di due secoli di dominio europeo

Bruno Amoroso

templariOrmai è troppo tardi per salvare il salvabile. In realtà non c’è più nulla da salvare. Gli argomenti forti dell’Occidente fino a ieri erano che i vincitori hanno sempre ragione, e quindi è meglio stare dalla loro parte e ricavarne qualche dividendo, anche se a spese degli altri. Ragionamento pratico che si contrabbandava con argomenti culturali, sempre ben retribuiti o gratificati, come se gli orrori dell’Occidente fossero solo errori, che noi avremmo potuto correggere o se non altro ostacolare.

Ora l’incanto si è rotto, cioè non esiste più. L’Europa di Barcellona (1995) è tornata a essere ufficialmente quel coacervo di paesi militarmente e economicamente imperialisti, in concorrenza perenne tra loro, e le raffinatezze culturali non hanno più attrazione né tra i propri cittadini né tra gli altri. La guerra e la povertà che l’Europa ha esportato nel mondo da almeno due secoli gli sono tornate in casa e i suoi lamenti ipocriti e i suoi veri dolori non fanno più impressione a nessuno.

Semmai ci rendono un po’ più eguali agli altri che le stesse tragedie vivono da sempre. E la mano è sempre la stessa. Le armi sono occidentali – chi diceva che il progresso tecnico avrebbe portato più pace, eguaglianza e meno morti? – la rapina delle ricchezze e della vita delle persone continua indisturbata da parte delle nostre multinazionali e transnazionali. Del dividendo di cui abbiamo goduto un po’ tutti ora ci arriva il conto da pagare. A mandarcelo sono le nostre élite politiche ammaestrate come quelle degli altri paesi da noi colonizzati nei “Centri di Eccellenza” di Londra e Parigi.

La cultura europea e i suoi tecnici ne sono corresponsabili. Da quanti decenni si producono armi e crimini contro l’umanità senza che i nostri scienziati e tecnici denuncino ciò all’opinione pubblica, nascondendosi dietro al paravento dell’autonomia della Scienza?