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sinistra

Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet

di Paolo Selmi

Ventesima parte.Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) PARTE X

Škola kommunizma i sindacati nel Paese dei Soviet parte 1 html 98bc8d74546bea8fm. Sindacato e partito

Penso che tutte le nostre osservazioni resteranno parola morta in una risoluzione, l’ennesima bella risoluzione, di quelle che a noi certo non mancano, se tutti gli organi del partito non si faranno finalmente una ragione del fatto che che la questione del lavoro dei sindacati, della vita dei sindacati e dei suoi successi, sia una questione di partito, ovvero se non capiranno che i sindacati non sono un’organizzazione concorrente rispetto all’organizzazione partito. In particolare, ho letto recentemente sui giornali interventi di alcuni famosi compagni, i quali scrivono che, se l’iniziativa operaia avviene nel partito, allora è una buona iniziativa; se invece essa avviene fuori dal partito, e per fuori dal partito si intende principalmente il sindacato, allora non è una buona iniziativa. Da qui, a concludere che le fila del partito si siano ingrossate eccessivamente, il passo è breve.1

È, questo del rapporto fra sindacato e partito, un argomento che Tomskij ha già toccato in precedenza, ma qui si arricchisce di dettagli nuovi, concreti, non di massimi sistemi. In certi punti, sembra di essere alle riunioni di qualche coordinamento fra associazioni o commissione comunale: c’è chi vuole mettere a tutti i costi il cappello su qualcosa, c’è chi minaccia di andarsene, c’è chi la butta sul personale, c’è chi rivanga – per l’ennesima volta – antichi e mai sopiti rancori, eccetera.

A rileggere queste righe ci si accorge di come, ahinoi, viviamo in un momento storico di regressione, dove invece di andare avanti si va indietro, grazie soprattutto a pezzi di plastica luminosi con cui ci interfacciamo tutti i giorni per “comunicare” con altri come noi, e che confondono volutamente i codici linguistici, convenzionali e non, della comunicazione e dell’invettiva, dello “sfogatoio”, della battuta al fulmicotone prodromo dello sputtanamento dell’interlocutore, declassato al ruolo di bersaglio. Pertanto, anche nei rari, pochi momenti di confronto individuale o collettivo de visu, siamo spesso incapaci di elaborare concetti in modo costruttivo, sia nell’immediato che nel lungo termine. In altre parole, rispetto ad allora oggi ci troviamo molto, ma molto peggio.

Allora, tutto sommato, si proponeva in maniera inedita un tema di dibattito dirimente per il futuro del movimento operaio che noi avremmo trascinato, per mezzo secolo e senza mai risolverlo se non provvisoriamente e in riferimento a quelle maledette “cinghie di trasmissione”: il rapporto fra partito e sindacato, ovvero fra partito e associazionismo. Tomskij si accorge che il sindacato, noi diremmo il mondo dell’associazionismo, non può essere lasciato solo dal partito. Dall’altro lato si accorge che, con pari intensità, il partito teme l’associazionismo. Una paura del tutto ingiustificata, secondo Tomskij, che non mette in discussione il principio di autorità, ma le modalità di attuazione dello stesso. Che a guidare il Paese sia il partito, è fuori discussione; guidare significa anche dare la linea all’associazionismo, specialmente quando i membri delle associazioni sono anch’essi comunisti. A essere messa in discussione è la pretesa del partito di controllare tutto. La soluzione invocata a gran voce da alcuni compagni, infatti, è sempre la stessa: la “cinghia di trasmissione” è in agguato, con la sua trasmissione meccanica e verticistica di ordini, direttive, meccanismi di potere riprodotti su scala nazionale e locale; una soluzione che, oltre a essere chiaramente contro il principio leninista di centralismo democratico, è deleteria per tutti i motivi sinora emersi. “Di cosa avete paura?” Incalza Tomskij:

Penso che organizzazioni sindacali costruite solidamente, e altrettanto solidamente legate alle masse, centralizzate nel funzionamento ma, al contempo, autonome nell’iniziativa, che godano della fiducia e autorevolezza più totali da parte dei loro iscritti, che siano dirette da comunisti, a loro volta operanti sotto la guida comune del proprio partito, costituiscano un valido sostegno, una garanzia per l’attuazione della linea comunista promossa dal partito, per l’ampliamento della propria autorevolezza, per l’estensione ulteriore della propria influenza, verso i più ampi strati di lavoratori. Questo ha a che vedere anche col lavoro dei sindacati nelle campagne. Se tutto questo è chiaro, allora si capisce anche come sia sbagliata e infondata ogni idea del tipo che i successi dei sindacati possano, in qualche modo, oscurare i successi del partito, creare negli operai prospettive sbagliate, eccetera.

I successi dei sindacati sono, in primo luogo, successi del partito comunista, esclusivamente e principalmente suoi, in quanto è il partito che ha costruito i sindacati e li ha diretti tramite i suoi iscritti, essendone pertanto anche responsabile di tutti i suoi errori come di tutte le sue conquiste. Conquiste che in così poco tempo, da quando esiste il movimento sindacale da noi, sono state enormi, gigantesche. Abbiamo avuto modo di verificare – e non una sola volta! – la lealtà (преданность) dei nostri operai al potere dei Soviet e al partito comunista, e assolutamente non c’è nessun motivo di temere alcuna opposizione e alcun rischio di crescita dell’autorità del sindacato ai danni del partito. La direzione del sindacato da parte del partito è fuori discussione, non deve (не должен) sollevare alcun dubbio e non può (не может) sollevare alcun dubbio.2

Quante volte Tomskij ritorna, nel suo intervento, su questo punto? Proviamo, davvero, a leggere fra le righe, visto che non stiamo parlando di bambini dell’asilo o zitelle acide che ripetono ogni due per tre i loro puntigli, ma di rivoluzionari con la R maiuscola, temprati da decenni di lotte e tre anni di guerra civile. Davvero doveva esistere una forte opposizione, nel partito, all’attività sindacale, una tendenza a farlo diventare, a ridurlo a quello che sarebbe diventato dopo per oltre mezzo secolo (e che è tutt’ora in Cina). Diciamolo papale papale: il sindacato “non doveva rompere i coglioni” e invece, per certi “compagni”, già li rompeva, e anche troppo, pur limitandosi a fare onestamente il suo mestiere, perché di questo stiamo parlando, di questo Tomskij sta parlando.

Tomskij che, ricordiamolo, il 22 agosto 1936 si sarebbe tolto la vita, dopo esser finito da oltre un lustro in disgrazia e, onta finale, aver letto sulla Pravda che Zinov’ev e Kamenev avevano fatto il suo nome a processo e la pubblica accusa, il procuratore generale dell’URSS Andrej Januar'evič Vyšinskij, lo aveva messo sotto inchiesta. Prima di far la fine degli altri, decise di farla finita lui.

Ma torniamo a questo Tomskij, alla sua inguaribile, tenace, ostinata fiducia nel poter cambiare realmente le cose e al proporre e attuare misure concrete per farlo, per imprimere realmente quel movimento che un sindacato comunista doveva a suo avviso assumere per condurre i suoi lavoratori a una costruzione di una società, di un modo di produzione realmente, autenticamente socialisti. Il problema non è la lealtà al partito, che è fuori discussione, e neppure il suo ruolo di guida. Lo abbiamo ripetuto a iosa. Qual’è allora il problema?

Il problema è come realizzarla, questa guida del partito. Naturalmente, non c’è nulla di nuovo sotto il sole se diciamo che occorre essere meno pedanti, agitarsi meno e, al contrario, essere più responsabili e scegliere meglio gli stessi lavoratori dei sindacati, ed educarli a una presa di coscienza sempre maggiore riguardo a una doppia responsabilità: verso il partito e verso i lavoratori non iscritti, ovvero verso chi li ha proposti a un determinato incarico e chi li ha concretamente eletti. Nessun organismo di partito deve mai dimenticarsi di questo. Se ci dimenticassimo anche solo un minuto di questa regola importantissima, avremmo da un lato il distacco del sindacalista dalle masse e, dall’altro, delle masse dal sindacato.

Se io dovessi rispondere soltanto al comitato locale (местком) o alla cellula del partito in fabbrica (комячейка), allora tutto il mio lavoro, tutti i miei pensieri sarebbero diretti a far andare tutto bene con questi organismi… e chissenefrega dei lavoratori non iscritti! Non mi hanno scelto, quindi io non devo nulla a loro! 3

Mne naplevat’ (мне наплевать), ovvero “infischiarsene” (naplevat’) + “a me” (mne); una “licenza traduttoria” su questo punto, c’è stata sì, ma in attenuazione: è peggio di chissenefrega, è un “me ne frego” vero e proprio. Sempre molto schiettamente, Tomskij prosegue nella sua disanima e mostra qual è poi la conseguenza di questa impostazione:

Il segretario della cellula comunista, il presidente del comitato di fabbrica e il direttore… un intero “fronte unito” a mantenere una certa posizione… e poi avviene uno sciopero senza che nessuno di loro sappia niente! Perché? Perché il presidente del comitato di fabbrica si è messo d’accordo col direttore, col segretario, con tutta la cellula… ma coi lavoratori non iscritti si è dimenticato di mettersi d’accordo! La questione è tutta qui.

La direzione del partito sul sindacato deve avvenire esclusivamente attraverso la frazione comunista del Consiglio centrale dei sindacati, non vi è alcun dubbio. Ma allora dobbiamo riconoscere che qualsiasi altra pretesa, qualsiasi altra forzatura del partito sui sindacati è inaccettabile, specialmente agli occhi dei lavoratori non iscritti! Il partito opera nei confronti dei sindacati tramite la frazione comunista, e solo tramite essa! Il partito non comanda, non dà ordini al sindacato: non fosse altro perché non può assumersi anche questa responsabilità e immischiarsi nel quotidiano, nel dettaglio delle questioni economiche della pratica del movimento sindacale.4

In questo passaggio è riassunto un intero quinquennio (e non solo) di dibattito. Purtroppo, come per esempio anche nel caso di pribyl’ = “profitto capitalistico” ma anche “utile” nel calcolo economico delle aziende socializzate al cento percento, i russi tendono a usare uno stesso termine in contesti diversi, senza porsi troppe questioni su eventuali fraintendimenti. Frakcija, “frazione”, è un evidente prestito linguistico e loro lo usavano tranquillamente sia per indicare la fazione/corrente più o meno informale all’interno di un partito, peraltro bandita totalmente cinque anni prima dallo stesso Lenin all’interno del PCR(b), sia per indicare il gruppo interno al direttivo centrale del sindacato direttamente collegato al partito, quest’ultimo tutt’altro che informale e instaurato e organizzato alla luce del sole.

Ora, peccato che dalle nostre parti si è sempre parlato tanto della prima accezione di frakcija, e molto poco, invece, della seconda. Riguardando direttamente il rapporto fra partito e sindacato, non possiamo glissare sull’argomento, che merita un approfondimento. Fin dalla costituzione del Soviet Centrale Panrusso delle Unioni Sindacali nel 1917, in esso operava una frazione comunista, facente capo ai bolscevichi, né più né meno di altre frazioni (menscevica, per esempio, ma non solo). A tale frazione afferivano i dirigenti comunisti del sindacato, e tale frazione a sua volta afferiva direttamente al CC del partito bolscevico. Nulla a che vedere quindi con le “frazioni” o correnti interne al partito, contro le quali nel marzo 1921 fu votata, in occasione del X Congresso del PCR(b), la famosa Risoluzione “Sull’unità del partito” (О единстве партии) che, di fatto, le abolì.

Per quanto al potere, peraltro, i numeri deponevano totalmente a sfavore dei bolscevichi: gli iscritti al sindacato nel 1917 erano, come abbiam visto, 1,7 milioni a fronte di 350 mila iscritti al partito (in totale, quindi gli iscritti al sindacato erano ancor meno). Nel 1925, nel momento in cui Tomskij prendeva la parola, gli iscritti al sindacato erano 7,74 milioni a fronte di 612 mila iscritti al partito. Il sindacato, pertanto, si configurava come la più consistente, dal punto di vista numerico, organizzazione sociale. Diciamolo pure, da questo punto di vista i dirigenti sindacali destarono in non poche occasioni alla dirigenza comunista timori nel senso radicalmente opposto, ovvero di poter arrivare a vantare nei loro confronti pretese egemoniche o anche solo indipendentistiche. In realtà, a questo ci arriveremo nella seconda parte di questo lavoro, quando vedremo il comportamento distruttivo dei vari gruppi di potere, tra cui anche il sindacato, negli ultimi cinque anni di vita del Paese dei Soviet. Allora, infatti, la disciplina di partito era più forte di qualsiasi spinta centrifuga e la “voglia di contare” da parte dei sindacati si esauriva nella pretesa, (tramite proprio la frazione comunista all’interno del sindacato… ma nel senso opposto! Dal sindacato al partito!) di assumere la guida (in cogestione - kollegial’nost’) della res economica.

Va da sé che, in questo tentativo, si distinse anche Tomskij che collezionò una reprimenda già il 17 marzo del 1920, quando il CC del Partito uscì con una risoluzione “Riguardo la violazione della disciplina di partito da parte di membri della frazione del VCSPS” (Постановления Политбюро ЦК РКП (б) в связи с нарушением партийной дисциплины членами фракции ВЦСПС)5. In particolare, “Il Politburo, nella persona dei compagni Bucharin, Lenin e Krestinskij ha discusso il 17/03/20 la questione se sia normale o no che compagni del partito, in congressi non di partito, promuovano risoluzioni che contrastino con le risoluzioni del CC del partito. Il Politburo ha deciso che, dal punto di vista della disciplina di partito, quanto accaduto è incondizionatamente sbagliato e inaccettabile6.

Per Lenin quello sarebbe stato un mese particolarmente caldo. Al IX Congresso del Partito (29 marzo – 5 aprile), infatti, sarebbero emerse ulteriori contraddizioni fra le diverse anime e correnti. E meno male che il 2 marzo soltanto aveva scritto: “Per fortuna, il tempo delle discussioni esclusivamente teoriche, delle aspre tenzoni su temi generali, della messa ai voti di risoluzioni puramente di principio, è ormai acqua passata”7...

Niente da fare: tra le cordate di ogni tipo e dimensione, ciascuna con le più svariate e colorite istanze, Tomskij e i suoi si erano allora distinti nell’esigere di piazzare i loro in tutti i consigli di amministrazione, pubblici e privati, e a ogni livello, dalla fabbrica al ministero, in nome di un imprecisato “principio di gestione collegiale dell’industria” (принцип коллегиального управления промышленностью), e in quella che Lenin definì “un’orrenda confusione di problemi teorici elementari” (страшная путаница элементарных теоретических вопросов)8. Fu in quell’occasione che al buon Vladimir scappò: “Certo, abbiamo degli operai splendidi, e che prendono molto in prestito dall’intellighenzia, ma a volte prendono il peggio e non il meglio” (Конечно, у нас есть прекрасные рабочие, которые много заимствуют у интеллигенции, но иногда не лучшее, а худшее)9.

Tentativi di disciplinare la frazione comunista quindi furono ufficializzati un anno più tardi con la delibera congiunta del CC e del VCSPS dal titolo “Delibera sulle frazioni dei sindacati e delle unioni intersindacali” (Положение о фракциях профсоюзов и межсоюзных объединений)10 e, soprattutto, la Risoluzione del X Congresso del Partito dal titolo Sul ruolo e i compiti dei sindacati («О роли и задачах профсоюзов»)11. Riportiamo l’inizio della parte relativa a “Partito e sindacati” (Партия и союзы), in quanto ben definisce sia il perimetro dell’azione sindacale in riferimento all’azione politica del partito, sia il perimetro dell’azione politica in riferimento a quella sindacale. Il partito dava una linea, il sindacato la doveva seguire politicamente. Se inizia la NEP, il sindacato non può muoversi come se ci fosse ancora il comunismo di guerra. L’opposizione a un padrone, pertanto, non può essere di principio. Tuttavia, la lotta di classe nelle fabbriche è compito del sindacato, e il partito non si deve immischiare:

Il partito comunista russo, nella figura dei suoi organismi centrali e locali, continua incondizionatamente a dirigere l’intera parte ideologica del lavoro sindacale. Le frazioni comuniste sono pienamente subordinate al partito in base alla delibera già approvata dal IX Congresso del PCR. Tuttavia, allo stesso tempo, il X Congresso del PCR ammonisce tutti, insistentemente e categoricamente, siano essi organismi del partito o singoli compagni, dal mettersi a fare in qualsiasi modo la guardia al sindacato, piuttosto che a immischiarsi nel suo lavoro.

Il partito terrà sotto controllo, naturalmente, l’elezione del vertice del movimento sindacale. Tuttavia, per tutti gli altri livelli le organizzazioni di partito dovranno attenersi scrupolosamente ai normali metodi di democrazia proletaria (нормальные методы пролетарской демократии), specialmente nei sindacati veri e propri, dove più di ogni altro luogo la scelta dei capi dovrà essere fatta dalle stesse masse organizzate.12

Tutto risolto, quindi... per niente, purtroppo. L’ultima in ordine di tempo, la komfrakcija, o frazione comunista che dir si voglia, la combinò infatti al povero Lenin proprio quell’anno, al IV Congresso del VCSPS. In tale occasione la mozione finale approvata, a larghissima maggioranza (1500 a favore e 30 contrari), fu non quella elaborata con la partecipazione del partito, ma quella del dissidente Rjazanov. Apriti cielo! Tomskij, per manifesta incapacità a gestire la situazione, fu spedito direttamente in Turkestan (salvo rientrare un anno dopo) e ci volle un intervento diretto di Lenin per calmare gli animi e ristabilire disciplina di partito, centralismo democratico, eccetera13. A fine anno, era lo stesso Lenin a tirare le somme di quanto accaduto e a tracciare possibili scenari operativi, in una bozza di lavoro che tale restò, ma che contiene elementi di analisi e riflessione estremamente interessanti. Stiamo parlando della Bozza delle tesi sul ruolo e i compiti dei sindacati nelle condizioni della NEP (Проект тезисов о роли и задачах профсоюзов в условиях новой экономической политики). Tali tesi furono poi recepite con qualche modifica dal Politburo e divennero la base di lavoro congressuale sui sindacati in occasione dell’XI Congresso del partito. Fermiamoci, in particolare, sulla nona:

9. Contraddizioni all’interno della situazione stessa dei sindacati nella dittatura del proletariato

Da tutto quanto sopra esposto, emerge una serie di contraddizioni fra i diversi compiti dei sindacati. Da un lato, il loro metodo principale d’azione: la convinzione e l’educazione; dall’altro, il fatto che loro non possano dire di no a certe cose, in quanto parte attiva del governo dello Stato, partecipazione questa loro che contiene elementi di coercizione.

Da un lato, il loro compito principale è la difesa degli interessi delle masse lavoratrici, nel senso più stretto e immediato della parola; dall’altro, loro non possono però esimersi dall’esercitare una pressione dall’alto sulle stesse, in quanto partecipanti al potere dello Stato e costruttori di tutta la sua economia in tutta la sua interezza.

Da un lato, il loro lavoro avviene come se si fosse in guerra, perché la dittatura del proletariato è la più feroce, la più dura, la più disperata guerra fra classi. Dall’altro, è proprio nel sindacato e fra sindacato e lavoratori non iscritti che è impossibile impiegare metodi di lavoro da caserma.

Da un lato, devono saper rapportarsi alle masse, adeguarsi al livello da loro raggiunto in quel preciso momento; dall’altro, in alcun modo devono sedersi sui loro pregiudizi e sul loro stare ancora indietro; anzi, proprio su quei punti devono lavorare per elevarle a livelli sempre più alti di cultura e consapevolezza. E via discorrendo.

Si tratta di contraddizioni assolutamente non casuali, e di cui non ci libereremo per decenni. In primo luogo, perché sono contraddizioni proprie di di ogni scuola. E il sindacato è scuola di comunismo. Dovranno passare diversi decenni prima che la maggior parte dei lavoratori raggiunga quel grado più alto di sviluppo, in grado di cancellare ogni traccia, o ricordo, di questa “scuola” per adulti. In secondo luogo, finché ci saranno rimasugli di capitalismo e di produzione piccolo-borghese, l’intero tessuto sociale sarà necessariamente attraversato da contraddizioni fra questi resti e i germogli del socialismo.

Da quanto affermato possiamo trarre due conclusioni. La prima, è che perché i sindacati compiano il loro lavoro con successo, non basta che capiscano i loro compiti; non basta che impostino il lavoro correttamente; sono necessari anche un tatto e un sentire particolari, un essere in grado di approcciarsi alle masse in modo speciale, in ogni singolo caso concreto, ottenendo col minimo di tensione o attriti l’innalzamento di queste masse a un livello sempre più alto nella sfera culturale, economica e politica.

La seconda conclusione è che queste contraddizioni produrranno, inevitabilmente, conflitti, discordia e frizioni (politico-ideologiche, N.d.T.). Occorrerà una sede appropriata, dotata dell’autorità necessaria a risolverli immediatamente. Questa sede si chiama Partito Comunista per i conflitti nazionali e Unione internazionale di partiti comunisti da tutto il mondo, o Comintern, per quelli internazionali.14

Ho aggiunto in calce quella nota per sottolineare come, su quest’ultimo punto, non si stesse parlando di vertenze o rinnovo dei contratti: repetita juvant, partito per l’azione politica e sindacato per l’azione sindacale. Molto interessante, infine, la menzione del Comintern come sede internazionale di risoluzione di controversie di livello ancora più alto. Vediamo, anzi, come questa soluzione potrebbe parlare MOLTO all’oggi.

Torniamo, infatti, a noi e a quanti, per esempio e in buona fede (quelli in cattiva non li contiamo perché “sanno quello che fanno”), difendono la politica attuale di Pechino con parole d’ordine del tutto inattuali, come se fossimo nella giungla a fianco dei vietcong e sopra ci bombardassero col napalm. Guardiamo ora all’ultima vertenza (2021) dei portuali greci contro la cinese, statale e piena fino al midollo di burocrati e funzionari del partito, compagnia marittima Cosco che, come la privata Rubattino due secoli fa, si è portata da tempo a casa il porto del Pireo. Se la logica fosse quella di allora, della NEP leniniana, gli strumenti non solo per la risoluzione, ma anche per un avanzamento complessivo del livello di conflitto di classe mondiale, ovviamente in nostro favore, ci sarebbero stati: da apposite commissioni locali fino ad approdare a un livello di scambio, cooperazione e coordinamento internazionali. Ma sia il punto di partenza, che quello di arrivo, che tutto quanto in mezzo, è inesistente. La Cosco è nel Pireo come la Maersk a Vado Ligure: ovvero, tutto tranne che innalzare la coscienza operaia dei portuali greci. Che grazie a Dio ce l’hanno di loro. Quindi, quando applica senza battere ciglio lo stesso lavoro a giornata dei padroni precedenti, quelli si incazzano e, come per i padroni precedenti, gli sbattono davanti settimane di agitazione e scioperi.

Immaginiamo ora, invece, in questo mondo globalizzato e globalizzante, una rete di Paesi, e un partito comunista internazionale, impegnati a navigare DI BOLINA, ovvero nonostante il vento contrario, per aprire un varco alla possibilità di una transizione al socialismo, hic et nunc: una NEP, coordinata puntualmente da un Profintern (sindacato internazionale) e un Comintern per nulla rituali e realmente operativi, in stretto dialogo sia fra loro, che con le sezioni locali per la risoluzione anche di questo tipo di contraddizioni e fare tutti insieme un altro passo avanti, uno alla volta. Oggi, e mi riferisco non tanto con gli imperialisti tradizionali, ma con quelli se-dicenti comunisti, tutto questo manca. In Grecia come in Etiopia, in Pakistan come nella Repubblica Democratica del Congo, in Bangladesh come in Colombia. Certo, manca anche la colonizzazione del dollaro, così come gli squadroni della morte, piuttosto che i pezzi di artiglieria puntati sui palazzi presidenziali ribelli e i compañeros Presidentes uccisi con un fucile in mano... niente di tutto questo: per fortuna. Ma, cari compagni, è la stessa concezione di soft power, o ruan quanli () che dir si voglia, a evitare questo tipo di sbocchi, quando soluzioni mirate e con mezzi meno eclatanti ottengono effetti analoghi se non migliori, nel breve, medio e lungo periodo. In ogni caso, ahinoi, nulla a che vedere con quanto auspicato da Lenin.

Auspicato perché, sempre purtroppo per noi, Vladimir Il’ič si fermò qui, a quest’ultima riflessione. Non ebbe tempo né di dare a queste note una forma compiuta, né di pubblicarle. La bozza di cui sopra fu pubblicata il 17 gennaio sulla Pravda, proprio nella consapevolezza che di più non sarebbe riuscito ad aggiungere o togliere null’altro. Quell’anno, appena iniziato, avrebbe visto la conclusione della sua partecipazione attiva alla vita politica dopo qualche mese. Qualche mese che fece ancora “a tutta”, come nel suo stile peraltro: NEP, Go.El.Ro., sviluppo della cooperazione, nascita dell’URSS; poi, dopo aver diretto a marzo i lavori dell’XI Congresso, la malattia si aggravò e a maggio iniziò il ricovero.

È, tuttavia, in questo ultimo Lenin che possiamo trovare, così come i bolscevichi trovarono, indicazioni preziose. Tomskij stesso, lasciatesi alle spalle le sbandate iniziali, ne fece tesoro. Comprendiamo adesso, alla luce di quanto appena esaminato, tutto il suo discorso su che tipo di direzione, ed entro quale perimetro politico-ideologico, da non valicare assolutamente, debba esservi fra partito comunista e sindacato di tutti i lavoratori, iscritti e non (e non solo al partito, ma anche al sindacato!). Comprendiamo non solo il significato di quei paletti conficcati per l’azione del partito nel sindacato, bloccata appena sotto il vertice della dirigenza sindacale, ma anche il ruolo della frazione comunista all’interno del movimento, chiamata ad altro e ben più arduo compito. Infine, capiamo l’enorme responsabilità di un movimento sindacale che non è riassumibile nel semplicistico “di lotta e di governo”, perché nulla è semplice quando si sta facendo una rivoluzione: qui siamo ben oltre, in quanto la responsabilità di una scelta quotidiana, sempre diversa, sempre a livelli più alti di implicazioni e interrelazioni fra sempre più cause, o meglio con-cause, e con-sequenze, cadeva sulle spalle di militanti e quadri che, seppur temprati da anni di lotte, e di guerra, era anche pur vero che era la prima volta che lo facevano.


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Note
1 Я думаю, что все наши указания останутся голой резолюцией, еще одной хорошей резолюцией, которых у нас и без того немало, если всепартийные организации не усвоят еще того обстоятельства, что вопрос о работе профсоюзов, о жизни профсоюзов и об их успехах, это — вопрос партии, что профсоюзы не являются каким-нибудь конкурирующим органом по отношению к партийной организации. В частности, я в газетах читал, в кое-каких статьях отдельных видных партийных товарищей, что дело изображают так, что вот, если самодеятельность рабочих пойдет в рамках партии, то это хорошая самодеятельность, если же она пойдет вне рамок партии, — а вне рамок партии самодеятельность рабочих проявляется главным образом в профсоюзах, — то это уже нездоровая самодеятельность. Отсюда — выводы о чрезмерно большом расширении партийных рядов. Ibidem, p. 740-1.
2 Я думаю, что крепко построенные, крепко связанные с массами, централизованные, самодеятельные, пользующиеся абсолютным доверием и авторитетом со стороны об'единяемых ими членов профсоюзы, во главе с коммунистами, работающими под общим руководством своей партии, — вот твердая опора и гарантия для проведения коммунистической политики партии, расширения ее авторитета, для распространения безграничного ее влияния на широчайшие слои рабочих. Это относится и к работе профсоюзов в деревне. Если понять это, то всякая мысль о том, что успехи профсоюзов могут в какой-нибудь cтепени затемнить успехи партии, создать у рабочих неправильную перспективу и т. д., — является ошибочной и неосновательной.
Успехи профсоюзов есть, в первую очередь, успехи коммунистической партии, только ее, и главным образом ее, ибо она, партия, строила профсоюзы, она ими руководила через своих членов, она ответственна за все их ошибки и достижения. Достижения у нас за то короткое время, которое у нас существует профессиональное движение, — колоссальные, гигантские. Не раз мы проверяли через профсоюзы преданность наших рабочих Советской власти и коммунистической партии, и бояться здесь какого-нибудь противопоставления или перспективы роста авторитета профсоюзов за счет партии абсолютно нет никаких оснований. Руководство партией профсоюзами — бесспорный вопрос, он ни в ком не должен возбуждать сомнений и не может возбуждать сомнений. Ibidem.
3 Но вопрос идет о том, как осуществлять это руководство. И, конечно, ничем новым не является вопрос о том, что надо поменьше мелочной опеки, поменьше дергания, побольше ответственности и лучшего подбора самих работников профсоюзов, воспитание этих работников в сознании необходимости двоякой ответственности: перед своей партией, выдвинувшей его на тот или другой профсоюзный пост, и перед своими избирателями — беспартийными рабочими. Об этом не должен забывать ни один партийный орган. Если мы на минуту забудем об этом важнейшем правиле, получится, с одной стороны, — отрыв работника от масс и, с другой стороны, — отрыв масс от профсоюза.
Если я отвечаю только перед месткомом и комячейкой, то вся моя работа, все мои мысли, будут направлены к тому, чтобы было все хорошо с этими органами, а как будет с беспартийными рабочими, — мне наплевать: не они меня выбирали, не перед ними я буду отчитываться. Ibidem.
4 Секретарь ячейки, председатель фабзавкома и хозяйственник, — весь этот единый фронт как бы обеспечивает положение, а забастовка вспыхивает без ведома их всех. Почему? Потому, что председатель фабзавкома согласовал с хозяйственником, согласовал с секретарем, с ячейкой, а вот с беспартийными рабочими забыл согласовать. Вот в чем все дело заключается.
Руководство партией должно быть исключительно через фракцию, — это бесспорно. Ибо мы должны признать, что выпирание перед беспартийными рабочими приоритета партии над профсоюзами является недопустимым. Партия работает в профсоюзах через фракции, и только через них. Никаких непосредственных распоряжений партия не дает профсоюзам; партия не может на себя принимать такой ответственности — вмешиваться в мельчайшие экономические вопросы, стоящие в практике профессионального движения.
5 V. I. Lenin, Opere complete (PSS), cit., Vol. 40, pp. 226-7.
6 Политбюро, в составе тт. Бухарина, Ленина, Крестинского, обсудило 17. III. 1920 вопрос о ненормальности того, что члены партии на беспартийных съездах проводят резолюции, противоречащие резолюциям ЦеКа партии. Политбюро решило, что с точки зрения партийной дисциплины это явление безусловно неправильное и недопустимое. Ibidem, p. 227.
7 Прошло, к счастью, время чисто теоретических рассуждений, споров по общим вопросам, вынесения принципиальных резолюций. Ibidem, p. 258.
8 Ibidem, pp. 259-260.
9Ibidem, p. 261.
10 Cfr. i materiali d’archivio corrispondenti del MSU http://www.hist.msu.ru/Labour/DOCS/appendix.htm#f6
11 http://www.hist.msu.ru/Labour/Law/10siezd1.htm
12 Российская коммунистическая партия в лице ее центральных и местных организаций безусловно направляет по-прежнему всю идейную сторону работы профсоюзов. Коммунистические фракции профсоюзов целиком подчиняются партийным организациям согласно особому положению, формулирующему эти взаимоотношения, утвержденному IX съездом Российской коммунистической партии. Но, вместе с тем, X съезд РКП настойчиво и категорически предостерегает все партийные организации и всех отдельных товарищей против какой бы то ни было мелочной опеки и чрезмерного вмешательства в текущую работу профсоюзов.
Подбор руководящего персонала профессионального движения, разумеется, должен протекать при направляющем контроле партии. Но партийные организации должны особенно тщательно проводить нормальные методы пролетарской демократии именно в профсоюзах, где более всего отбор руководителей должен делаться самими организованными массами. Ibidem.
13 Cfr, Nina Svereva, Quando le lezioni non servono a niente. 95 anni dopo il IV Congresso panrusso dei sindacati (Когда урок не впрок. К 95-летию IV Всероссийского съезда профсоюзов), parte I e II
https://www.solidarnost.org/articles/Kogda_urok_ne_vprok.html
https://www.solidarnost.org/articles/Kogda_urok_ne_vprok__Okonchanie.html
14 9. ПРОТИВОРЕЧИЯ В САМОМ ПОЛОЖЕНИИ ПРОФСОЮЗОВ ПРИ ДИКТАТУРЕ ПРОЛЕТАРИАТА
Из всего вышеизложенного вытекает ряд противоречий между различными задачами профсоюзов. С одной стороны, их главный метод действия - убеждение, воспитание; с другой, они не могут отказаться, как участники госвласти, и от участия в принуждении.
С одной стороны, их главная задача - защита интересов трудящихся масс в самом непосредственном и ближайшем смысле слова; с другой, они не могут отказаться от нажима, как участники госвласти и строители всего нархозяйства в целом.
С одной стороны, они должны работать по-военному, ибо диктатура пролетариата есть самая ожесточенная, самая упорная, самая отчаянная война классов; с другой, именно к профсоюзам всего менее применимы специфически военные методы работы.
С одной стороны, они должны уметь приспособиться к массе, к ее данному уровню; с другой, они никоим образом не должны потакать предрассудкам и отсталости массы, а неуклонно поднимать ее на уровень более и более высокий. И так далее и тому подобное.
Эти противоречия не случайны и неустранимы в течение ряда десятилетий. Ибо, во-первых, это - противоречия, свойственные всякой школе. А профсоюзы, это - школа коммунизма. Раньше, чем через несколько десятилетий, нельзя рассчитывать на то, чтобы большинство трудящихся достигли самого высокого развития, отбрасывающего все следы и воспоминания о «школе» для взрослых. Во-вторых, пока есть остатки капитализма и мелкого производства, неизбежны противоречия во всем общественном строе между этими остатками и ростками социализма.
Практические выводы отсюда двоякие. Первый: для успешной работы профсоюзов недостаточно правильное понимание их задач; недостаточно правильное строение их; необходим еще особый такт, уменье подойти к массе особым образом в каждом отдельном конкретном случае, достигая с минимумом трений подъема этой массы на ступеньку выше в отношении культурном, хозяйственном, политическом.
Второй вывод: указанные противоречия неизбежно будут порождать конфликты, несогласованность, трения и т. п. Необходима высшая инстанция, достаточно авторитетная, чтобы разрешать их немедленно. Такой инстанцией является компартия и международное объединение компартий всех стран, Коминтерн. V. I. Lenin, Opere complete (PSS), cit., Vol. 44, pp. 349-350.
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